giovedì 28 febbraio 2013

UN NOME, UN PROGETTO DI DIO. IL GRAZIE DEL BLOG A PAPA BENEDETTO XVI- JOSEPH RATZINGER


La Parola di Dio ci insegna che il "nome" di un uomo non è mai casuale.
Il nome racchiude un'essenza, un progetto, un significato.

La creazione stessa si apre con la presenza del Creatore che attribuisce a ciascuna delle cose create un nome preciso.
Solo con l'entrata in scena dell'uomo, apparentemente, qualcosa cambia: non è più Dio ad assegnare un identificativo, ma la creatura stessa, che decide di chiamare "donna" colei che era stata creata dalla sua stessa carne (cfr Gn 2,23).

Da quel momento in poi la storia  diventa un intreccio, una compartecipazione quasi, fra l' iniziativa divina e quella umana: 
  • nei momenti cruciali delle vicende di Israele, è Dio che prende l'iniziativa (come quando Giacobbe riceve il nome nuovo di Israele, o Sara quello di Sarai); 
  • in altri, è nuovamente l'essere umano che rivela l'identità di qualcuno attraverso l'attribuzione del nome (Adamo dona il nome ai propri figli; Anna decide di chiamare Samuele il figlio a lungo atteso...e così via).

Il nome -e lo si nota con maggiore intensità al momento della nascita di Giovanni Battista e poi Gesù, di cui egli fu precursore- è quasi una tessera di riconoscimento per ogni uomo.
Rivela il progetto di Dio su quella creatura e, nella risposta personale di chi si attribuisce quel nome, o lo riceve, anche la risposta umana a quel disegno divino.

Da giorni penso a questi particolari, scrivendo mentalmente -ma soprattutto nel cuore- il mio grazie a Papa Benedetto XVI.


Joseph Ratzinger. 
Joseph, GIUSEPPE.

Etimologicamente, il nome deriva dall'ebraico e significa "accresciuto da Dio".


Eppure, l'uomo che nel Vangelo è stato maggiormente "accresciuto da Dio" -San Giuseppe- è paradossalmente l'uomo più silenzioso.
Un nome...un progetto: Dio accresce Giuseppe donandogli Maria e Gesù.
Dio aggiunge qualcosa nella vita di questo Santo, dandogli la Vergine -modello e figura della Chiesa futura- e quel Bimbo Divino che è il Capo della Chiesa.
Dio accresce....ma l'uomo rimane nel silenzio.
"La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio" (1Cor 13,4)

La vita di Giuseppe è una vita di servizio, nascosta, "muta", eppure è la vita in cui custodisce, preserva, difende gli esseri più preziosi di tutti i tempi: il Verbo Incarnato e la Madre di Dio.
Delle sue "ascesi mistiche", della sua interiorità, del grado di alta contemplazione che di certo avrà raggiunto, non si sa nulla.
I Vangeli tacciono.
Ci rimane la testimonianza, però, di un uomo capace di "cogliere" i segni della presenza di Dio nella propria vita, svelata anche in linguaggi particolari, come quelli del sogno.

Proprio Benedetto XVI - Joseph Ratzinger, nel suo "L'infanzia di Gesù", scrive a tale riguardo:

"Solo ad una persona intimamente attenta al divino, dotata di una peculiare sensibilità per Dio e per le sue vie, il messaggio di Dio può venire incontro in questa maniera".

L'uomo di vera preghiera, il vero uomo di Dio, lascia sempre delle tracce della sua profonda comunione con Lui.
Basta saperle leggere....

Tanto accresciuto è San Giuseppe, da essere diventato il Patrono e Protettore della Santa Chiesa, lui, il silenzioso e umile lavoratore nella "vigna" di Nazareth, posto accanto al Vignaiolo in Persona....

Papa Benedetto XVI è stato anche lui "accresciuto da Dio": ha ricevuto il più alto ministero della Chiesa, quello petrino.
Ha ricevuto in custodia la Chiesa stessa, di cui Capo è solo Cristo -come ha ribadito più volte in questi ultimi giorni.

Come San Giuseppe, di cui porta il nome, ha posto l'accento -nel suo pontificato- sul servizio alla Chiesa e sul primato della preghiera.
Senza "mostrare" sé stesso, ha messo DIO al centro del proprio ministero.

Eppure, in questi giorni, più che mai, ci ha dato tante piccole tracce della sua vita di intimo contatto con Dio.
Non da ultima, quella meravigliosa espressione: "Il Signore mi chiama a salire sul Monte", pronunciata con estrema naturalezza nel corso dell'ultimo Angelus.

Due parole:

"mi chiama",


che al di là della loro semplicità, spalancano il senso grandioso, misterioso del divino, del trascendente che opera in ogni uomo, il fascino di un a tu per Tu nel deserto bonificato di una preghiera che si fa ascolto di Dio soltanto....

Ma ora è "Papa Benedetto" che parla, sebbene rimanga in lui sempre quel "Giuseppe" che è il nome con cui ha continuato a firmare la sua trilogia su Gesù di Nazareth.

E Benedetto (dal latino "benedictus" "che augura il bene"), ci sta veramente augurando il bene.
Auspica un futuro coraggioso alla Chiesa, quella Chiesa che vede viva, di cui noi facciamo parte.
A noi consegna innanzitutto la staffetta della fiducia in Colui che "ci guiderà" (catechesi 13/02/13).
E ci dona anche quella della FEDE, una fede da vivere con gioia, perché è "un dono che nessuno ci può togliere"! (catechesi 27/02/13)

Ci offre però e soprattutto, la staffetta della PREGHIERA, che è veramente l'arma più potente, più importante, senza la quale nemmeno Dio fattoSi Carne ha voluto operare. 

Al contrario: il Verbo Divino, l'Uomo Dio ha fatto dell'orazione, del'incontro con il Padre sul Monte, il fulcro di ogni Sua giornata, il centro di tutte le Sue decisioni, il culmine dell'ultima salita, quella sulla Vetta della Croce, in un atto di abbandono totale, fiducioso a Dio Onnipotente.

Sì, facciamo nostre le parole del Santo Padre: pregare non è mai scendere dalla Croce.
Pregare è rimanere inchiodati, crocifissi con lo spirito a quella Croce che è braccia spalancate per i bisogni di tutti, continuamente rivolte a Dio, in un'unione ininterrotta con Colui che regge le sorti del mondo, della Sua Chiesa, di ognuna delle nostre vite.

SANTITA', la Croce di Cristo ci attira tutti (cfr Gv 12,32), per questo le assicuriamo che saremo con Lei, in unione di preghiera, "per il bene della Chiesa".
Ciascuno di noi nel proprio piccolo, ma in un unico, grande respiro orante, che allarga il polmone della Fede e le dona aria sempre nuova e pulita.


Saperci assieme a Lei, in questo silenzio fecondo di vicinanza orante ci dona la certezza che neanche noi ci sentiremo soli!

GRAZIE, PAPA BENEDETTO!

TI VOGLIAMO BENE :) !

domenica 24 febbraio 2013

TRASFIGURAZIONE....


"Gesù prese con sé 
Pietro, Giovanni e Giacomo 
e salì sul monte
a pregare. 

Mentre pregava,
il suo volto cambiò d’aspetto
e la sua veste divenne
candida e sfolgorante".

(Lc 9,28-29)


Domenica della Trasfigurazione, Domenica dela "meraviglia", dello stupore, della bellezza dello stare insieme: insieme a Gesù.


Mi piace pensare ad un passaggio, un tratto di quotidianità che si può scorgere nel Vangelo di oggi (Lc 9,28-36).

L'episodio della Trasfigurazione ci presenta tre discepoli accanto al Maestro, tre discepoli fortunati, "prediletti", tanto da poter partecipare ad un momento di manifestazione di Gesù che gli altri non hanno visto.

C'è un qualcosa di feriale in questo evento festivo, di ordinario nello straordinario, di giornaliero nel raro.

Gesù è con i Suoi, con tre dei Suoi.
Con quei tre che sono sempre stati con Lui, che saranno con Lui anche dopo quel giorno sul Monte Tabor.
Gli stessi che Gli saranno più a fianco nell'Orto degli Ulivi.

Sulla cima del Monte, Pietro, Giacomo e Giovanni assistono a uno "spettacolo" di rara bellezza, vivono una dimensione nuova del Maestro, ne sono resi partecipi.
Gesù li coinvolge nel momento più "alto" della Sua preghiera, della Sua intimità col Padre!

Si può immaginare forse solo pallidamente quello che sarà passato nei loro cuori, in quei momenti.

Stupore, incanto, sentire il fascino di un Uomo che è Dio e che si mostra nella Sua Bellezza di Uomo Creatura che loda l'Onnipotente, ma anche di Dio Figlio che entra talmente tanto in contatto con Dio Padre da far trasparire anche al di fuori, nella Sua Carne, l'intimo contatto dell'Uomo con Dio, di Dio con Dio....

Da quell'istante in poi, qualcosa sarà irreparabilmente -e fortunatamente!- cambiato "per sempre" nella vita dei tre discepoli.
Il ricordo di quel momento, di quella "Trasfigurazione" si sarà impressa definitivamente nei loro cuori.
Avranno guardato Gesù, anche nei momenti più ordinari del loro stare insieme, ricordandoLo per quello che -loro soli- avevano potuto contemplare in Lui.

Trasfigurare....l'etimologia ci riporta a "trans" :al di là e "figura":aspetto.

Trasfigurare: andare oltre l'aspetto, superare il visibile, scoprire dentro, nell'essenziale, nell'essenza...

La Domenica della Trasfigurazione ci interpella: scoprire la presenza di Dio nel nostro feriale, quotidiano, nell'apparentemente banale e ordinario giornaliero della vita...come i tre del Monte seppero -da quel giorno in poi- vedere sempre "oltre" l'aspetto di Gesù.
Trasfigurare il mondo che ci avvolge, perché in realtà, in esso, è Dio Creatore che ci "abbraccia"!

La Trasfigurazione ci chiede anche un'altra cosa: imparare a scorgere la "luminosità" di quanti ci circondano, certi che anche in loro è presente un "germe" divino, l'immagine e la somiglianza con Dio!

Buona Domenica della Trasfigurazione! 

mercoledì 20 febbraio 2013

IL PRIMATO DI DIO....



 "Mi sostiene e mi illumina
la certezza 
che la Chiesa
è di Cristo, 
il Quale non le farà
mai mancare 
la sua guida e la sua cura. 



Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. 

“Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla.

Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio.
Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei".

(Benedetto XVI- udienza generale 13-02-13)




Convertirsi, girarsi verso Dio, guardarLo, realizzare un sempre più totalizzante "faccia a Faccia" con Lui.
Un impegno che non è solo quaresimale.
Un bisogno che è di tutta la vita.

La rinuncia del Papa, e poi una serie di piccole circostanze del mio quotidiano, in questi giorni mi stanno spingendo a riflettere ancora di più sulle parole che ho scelto come proemio di questo di questa riflessione: "LA CHIESA E DI CRISTO".

Quando qualcuno che amiamo ci lascia -quale che sia il tipo di "lasciarsi", non necessariamente un lutto- si è soliti dire: "niente sarà più come prima".

Inutile negare che tante, forse troppe volte, questo accada anche nella Chiesa.
In quell' istituzione (che non è solo materiale, ma anche e soprattutto  SPIRITUALE), il cui Capo principale è veramente l'unico a non andar mai via.
Si succedono parroci, priori di conventi, finanche Pontefici: Cristo rimane a guidare la Sua Chiesa.

Ora, pensando a quello che potrebbe capitare nel "nuovo" Pontificato, pur nell'inevitabile sofferenza per un Papa che va via, credo che ogni buon cattolico dovrebbe dirsi: saremo fedeli al nuovo Vicario di Cristo, gli vorremo bene, pur mantenendo fermo in noi quello che abbiamo ricevuto da Benedetto XVI, rendendolo sempre più fruttuoso, come insegnamento che si trasforma continuamente, sempre di più, in vita di preghiera e di azione.

Inutile, a mio avviso, parare le mani avanti con il solito "Niente sarà più come prima".
Ogni tempo ha i suoi "adesso" che sono quelli che -nella storia- lo Spirito Santo suggerisce, permette, manda avanti.

Il compito di far restare vivo lo "stile", l'insegnamento, i risultati ottenuti con tanta tenacia da Benedetto XVI non è solo affare di curia.
A livello "alto", gerarchico, è indubbio che rimanga principalmente nella sfera di responsabilità di Cardinali e Vescovi e poi di presbiteri, ma la nostra dignità di fedeli laici, investiti di un sacerdozio regale e profetico nel Battesimo, ci impone di essere anche noi testimoni e pietre vive della realtà cristiana che vogliamo con tanta passione costruire.

E questo per guardare alle cose "in grande".

Poi mi viene in mente anche un esempio più spicciolo.
L'esempio di una parrocchia che subisca un "piccolo trauma spirituale organizzativo": un trasferimento di parroco.
Di un bravo parroco, di quelli che sappiano creare famiglia tra e con i fedeli, di quelli che badino al sodo dell'essere cristiani: l'amore di Dio, la Liturgia, le Adorazioni Eucaristiche, i Sacramenti -in primis quello della confessione-.

Trauma o terremoto?
A volte sembra che si verifichino dei cataclismi...e "morto un Papa" non se ne fa un altro.
Semplicemente si scappa a gambe levate.
Chiese più deserte, minore partecipazione, minore coinvolgimento.

Situazioni in cui è più pressante il quesito del Papa: diamo a DIO la PRIORITA'?

Umanamente, spiritualmente, anche psicologicamente, è sacrosanto riconoscere che non tutti (anche fra i consacrati, fra i sacerdoti) siano uguali.
Alcuni hanno dei carismi, altri ne hanno di differenti.
Qualcuno sa creare un ambiente parrocchiale più familiare, più aperto, in cui si percepisca il gusto dello stare insieme PER e CON il Signore, non solo nell'attivismo, ma anche nelle realtà più squisitamente spirituali, nella dimensione della preghiera.

Mi domando: riconosciuto questo dato di fatto, se abbiamo saputo accogliere con docilità quanto è stato seminato in noi, non dovremmo continuare ad essere buoni cristiani con una testimonianza coerente anche in questi casi di cambiamento?

Invece troppe volte questo non accade: si firmano petizioni per evitare trasferimenti di parroci, si cominciano a mettere i bastoni fra le ruote ai nuovi arrivati.
Nei casi più "semplici e scontati" si abbandona la Chiesa.

Il Papa oggi ci sta chiedendo di fare esattamente la cosa opposta: ci sta chiedendo di COLLABORARE!
Ci sta chiedendo di non prendere la via della fuga quando le cose sembrano andare diversamente dai nostri progetti.
La Chiesa rimane di CRISTO che è l'UNICO, il PRIMO con il quale dobbiamo agire.
In questa Chiesa di Cristo ciascuno deve spendere i propri talenti, lavorando assieme a quei pastori che ci vengono di volta in volta donati come guide.

"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti" .
(Gv 14,15)

Sono parole di Cristo, in quel capitolo giovanneo che è quasi il capitolo del "commiato" e di testamento ai Suoi discepoli.
Possono valere nei nostri confronti in relazione ad ogni distacco doloroso che viviamo, nelle nostre realtà personali ed ecclesiali.

Se amiamo qualcuno, se riconosciamo che quel qualcuno ci abbia aiutati a camminare verso una vita spirituale più profonda, l'unico modo di testimoniargli l'amore, la riconoscenza, è continuare a mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti, le lezioni di vita, gli esempi.

Il bene della Chiesa non è nel fare tabula rasa quando qualcuno che amiamo e stimiamo lascia il posto ad altri, nel naturale avvicendamento dei ministeri che sono SERVIZI alla Chiesa.

Il bene della Nostra Madre Chiesa è nell'essere SEMPRE lavoratori nella Vigna, ricordandoci, appunto, che il "vero" Padrone della Vigna è Cristo.

Il bene della Chiesa è nel continuare a convertirci, a girarci verso di Lui: a ricordare a noi stessi, che siamo cattolici, che vivere da cattolici è dare a Lui il primato.
Lavorare nella Chiesa non è lavorare solo quando le nostre preferenze "personali" vengono soddisfatte.
Papa Benedetto, in questo, ci dovrebbe essere di stimolo e modello: ha perseverato con coraggio, pur trovandosi tante volte da solo, come "voce di uno che grida nel deserto"(Gv 1,23).

La speranza forte, in questo momento, è che ciascuno di noi la smetta di voler essere "voce fuori dal coro", perché la Comunità Ecclesiale è "corale", ma spetta anche a noi renderla tale, a partire dalle nostre piccole realtà, a partire dalle nostre famiglie, piccola Chiese domestiche secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II.
Saremo nel coro solo lavorando nella Chiesa, cercando di collaborare con gli altri, anche quando pure per noi arriverà il momento di "gridare nel deserto" del relativismo, dell'incomprensione, del progressismo, dell'immoralità, della dissacrazione dell'etica.

Il Papa, con la sua preghiera, ci aiuti a superare la tentazione di lottare isolati per la Chiesa, e ci spinga sempre a ricordare che la Chiesa è COMUNITA'.

martedì 19 febbraio 2013

NUOVO BLOG DEDICATO A MARIA AUSILIATRICE


Cari amici, con grande gioia e con un po' di "trepidazione informatica" vi segnalo il mio nuovo blog, che è nato dopo quasi un anno di riflessione, meditazione, ritagliando spazi di tempo fra le varie occupazioni quotidiane e gli altri blog, per raccogliere le idee ed organizzarle. 

Vi sarò grata se, nel visitarlo, avrete per me un ricordo nella vostra preghiera, perché anche questo nuovo, piccolo lavoro telematico, possa essere umile strumento per la diffusione e l'incremento della devozione a Maria Santissima, invocata con il titolo di Ausiliatrice, la cosidetta "Madonna di don Bosco".

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Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.Licenza Creative Commons




lunedì 18 febbraio 2013

QUANDO MAI, SIGNORE TI HO INCONTRATO? -DA SAMARITANI A CRISTIANI, DA CRISTIANI A BUONI SAMARITANI- RIFLESSIONI A MARGINE DEL VANGELO DI OGGI-



"Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice:
Dammi da bere"! 

(Gv 4,10)





Sono le parole di Cristo alla Samaritana, incontrata, "attesa" al pozzo di Sichar.
Si sposano con la Parola proclamata quest'oggi nella Liturgia ed in particolar modo con il Santo Vangelo (Mt 25,31-46)
Descrivono un incontro che si svolge in una splendida atmosfera di "riservatezza" fra Dio e la Sua creatura.
Una riservatezza che è quasi intimità fra due assetati: il Cristo assetato non solo e non tanto come Uomo, fisicamente arso dalla sete nel meriggio di una calda giornata, ma un Dio che èbrama fin dall'Eternità  l' amore della Sua creatura.

Dio aspetta così, a quel pozzo, la donna samaritana.
Non si ferma lì casualmente, non ha "sete" per una semplice circostanza.
'La samaritana, la "mal vista" per eccellenza dai Giudei è attesa, in quell'ora, in quel momento, vicino a quel pozzo carico di significati.
La samaritana che è anche donna, con un peso sociale inferiore all'uomo, in una realtà fortemente maschilista.
La samaritana che, per giunta, è anche una "poco di buono", passata da un "marito" all'altro, ma che in realtà non ha marito, ma una collezione di uomini nei quali ha proiettato -in maniera sbagliata- il proprio desiderio di essere amata e di amare.

Gesù l'aspetta, come il "povero" che mendica: tale è descritto in uno splendido testo-commento di don Primo Mazzolari.
Gesù l'attende -lontano da occhi indiscreti- per "conquistarla", per farle finalmente comprendere, intuire, percepire, il fascino dell'Unico, Vero, Eterno Amore.

"Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice:
Dammi da bere"!

(Gv 4,10)

Scrive don Mazzolari: "La donna non sa.
Io no lo so perché considero il dare a Cristo quasi un togliere a me o ad altri. Mentre in Lui c'è ogni creatura, ed anche una goccia d'acqua data all'ultimo, arriva fino alle Sue labbra".

"In Lui c'è ogni creatura": ecco il punto di conversione, in cui nella carità verso i fratelli, in verità noi ci giriamo verso Dio.
Cristo e i fratelli sono un Corpo unico.
Cristo è il Capo di questo Corpo mistico, che è la Chiesa.
Cristo è Colui che -in quanto Uomo- nella Sua Umanità raccoglie "tutte" le nostre umanità, la fame di ogni creatura, la sete di ogni essere umano.
Il freddo, la malattia, il carcere di cui parla il Vangelo di oggi: tutte esperienze, desideri, sofferenze che Cristo raccoglie, vive, sperimenta in Sè.
Cristo aspetta al pozzo la Samaritana, la donna, l'ultima, la disprezzata, la poco di buono.

Quello stesso Cristo che elogia, nel Vangelo di oggi, i giusti che hanno colmato il desiderio del povero affamato, dello stanco assetato, del barbone nudo, del delinquente carcerato...

Gesù elogia il dare a Lui attraverso il dare ai fratelli.
Dare all'umanità che soffre, perché nell'Umanità terrena e sofferente del Cristo è stata già "vissuta" misticamente, ma anche realmente, concretamente, quella sofferenza di ogni uomo di tutti i tempi.

Il Vangelo odierno offre uno spunto interessante per sottolineare soprattutto il "vantaggio" di donare da cristiani.
Lo si trova nella domanda che i giusti rivolgono al Signore: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito?
Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.

"QUANDO? QUANDO MAI"?

Sembrano domande di chi non conosca il Vangelo, eppure un cristiano lo conosce bene, se conosce LUI!
Mi piace pensare che quel "Quando mai"? raccolga, racchiuda lo stupore di tutti i giusti della terra che non sanno di essere giusti.
Che quella meraviglia interrogativa sia lo scrigno che cela un grande tesoro: il cuore dell'uomo, anche di quello non credente. è pur sempre uno spazio in cui alberga un germe divino, perché tutti gli uomini sono creati a immagine e somiglianza divina.
Molti, allora, possono agire nei confronti del loro prossimo secondo le richieste del Vangelo, anche senza conoscerlo. 

Molti, dunque, si sentiranno rivolgere -alla fine dei tempi- le parole di Gesù: "Venite, Benedetti dal Padre mio"!

Per noi, però, l'invito del Cristo è più esigente: Egli non ci chiede di agire sulla base di una semplice compassione "umana", ma "divina".
L'altro è immagine di Dio, l'altro è membro del Corpo Mistico, l'altro è "Carne della Carne" di Dio stesso.
Il bisogno dell'altro è racchiuso nel bisogno di Dio.

E il bisogno di Dio si manifesta nel bisogno dell'altro.
La sete d'Amore di Dio si esprime anche in una "sete" di atti umani.
Agisco verso "il fratello più piccolo" per lenire oggi, quella sete, quella fame, quel freddo, quella sofferenza che Cristo Uomo ha patito duemila anni fa.
Bisogni sintomi di un bisogno più alto, più sublime, più spirituale: fame e sete d'AMORE!

Questo mi mette nelle condizioni di aggiungere un qualcosa alla mia "buona azione".
Non le toglie la difficoltà di essere a volte compiuta vincendo le naturali ripugnanze, la noia, le antipatie.
Le concede però il privilegio di essere una carità tutta soprannaturale, in cui opero come opera Dio: DONANDO, non semplicemente "facendo" qualcosa....

Commenta Mazzolari: "Io ho bisogno di tutto, ma più che delle cose ho bisogno del dono, cioè di quella cosa (ma non è una cosa, pur essendo la più reale delle cose) che accompagna l'offerta.

Io ho bisogno del dono: che un pò d'amore, che tutto l'amore accompagni ciò che mi viene posato sulle mani, sulle labbra e sul cuore.
Il valore vero, il valore umano, ciò che disseta, ciò che placa, ciò che sazia, che riposa, che non umilia il mendicante è il dono.


L'uomo divene sacerdote nel momento in cui dà se stesso nella cosa.


In ogni scambio o si raggiunge questa sacerdotalità che rivela l'amore e fa quasi un sacramento di ogni rapporto umani, o si resta commercianti, condannati al piano economico".


Il nostro sacerdozio comune, quello di laici battezzati è quasi...un'investitura: ci abilita, ci rende ricolmi della Grazia che fa possibile il dono, l'arte del donare.

E' un'investitura che -come base- opera in tutti, finanche nel sacerdozio istituito.


Rembrandt, "Il buon samaritano"

Basti pensare alla parabola del buon Samaritano (Lc 10,29-37) : accanto all'uomo derubato e malmenato dai briganti passa un sacerdote che non si cura di lui;
passa un levitico (e questo elemento non è casuale: solo la tribù di Levi godeva del "privilegio" di poter dare sacerdoti al Signore!) e anche questi lascia il poveretto in mezzo alla strada....

passa infine un Samaritano, il "nemico", il malvisto e opera la carità più bella, ci mette quel qualcosa in più, offre il DONO. IL DONO DI SE', non solo delle cose che servono per fasciare le piaghe dell'uomo picchiato. 
Non soltanto i soldi per pagare le cure.
Offre sè stesso nel vincere subito -senza fermarsi neanche a pensare!- la rivalità fra due popoli;
offre sè stesso nel tempo che trascorre con l'altro;
offre sè stesso nel caricarsi sulle spalle il fratello....
Un dono così squisito, così disinteressato, da arrivare fino al superfluo: "ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno".



Anche Gesù si è fatto nostro samaritano, si è reso l'ultimo, il reietto, il condannato, il povero, per farSi avvicinare dall'umanità e ricevere amore.

Per rendere "divina" la carità verso i fratelli Si è fatto Egli stesso "samaritano": il misconosciuto dal Suo stesso popolo, il disprezzato, Colui che incappa nei "briganti" e viene ucciso....

Gesù si è anche avvicinato ai Samaritani di tutti tempi e lo ha fatto ponendoSi accanto agli ultimi, ai peccatori, ai disprezzati.

Potremmo rileggere, nella figura del Samaritano, il simbolo di quanti vengono messi da parte perché "scomodi", perché ammalati o peccatori, ladri o immorali...
Il Samaritano ci mette davanti alla nostra paura di "sporcarci le mani" per fare anche agli ultimi del bene.

Gesù incontra una Samaritana malata d'amore, che si è curata per troppo tempo con gli amori sbagliati : e la guarisce.

I discepoli, rientrando dalle loro commissioni, non capiscono inizialmente il Suo gesto controcorrente, quello di un "Uomo" che parla, da solo, con una donna, samaritana e pure peccatrice!


Gesù incontra Zaccheo e Levi: due pubblicani... e non sono anche loro dei samaritani "simbolici"?
Cosa avviene dopo quell'incontro?
Levi diventa Matteo, uno dei dodici; Zaccheo cambia vita anche lui e promette di rifondere il frutto delle sue ruberie, addirittura con gli interessi!

Cristo salva da lapidazione sicura una prostituta, facendo rimanere in un silenzio -che è ammissione di colpa- la massa benpensante di anziani ebrei che l'accusavano....

Ma se dovessimo andare indietro, fin dal principio della vita di Cristo: che dire di Maria e Giuseppe?
Avranno fatto terra bruciata anche intorno a loro, dopo che Maria rimase incinta per opera dello Spirito Santo.
Avranno parlato -magari più o meno sommessamente- facendo dell'ironia sulla gravidanza della Vergine, perché non conoscevano la Verità... e non volevano aprirsi al Mistero.

Maria e Giuseppe sono stati "resi" samaritani dai loro stessi compaesani!


E andando alla fine, quando sul Golgota finisce l'esistenza terrena di Gesù, ecco che il Figlio dell'Altissimo, condannato alla più infame ed atroce delle morti, accetta di essere crocifisso accanto a due ladroni, a due "veri" derelitti.

La scena finale della parabola "umana" di Dio ci offre l'alternativa fra "samaritanesimo" e "cristianesimo".

Gesù si fa samaritano di entrambi quei due...samaritani della società ebrea.
Uno di loro accetta quel gesto di aiuto, di Amore. 
Cambia vita, all'ultimo minuto, su un legno come quello che sorregge anche Gesù.
Si fa "cristiano".

L'altro, nella sua ostinata cattiveria, non accetta l'aiuto del "Buon Samaritano".
Rimane "samaritano" nel senso peggiore: non è escluso dagli altri: si autoesclude, rinuncia all'Amore, alla felicità eterna.

L'alternativa tra "samaritani" e "cristiani" è ancora oggi attuale.
Rischiamo di rimanere impelagati in terminologie che non hanno nulla dell'essenza del Vangelo, tralasciando il "nuovo", positivo significato che Gesù ha dato alla parola "SAMARITANO", facendone quasi un sinonimo di "buon cristiano compassionevole".

Il Signore ci aiuti ad essere, sul Suo esempio, buoni samaritani che offrono agli altri una risposta al bisogno d'amore innato in ogni creatura.
Ma ci renda anche capaci di accettare la mano tesa dai nostri fratelli.
Perché in ognuno di noi convivono due aspetti: la capacità di donare e di ricevere.

Di essere buon samaritano per il sofferente e samaritano bisognoso per il prossimo che ci tende una mano. 

Di essere "cattivi" samaritani prima, cristiani poi. 
Di essere "i benedetti del Padre" che hanno saputo trovare, in ogni samaritano del quotidiano, l'immagine di Dio da amare, rispettare, benedire.
Di essere i "samaritani" assetati d'Amore che hanno accettato con gioia la vicinanza degli altri, non chiudendosi nell'egoismo dell' Io che toglie il posto a Dio, quel Dio che anche il mio prossimo mi può manifestare nel suo gesto di carità.