domenica 1 maggio 2016

Pensieri per lo spirito


LA PACE DI DIO
Il dono «agli uomini di buona volontà»


Il Tempo di Pasqua offre l'opportunità di riflettere sul mistero della pace che Gesù dona ai suoi. Una pace che comincia già sulla terra - il Verbo Incarnato è infatti il «Principe della Pace» (Is 9,5) -, ma che troverà il suo compimento con la vittoria della vita sulla morte ad opera del Cristo Risorto, e che, per ogni uomo «di buona volontà» vedrà la sua realizzazione piena solo nella contemplazione eterna del Dio vivente.








IL DONO DELLA PACE

Il Tempo di Pasqua - nella VI Domenica - riporta l'attenzione sulle parole pronunciate da Gesù durante il suo "discorso di commiato", da lui tenuto nel corso dell'Ultima Cena.
Sono parole che sembrano gettare un ponte tra due momenti del mistero della Redenzione: l'incarnazione e la Risurrezione di Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi" (Gv 14, 27-28) - afferma Cristo nel suo discorso di addio - ; «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14) - è la lode che gli angeli intonano in presenza dei pastori che, di lì a poco, troveranno il Bambino Gesù appena nato.
Nel «Gloria» queste stesse parole vengono formulate in altri termini: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà».
La venuta di Gesù sulla terra inaugura, dunque, un tempo "nuovo" di pace. Una pace che troverà compimento nella vittoria di Cristo sulla morte, e che si realizzerà pienamente nell'esistenza degli uomini al momento del loro ingresso nella vita dei beati.
Così il tempo liturgico della Pasqua diventa momento di riflessione non solo sulla pace che già è profferta su questa terra, ma anche - e soprattutto - sulla pace che si realizzerà in senso escatologico nella vita eterna.

Quale pace?

Commenta sant'Agostino:
[Cristo] «che cosa ci lascia quando se ne va, se non se stesso, dal momento che non ci abbandona? Lui stesso è la nostra pace, lui che ha superato in sé ogni divisione. Egli è la nostra pace se crediamo in lui, e sarà la nostra pace quando lo vedremo così come egli è. Ci lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando ritornerà alla fine dei tempi. Ci lascia la pace in questo mondo, ci darà la sua pace nel secolo futuro. Ci lascia la sua pace affinché noi, permanendo in essa, possiamo vincere il nemico; ci darà la sua pace, quando regneremo senza timore di nemici. Ci lascia la pace, affinché anche qui possiamo amarci scambievolmente; ci darà la sua pace lassù, dove non potrà esserci più alcun contrasto. Ci lascia la pace, affinché non ci giudichiamo a vicenda delle nostre colpe occulte, finché siamo in questo mondo; ci darà la sua pace quando svelerà i segreti dei cuori, e allora ognuno avrà da Dio la lode che merita (cf. 1 Cor 4, 5). 
Questa pace, invero, che ci ha lasciato in questo mondo, è da considerarsi piuttosto nostra che sua. Egli, non avendo alcun peccato, non porta in sé alcun contrasto; noi invece possediamo ora una pace che non ci dispensa dal dire: Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6, 12). Esiste dunque per noi una certa pace, quando, secondo l'uomo interiore ci compiacciamo nella legge di Dio; ma questa pace non è completa, in quanto vediamo nelle nostre membra un'altra legge che è in conflitto con la legge della nostra ragione (cf. Rm 7, 22-23). Esiste pure per noi una pace tra noi, in quanto crediamo di amarci a vicenda; ma neppure questa è pace piena, perché reciprocamente non possiamo vedere i pensieri del nostro cuore, e, per cose che riguardano noi, ma che non sono in noi, ci facciamo delle idee, gli uni degli altri, in meglio o in peggio. Questa è la nostra pace, anche se ci è lasciata da lui; e non avremmo neppure questa, se non ce l'avesse lasciata lui. La sua pace, però, è diversa. Ma se noi conserveremo sino alla fine la nostra pace quale l'abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, lassù dove da noi non potranno più sorgere contrasti, e nulla, nei nostri cuori, rimarrà occulto gli uni agli altri.
La precisazione, poi, che il Signore fa: non ve la do come la dà il mondo (Gv 14, 27), che altro significa se non questo: non ve la do come la danno coloro che amano il mondo? I quali appunto si danno la pace per godersi, al riparo di ogni contesa e guerra, non Dio, ma il mondo loro amico; e quella pace che concedono ai giusti, evitando di perseguitarli, non può essere pace vera, non potendo esistere vera concordia là dove i cuori sono divisi» [1].

PACE PER GLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ

Chi sono gli uomini di buona volontà?

«"Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". In passato quest’ultima espressione veniva tradotta diversamente, e cioè: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Con questo significato l’espressione è entrata nel canto del "Gloria" ed è diventata corrente nel linguaggio cristiano. 
Dopo il concilio Vaticano II si usa indicare con questa espressione tutti gli uomini onesti, che ricercano il vero e il bene comune, siano essi credenti o non credenti. Ma è un’interpretazione inesatta [2]. "Pace" (eirene) sta a sintetizzare la pienezza dei doni messianici, la salvezza cioè che, come nota sempre l’Apostolo, si identifica con Cristo stesso: "Egli è, infatti, la nostra pace" (Ef 2,14). Vi è infine il riferimento agli uomini "di buona volontà". "Buona volontà" (eudokia), nel linguaggio comune, fa pensare alla "buona volontà" degli uomini, ma è qui indicato piuttosto il "buon volere" di Dio verso gli uomini, che non conosce limiti. Con la nascita di Gesù, Dio ha manifestato il suo buon volere verso tutti» [3].

Una pace solo per i credenti?

Il Regno di Dio non va erroneamente considerato un club elitario per soli credenti. Se così fosse, la pace sarebbe accessibile solo a questi ultimi, tanto in questa quanto nell'altra vita. Le parole pronunciate nel Gloria aiutano a comprendere meglio la straordinaria portata del dono di Gesù.
Anche il Magistero della Chiesa offre una visione della salvezza che parla il linguaggio della speranza anche per i non cristiani: «È Paolo VI che deve dirsi il Papa delle religioni non cristiane, perché istituisce il Segretariato per i non cristiani, e incontra i loro rappresentanti. Prima ancora dei documenti conciliari del Vaticano II, egli scrive nell’enciclica Ecclesiam Suam, che il cristianesimo non può rinunciare al diritto di essere l’unica religione vera, ma non rifiuta attenzione e riconoscimento "ai valori spirituali e morali delle diverse religioni non cristiane".
Dopo l’enciclica citata, approva e stabilisce i decreti del Concilio Vaticano II, dove si legge tra l’altro: "La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni"; "considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine, le quali... non raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti i popoli". E per quanto riguarda le singole persone non cristiane od atee, si legge: "Quelli che senza loro colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio e con l’aiuto della Sua grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la Divina Provvidenza nega gli aiuti necessari a coloro che senza colpa da parte loro non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta".
La base del discorso conciliare è l’affermazione scritturistica dell’universale volontà salvifica di Dio, per cui la grazia soprannaturale viene offerta a tutti gli uomini.
Giovanni Paolo II, consolida e dilata le prospettive aperte dai suoi predecessori e dal Concilio Vaticano II, pur ribadendo sempre la necessità della religione cristiana (perché voluta da Dio stesso, fatto uomo in Gesù), per chi se ne rende conto» [4].

Chi può costruire la pace? Per chi è la pace?

La «buona volontà si deve esprimere mediante l’imitazione dell’agire di Dio» 
Imitare il mistero che celebriamo significa abbandonare ogni pensiero di farci giustizia da soli, ogni ricordo di torto ricevuto, cancellare dal cuore ogni risentimento anche giusto, verso tutti. Non ammettere volontariamente nessun pensiero ostile, contro nessuno: né contro i vicini, né contro i lontani, né contro i deboli, né contro i forti, né contro i piccoli, né contro i grandi della terra, né contro alcuna creatura al mondo» [5].
La pace diventa dunque accessibile e realizzabile anche da e grazie al contributo di tutti quegli uomini impegnati nella ricerca del bene, e, quindi di «buona volontà» nell'accezione più comune, anche se più imprecisa del termine.
La benevolenza di Dio, che chiama gli uomini a diventare suoi figli in Cristo Gesù, attraverso il battesimo, non raggiunge infatti solamente per mezzo dei Sacramenti:
«La grazia viene data ordinariamente nei sacramenti.
Ma Dio la comunica anche per vie straordinarie, note a lui solo.
E certamente la comunica, perché Lui stesso per bocca di Paolo ha detto che “vuole che tutti gli uomini siano salvi” (1 Tm 2,4).
E se vuole che tutti, anche quelli che non hanno mai sentito il suo annunzio, si salvino, significa che a tutti – per vie segrete – comunica questa linfa spirituale che è la grazia. Sulla necessità della Chiesa per potersi salvare è necessario fare una precisazione: si distingue tra anima e corpo della chiesa.
Fanno parte del corpo della Chiesa tutti coloro che sono battezzati»  [6].

Fanno parte «dell'anima della Chiesa,  e cioè di ciò che è proprio della Chiesa, di ciò che la unisce vitalmente a Cristo nell’ordine soprannaturale» [7] tutti coloro che ricevono la grazia di Dio in altro modo, attraverso le imprescrutabili vie di Dio.

MISSIONARI DELLA PACE


Alla luce di queste considerazioni «come va considerata oggi la necessità dell’azione missionaria della Chiesa?
Il cristiano dev’essere sempre missionario, ma non perché crede che, senza questo impegno, i non cristiani manchino della possibilità di salvarsi; ma perché sa che il sale e la luce del Salvatore, rendono il mondo più umano e questo è di grande importanza per il Regno di Dio. Il missionario, quindi, non deve certo attentare ai veri valori 
delle religioni non cristiane, ma deve accoglierli, purificarli e completarli con il lievito evangelico.
Del resto, Gesù ha detto: "Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento": non è questo anche lo scopo dell’azione missionaria di ogni cristiano?» [8].
La buona volontà a cui fa riferimento il Gloria apre uno spiraglio di Cielo già sulla terra. Il sale del cristiano, unito al sale di tutti gli uomini ben volenterosi nella costruzione di un mondo "pacificato", contribuirà a dare più sapore alla terra, nell'attesa della condivisione eterna in cui si gusterà e vedrà «quanto è buono il Signore» (cfr. Sal 34,9). Gesù «è la nostra pace» (Ef 2,14): «La pienezza della nostra umanità non si trova come esito del nostro cammino intellettuale e morale, delle nostre manipolazioni tecnologiche-scientifiche: la pace è la presenza di Cristo uomo nuovo, Crocifisso e Risorto, che comunica la pienezza di questa sua pace a coloro che credono. Questa pace viene dunque donata come un dono purissimo, fatto da Cristo al cuore di ogni uomo che crede in Lui.
Non dobbiamo aspettare di costruire la pace, noi dobbiamo incominciare a testimoniarla presente in Cristo, in noi e fra di noi. La pace è infatti una grande proposta di vita che viene rivolta alla nostra responsabilità. Del resto la pace è dono di Dio e responsabilità dell’uomo. Tocca all’uomo vivere l’esistenza di tutti giorni radicato nella certezza che Cristo è pace e sapendo investire di questa certezza tutte le circostanze dell’esistenza: quelle concrete, quotidiane, così come quelle eccezionali.
Allora ogni singolo segmento della nostra vita personale e sociale si colloca in una retta, come diceva don Luigi Giussani: la moralità, cioè la costruttività storica di un uomo non è una retta ma una serie di segmenti che poi il Signore fa convergere in una retta.
Noi abbiamo la responsabilità oggi più che mai di dire alto e forte che la pace non solo è possibile, ma è reale. E questa pace reale che è Cristo coinvolge la nostra esistenza e la fa camminare giorno dopo giorno verso la pienezza in Cristo della nostra umanità. Per questo al di sotto di tutte le differenze, di tutte le fatiche, di tutte le lacerazioni che pure noi conosciamo e che combattiamo insieme a tutti i nostri fratelli uomini, al fondo di tutto il disagio che si può percepire nella vita di ogni giorno, sta una incrollabile letizia. Una letizia perché la nostra vita appartenendo a Cristo e a Dio raggiungerà senz'altro il massimo della sua pienezza umana» [9].


NOTE
[1] Sant'Agostino, Omelia 77, 3;5, disponibile sul sito ufficiale dell'Opera Omnia del santo.

[2] Raniero Cantalamessa, Il Vangelo della speranza. La benevolenza di Dio, in Speciale Domenica, Sito della Società San Paolo

[3] Benedetto XVI, Udienza Generale, 27 dicembre 2006.

[4] Antonio Rudoni, La salvezza dei non cristiani, in Rivista di Maria Ausiliatrice, n. 2, 2004.

[5] Raniero Cantalamessa, Ult. cit

[6] Angelo Bellon, Rubrica Il sacerdote risponde, Sito internet Amicidomenicani

[7] Angelo Bellon, Rubrica Il sacerdote risponde, Sito internet Amicidomenicani

[8] Antonio Rudoni, Ult. cit.

[9] Mons. Luigi Negri, La pace è una realtà. Cristo è la nostra pace, in La Nuova Bussola Quotidiana, 23 dicembre 2012.

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