domenica 31 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - 31 gennaio 2016


DAR DA MANGIARE AGLI AFFAMATI
(in collaborazione con Enza, foodblogger su Foodtales)



Quale opera di  misericordia, più del «dare da mangiare agli affamati», si presta a una rilettura che comprenda tanto l'aspetto corporale in essa principalmente contemplato, quanto quello spirituale che essa richiama metaforicamente?
Chiamatiallasperanza e Foodtales vi invitano a compiere un breve viaggio, "saporito e celestiale", in una delle consuetudini salesiane ancora oggi in auge e sempre apprezzata dai ragazzi.



PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



È tradizione, nelle case salesiane, festeggiare la solennità di don Bosco (o altre ricorrenze importanti) offrendo ai ragazzi un panino con la mortadella o con il salame, cibo semplice - ma gustoso - che riscuote ancora oggi "grande successo". La consuetudine deriva dalle abitudini che il santo introdusse all'Oratorio nei giorni festivi, per i quali era prevista, dopo la confessione e la Comunione, la distribuzione di pane e salame a tutti i giovani.
Piccolo gesto di carità materiale che, tuttavia, considerando i tempi e la povertà d'origine di molti degli oratoriani, acquistava un sapore e un "valore" ineguagliabili. Il panino con il salame diventava, infatti, segno tangibile di festa ed espressione della carità pastorale di don Bosco, attento tanto a nutrire lo spirito dei suoi ragazzi, quanto il loro corpo; quella pagnotta era finezza dell'educatore che invogliava i giovani a essere sempre più dei "buoni cristiani" anche attraverso la pedagogia... dell'appetito, specialmente quando si trattava di distorglierli da divertimenti pericolosi [1].
E poi, quel panino rappresentava, non di rado, il frutto diretto o indiretto della generosità dei benefattori delle opere salesiane. In una pagnotta con del buon salame, i giovani potevano gustare l'espressione di una carità in circolo, di un movimento di bene, di un affetto "condiviso" nello stile di Gesù, Pane spezzato per tutti.
Le Memorie Biografiche narrano, in proposito, il gesto di "amorevolezza" (don Bosco non esiterebbe a definirlo tale, ancor più che di carità o di misericordia) compiuto dal Marchese Fassati, catechista a Valdocco, in occasione dell'ultimo giorno di carnevale del 1855, «nel quale si compieva l'esercizio di buona morte in suffragio delle Anime del Purgatorio. 
Disse: - I figli di D. Bosco l'ultimo giorno di carnevale sogliono consolare le anime purganti, coll'offrire in loro sollievo la Confessione, la santa Comunione ed apposite preghiere, ed io voglio rallegrare essi medesimi; - e così fece. 
Era il 20 febbraio. Al mattino oltre un centinaio di giovanetti dell'Ospizio e molti altri dell'Oratorio festivo udirono la Messa, si accostarono ai SS. Sacramenti, risposero alle preghiere della buona morte recitate da D. Alasonatti, ed offersero a Dio per le anime sante non solo quelle pratiche di pietà, ma la pena di un freddo intenso, che intirizziva le membra. Ma all'uscire di Chiesa essi trovaronsi un premio inaspettato; ed erano due buone pagnotte, accompagnate da una grossa fetta di salame. Pareva che le Anime purganti li ricompensassero, per mano del signor Marchese, del sollievo loro portato coi loro suffragi» [2].
Il Marchese volle allietare, quell'anno, anche la festa di san Luigi Gonzaga e fece in modo di «procacciare ai giovani una non comune allegria. La sera di quel dì, che fu la prima domenica di luglio, dopo le sacre funzioni, egli provvide pane e salame a tutti i convenuti all'Oratorio, i quali, compreso il gran numero di esterni, superavano gli ottocento. Siccome era molto generoso, così ei volle che il companatico fosse piuttosto abbondante; onde era un divertimento il vedere i giovani che, ricevuta la propria porzione, se la mettevano dinanzi agli occhi, e mirandola gridavano in tono di giubilo: Non si vede Soperga, non si vede Soperga [3]. È  questa una frase famigliare per dinotare la grossezza di una fetta di salame o di cacio: in quanto che se lascia vedere Soperga, collina al nord-est di Torino, è segno che è sottile e trasparente; se no, è prova che è spessa ed opaca, e vi ha molto a godere. 
Questi ed altrettali atti di carità, esercitati ora da questo, ora da quell'altro dei signori di Torino, erano di efficace stimolo ai giovanetti esterni ad intervenire al catechismo e alle religiose funzioni dell'Oratorio. Essi vi scorgevano come un avveramento di quella sentenza del santo Vangelo: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato per giunta. Ricevendo a quando a quando questa giunta in modo loro adattato, attendevano più spesso e volentieri alle cose di Dio e dell'anima, a poco a poco si fondavano nella religione, si fortificavano nella virtù, e così rendevansi buoni cristiani, savii ed onorati cittadini» [4].
Così, il panino con il salame rammenta che la gioia cristiana passa, oltre che dal principale e indispensabile nutrimento dell'anima, anche attraverso un semplice pane con companatico condiviso con cuore generoso, accettato con buon appetito, gustato con riconoscenza verso quel Padre celeste che si preoccupa - nella sua misericordia e attraverso la carità umana - di tutto ciò di cui i suoi figli hanno bisogno. Don Bosco, specchiandosi nel Volto di Cristo - Volto della misericordia - offre così un ritratto di felicità che si snoda anche attraverso le cose più semplici. Quelle cose che servono a dare sapore alla vita dell'uomo, affinché l'uomo sappia dare sapore al mondo (cfr. Mt  5, 13).


NOTE

[1] Così raccontò Giovanni Villa, oratoriano: «In alcune feste dava a tutti colazione con pane e salame. Ricordo che un anno, nella festa dello Statuto, perché noi non andassimo in città a prendere parte a divertimenti pericolosi, comprò salami, pane e piccole bottiglie di vino, e appese tutto a una corda. Poi disse: "Un signore mi ha dato qualche cosa per far un po' d'illuminazione per la festa dello Statuto. E io ho pensato di comprare questo per voi. Ora ognuno estrarrà un numero: il primo prenderà il pane, il secondo il salame, il terzo la bottiglietta del vino". Così abbiamo fatto, e per gruppi di tre, lieti e contenti facemmo merenda. Con queste industrie egli ci chiamava attorno a sé». Testimonianza tratta da Teresio Bosco, Don Bosco visto da vicino, Elledici, 1996, in http://www.elledici.org/section/tutto-don-bosco/testimonianze

[2] MB V, 199.

[3] Don Bosco  condusse varie volte i suoi ragazzi a Superga (dove sorge la Basilica omonima); le "passeggiate" si svolgevano tra canti e preghiere. Cfr. MB III, 160.

[4] MB V, 257-258.

sabato 30 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 9


PREGARE PER I VIVI E PER I MORTI


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.


PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



Nel 1857 don Bosco pubblicò un libretto dal titolo Due conferenze tra due ministri protestanti ed un prete cattolico intorno al Purgatorio e intorno ai suffragi dei defunti. È un'opera catechetica che non si sofferma semplicemente sulla "dottrina", ma che invita anche all'opera di misericordia del pregare per i defunti, ricordando inoltre al lettore, che ciascuno è tenuto a pensare allo stato in cui  si ritroverà dopo la morte. In sostanza, pregare per le anime purganti e riflettere sul Purgatorio è un monito a essere caritatevoli con chi ci precede nella via della purificazione finale, prima dell'incontro con il Signore, perché ogni anima, si troverà ad affrontare il giudizio particolare.
Così si espresse don Bosco:
«La credenza universale intorno all'esistenza del Purgatorio, la sollecitudine che gli stessi Gentili e Pagani ebbero di suffragare i trapassati, la certezza di questi suffragi devono animar ogni fedel cristiano di adoperarsi a sollevare quelle anime secondo le forze del proprio stato.
Iddio nella Sacra Scrittura ci avvisa essere cosa santa e salutevole il pregare pei fedeli defunti a fine di suffragarli e che così sciolti dalle pene che patiscono pei loro peccati possano giungere a quella eterna felicità che loro sta preparata. Iddio riguarda le anime purganti come sue amiche e sue spose destinate a goderlo e lodarlo in cielo, e come tali le ama con amore infinito. Ma poiché in quel regno di beatitudine non vi può entrare alcuno che abbia in sé la più piccola macchia; egli è perciò che quelle anime si rivolgono a noi con gemiti e sospiri, affinché con preghiere, limosine, digiuni ed altre opere di carita, ci affrettiamo di portar loro soccorso. Il suffragare i defunti non è solo il far del bene a quelle anime, anticipando loro il Paradiso, ma è fare un bene a noi medesimi, poiché colla carità che loro usiamo nel suffragarle acquistiamo merito presso Dio e ci rendiamo benevole quelle anime le quali giunte in cielo certamente porgeranno a Dio calde preghiere per noi e ci assisteranno colla loro valida protezione in tutti i nostri bisogni spirituali e temporali.
Se i gravi tormenti che quelle anime soffrono in purgatorio ci devono muovere a recar loro soccorso, dobbiamo tanto più esserne solleciti, perché molte di esse sono a noi congiunte per amicizia o parentela, come sono i genitori, fratelli, sorelle ed altri: verso ad altri siamo obbligati pei benefizi da loro ricevuti, e forse alcuni si trovano a patire quelle pene per averci troppo amati, o per essersi data troppa sollecitudine a procurarci quelle medesime sostanze, che noi ora godiamo. Quelle anime, a cui per tanti titoli siamo obbligati, sono quelle stesse che dal mezzo dei tormenti alzano la voce, e colle parole del santo Giobbe c'invitano a suffragarle gridando: Oh almeno voi che mi siete obbligati o per amicizia o per parentela, movetevi a pietà di me e soccorretemi; perché là potente e giusta mano del Signore mi percuote» [1]. 



Illustrazione che ritrae don Bosco morente, attorniato dai suoi figli



Don Bosco sperimentò l'opera di misericordia del "pregare per i vivi e per i morti" in varie circostanze (egli stesso, per esempio, chiedeva ai suoi ragazzi di rimanere in cappella a pregare, quando abbisognava di risolvere positivamente qualche commissione), ma in modo particolare quando si trovò ad affrontare l'ultima infermità, quella che nel 1888 lo portò alla morte. Salesiani, religiosi, laici... furono in molti a elevare al Cielo ferventi orazioni per lui, non solo a Torino, ma in tutto il mondo.
«Arrivarono tre signori belgi, desiderosi di vederlo. Permise che entrassero, purché promettessero di pregare per lui. Li benedisse e: 
- Promettetemi, disse, di pregare per me, per i Salesiani e specialmente per i Missionari
Partiti i medici, ecco affacciarsi la maestosa figura del cardinale Alimonda, che, appressatosi, lo abbracciò e baciò teneramente. Don Bosco si tolse il berrettino da notte e disse: 
- Eminenza, le raccomando che preghi, perché possa salvare l'anima mia. - 
Poi soggiunse: - Le raccomando la mia Congregazione. Sia il protettore   dei Salesiani. 
- Ma lei, Don Giovanni, riprese il Cardinale, non deve temere la morte. Ha raccomandato tante volte agli altri di star preparati! - Ce ne parlò tante volte! confermò Monsignore. Era anzi il suo tema principale.
 - L'ho detto agli altri, soggiunse tutto umile Don Bosco. Ora ho bisogno che gli altri lo dicano a me.
Egli volle quindi la benedizione del Cardinale, che nel congedarsi lo riabbracciò e ribaciò con profonda commozione [2]».
Al peggiorare delle condizioni, don Rua non mancò di chiedere preghiere a tutti i Salesiani, inviando loro una prima circolare ufficiale sulla salute del loro padre fondatore. 
Il 29 gennaio, il santo lasciò una sorta di testamento ai suoi cari figli, e in esso vi è uno splendido invito alla misericordia reciproca, che, sebbene indirizzato ai salesiani, bene si può adattare a ogni cristiano, chiamato a vivere in comunione con i propri fratelli in Cristo, e destinati tutti ad affrontare l'ultimo viaggio da questa vita terrena a quella eterna: «Sull'imbrunire fece chiamare Don Rua e monsignor Cagliero e raccogliendo le poche forze che aveva disse per loro e per tutti i Salesiani: 
- Aggiustate tutti i vostri affari. Vogliatevi tutti bene come fratelli; amatevi, aiutatevi e sopportatevi a vicenda come fratelli. L'aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice non vi mancherà. Raccomandate a tutti la mia salvezza eterna e pregate [3]».


NOTE

[1] OE IX, II, pp. 131-133.

[2] MB XVIII, 488; 491.

[3] MB XVIII, 502.

venerdì 29 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 8


VISITARE GLI INFERMI


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.


PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



Allo scoppio del colèra a Torino (1854), don Bosco si spese per la visita e la cura degli ammalati. Gli venne affidato l’incarico di Direttore spirituale in un lazzaretto nella parrocchia di Borgo Dora, e vi si recava assieme a don Alasonatti, senza badare «né a cibo, né a sonno, nè a riposo. D. Bosco gettavasi allo sbaraglio, non curandosi di veruna precauzione per non attaccarsi il morbo. Vegliava di giorno e di notte. Per lungo tempo non prese altro riposo che gettandosi per un'ora o due su qualche sofà o seggiolone. Di dormire in letto non se ne parlava». Coinvolse in quest’opera di misericordia anche i suoi ragazzi, invitando i volontari a seguirlo, ma non senza aver adottato una particolare “precauzione”: egli aveva assicurato loro che, se fossero rimasti in grazia di Dio, nessuno si sarebbe ammalato. Così, «coi giovani più grandicelli egli andava continuamente qua e là dove sapeva esservi colerosi, portando medicine, limosine e robe. Entrava in tutte le case ove erano infermi, ma non poteva fermarsi molto tempo essendo troppi coloro che avevano bisogno del suo ministero sacerdotale. Quando vedeva che in quelle case vi era nessuno per l'assistenza corporale, lasciava o mandava poscia uno dei suoi giovani, i quali passavano molte notti al letto degli ammalati. Colla sua calma amorevole egli sapeva incoraggiarli, lodandone la buona volontà, e non ebbe mai Parole che accennassero alla minima impazienza. Anche la carità dei giovani infermieri si mostrò eguale a quella di D. Bosco. Ma non si ha a credere che loro non toccasse di fare da principio un supremo sforzo, per superare la paura e vincere se stessi. Tra gli altri uno di quei 14, che pei primi diedero il proprio nome, e si accostarono coraggiosamente al letto dei colerosi, basterebbe da solo a farci comprendere la violenza che fu loro necessaria, per applicarsi a quell'opera, e durarla sino alla fine. Imperocchè la prima volta che egli pose piede nel lazzaretto, al vedere gli atti che facevano i colpiti dal terribile morbo, al mirarne le facce livide e incadaverite, gli occhi incavati e semispenti, al vederli soprattutto a spirare in orribil modo, fu preso da tanto spavento, che divenne pallido al pari di loro, gli si oscurò la vista, gli mancarono le forze e svenne. Fortunatamente si trovava con lui D. Bosco, il quale, accortosi del caso, lo trattenne dal cadere a terra, lo trasportò all'aria libera, e lo fece tosto confortare con apposita bibita; chè altrimenti il poverino sarebbe forse stato giudicato per assalito dal coléra, e messo cogli altri infermi.  Veramente non di poco coraggio era d'uopo esser fornito, per raggirarsi intrepido tra quei luoghi del dolore e della morte. Imperocchè oltre gli strazianti patimenti, a cui erano in preda tanti poveri malati, restringeva il cuore per alta compassione, il vederli, non appena spirati, trasportare nel vicino deposito, e quasi subito trasferire al cimitero e sotterrare» [1]. 





Anni prima, nel luglio del 1846, don Bosco si era ammalato gravemente. Così gravemente da trovarsi a un passo dal morire. I suoi troppo impegni e le ore rubate al riposo notturno per scrivere i suoi libri, avevano compromesso la sua salute, già non di ferro. Fu in quell'occasione che sperimentò su di sé - forse in maniera più intensa che mai - l'opera di misericordia "visitare gli infermi".
«Quando si sparse la notizia che la mia malattia era grave, tra i giovani si diffuse un dolore vivissimo, una costernazione incredibile. Ogni momento, alla porta della stanza dov'ero ricoverato arrivavano gruppi di ragazzi. Piangevano e chiedevano mie notizie. Non se ne volevano andare: aspettavano di momento in momento una notizia migliore. Io sentivo le domande che rivolgevano all'infermiere, e ne ero commosso.
L'affetto verso di me li stava spingendo a veri eroismi. Pregavano, facevano digiuni, partecipavano alla Santa Messa e facevano la Comunione. [...] Dio li ascoltò. Era un sabato sera, i medici fecero consulto e pronunciarono la sentenza: quella sarebbe stata la mia ultima notte di vita. Ne ero convinto anch'io, perché non avevo più forze e avevo continui sbocchi di sangue. A notte avanzata sentii una gran voglia di dormire, e mi assopii. Quando mi svegliai ero fuori pericolo. I medici Botta e Caffasso mi visitarono al mattino, e mi dissero di andare a ringraziare la Madonna per grazia ricevuta. La notizia gettò la gioia tra i miei ragazzi. Non volevano crederci se non mi vedevano. E mi videro infatti pochi giorni dopo. Appogggiandomi a un bastone mi recai all'Oratorio. Mi accolsero cantando e piangendo, con una commozione che è più facile immaginare che descrivere. Cantarono un inno di ringraziamento a Dio, mi avvolsero di acclamazioni e di entusiasmo» [2].


NOTE

[1] MB V, 92-94.

[2] San Giovanni Bosco, Memorie, trascrizione in lingua corrente, Elledici, 1986, pp. 157-158.

giovedì 28 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 7


VISITARE I CARCERATI


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.



PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



D. Cafasso, guida spirituale di don Bosco, condusse il santo nelle carceri torinesi, dove svolgeva parte del suo ministero e del suo apostolato. L’esperienza segnò profondamente il giovane sacerdote, che decise di spendersi per i tanti giovani a rischio, nella Torino dell’epoca, affinché non incappassero anche loro nella stessa infelicità di quei ragazzi rinchiusi in cella. Così riportano le Memorie Biografiche:
«Il sacerdote Cafasso vi entra, così D. Bosco. Non lo sgomentano le sentinelle e le guardie; passa le ferree porte e i cancelli; non si commuove al rumore dei catenacci; non lo arresta l'oscurità, l'insalubrità, il fetore del luogo. In una di quelle stanzacce si ride e sghignazza, in un'altra si canta, e sono urla più di animali feroci che di umane creature. Qua si maledice, là si rissa, si parla osceno,  si vomitano orribili bestemmie contro Dio, contro la B. Vergine e contro i Santi. Il coraggioso sacerdote a simile spettacolo prova in cuor suo amaro cordoglio, ma non si perde di animo. Appena egli incomincia a parlare a quel nuovo genere di uditori viene tosto ad accorgersi che costoro sono divenuti infelici, anzi abbrutiti, perché la loro sventura derivò piuttosto da mancanza d'istruzione religiosa che da propria malizia. Parla loro di religione, ed è ascoltato; si offre di ritornare, ed è atteso con piacere. Continua i suoi catechismi, invita ad aiutarlo altri sacerdoti, in fine riesce a guadagnarsi il cuore di quella gente perduta. Si incominciano le prediche, si introducono le confessioni.  Però se questi frutti consolanti fin da principio cagionano grande gioia a D. Bosco, un'emozione vivissima egli prova, di spavento e di pietà ad un tempo. L'incontrare nelle carceri turbe di giovanetti e di fanciulli sull'età di dodici ai diciotto anni, tutti sani, robusti e d'ingegno svegliato; vederli là inoperosi e rosicchiati dagli insetti, stentando di pane spirituale e temporale, espiare in quei luoghi di pena con una trista reclusione, e più ancora coi rimorsi le colpe di una precoce depravazione, fa inorridire il giovane prete. Cercando la causa di tanta depravazione in quei miseri giovani, gli parve di trovarla non solo nell'essere stati lasciati, dai parenti in un deplorevole abbandono nello stesso loro primo ingresso nella vita, ma molto più nel loro allontanamento dalle pratiche religiose nei giorni festivi. Convinto di ciò D. Bosco andava dicendo: Chi sa, se questi giovanetti avessero avuto forse un amico, che si fosse presa amorevole cura di loro, li avesse assistiti ed istruiti nella religione nei giorni di festa, chi sa se non si sarebbero tenuti lontani dal mal fare e dalla rovina, e se non avrebbero evitato di venire e di ritornare in questi luoghi di pena? Certo che almeno il numero di questi piccoli prigionieri sarebbe grandemente diminuito. Non sarebbe ella cosa della più grande importanza per la religione e per la civile società il tentarne la prova per l'avvenire a vantaggio di centinaia e migliaia di altri fanciulli? E pregava il Signore che gli volesse aprire la via per dedicarsi a quest'opera di salvamento per la gioventù» [1].  



Don Bosco non fu mai carcerato , né venne assoggettato a misure restrittive come quelle coinvolsero - per permissione divina - Padre Pio o altri santi.
Non si sbaglia però nel dire che, per un periodo di tempo, egli visse in stato d'allerta, minacciato dai suoi "avversari" (spesso per questioni religiose) e, in un certo senso, sebbene non carcerato... bisognoso di "scorta". Di fatto, era come se alla sua libertà venisse imposto un limite. Non era propriamente agli "arresti domiciliari" in senso lato, ma rischiava grosso, andando in giro fuori Torino senza protezione. Fu allora che il santo fece un incontro inaspettato, ma provvidenziale, ricevendo una "visita" inattesa.
Una sera, mentre rientrava da solo a Valdocco (a quei tempi occorreva percorrere un tratto piuttosto lungo di campagna, pieno di cespugli e di acacie, terreno propizio per dare riparo a qualche malintenzionato), non senza un filo di paura, don Bosco vide "sbucare" accanto a sé un grosso cane grigio. Superato l'iniziale spavento, il santo si accorse che le sue intenzioni erano benevole, e così si lasciò accompagnare da lui fino all'oratorio, cosa che si ripeté più volte. Quel cane divenne così, nell'idea di tutti all'Oratorio, "il cane di don Bosco".
E fu proprio il Grigio a salvargli la vita per ben tre volte.
L'ultima ebbe luogo sul finire del novembre 1854.
Ecco come narrano il fatto le Memorie Biografiche [2]:
«Una sera, molto oscura e nebbiosa, egli veniva a casa dal centro della città, dal Convitto, e per non camminare troppo lontano dall'abitato scendeva per la via che dal Santuario della Consolata mette all'Istituto del Cottolengo. Ad un certo punto della strada D. Bosco si accorge che due uomini lo precedevano a poca distanza, ed acceleravano o rallentavano il passo a misura che lo accelerava o rallentava egli pure; anzi quando ei tentava di portarsi dalla parte opposta per evitarli, destramente facevano altrettanto per trovarglisi dinanzi. Non rimaneva più alcun dubbio che fossero due male intenzionati; quindi cercò di rifare la via per mettersi in salvo in qualche casa vicina; ma non fu più in tempo; poiché quei due, voltatisi improvvisamente indietro e conservando cupo silenzio, gli furono addosso e gli gettarono un mantello sulla faccia. Il povero D. Bosco si sforza per non lasciarsi avviluppare; abbassandosi con rapidità, libera per un istante il capo e si dibatte. Ma gli oppressori mirano ad avvolgerlo vieppiù stretto e a lui non resta che di chiamare aiuto; e non può, perché uno di quegli assassini gli tura con un fazzoletto la bocca. Ma che? in quel cimento terribile di inevitabil morte, mentre invocava il Signore, compare il grigio, il quale si diede ad abbaiare così forte e con tal voce, che il suo pareva non il latrar di un cane e neppur di un lupo, ma l'urlare di un orso arrabbiato, sicché atterriva e assordava ad un tempo. Né pago di ciò, si slancia colle zampe contro uno di quei ribaldi, e lo costringe ad abbandonare il mantello sul capo di D. Bosco, per difendere sé  stesso; poi sì getta sopra dell'altro, e in men che non si dice, lo addenta e lo atterra. Il primo, vista la mala parata, cerca di fuggire, ma il grigio non lo permette, perché saltandogli alle spalle, getta lui pure nel fango. Ciò fatto, si ferma colà immobile continuando ad urlare, e guardando quei due galantuomini, quasi dicesse loro: Guai se vi movete. A questo improvviso mutamento di scena:
- D. Bosco, per carità! Ahi! Lo sgridi che non ci morda! Pietà, misericordia, chiami questo cane, - si posero a gridare quei due furfanti.
- Lo chiamerò, rispose D. Bosco, ma voi lasciatemi andare per i fatti miei.
- Sì, sì, vada pure, ma lo chiami tosto, gridarono nuovamente.
- Grigio, disse allora D. Bosco, vien qua ed esso obbediente si fa presso di lui, lasciando liberi quei malfattori, che se la diedero a gambe a più non posso. Nonostante questa inaspettata difesa, D. Bosco non se la sentì di proseguire il cammino sino a casa. Egli entrò  nel vicino Istituto del Cottolengo. Ivi, riavutosi alquanto dallo spavento, e caritatevolmente ristorato con una opportuna bibita, riprese la via dell'Oratorio accompagnato da una buona scorta. Il cane lo seguì fino ai piedi della scala per la quale si saliva in camera [2]».


NOTE

[1] MB II, 61-63. 

[2] Qualche forma verbale o altri termini più arcaici sono stato trascritti in lingua corrente, per non appesantire la lettura.

[2] MB IV, 716-718.

mercoledì 27 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 6


SOPPORTARE PAZIENTEMENTE
LE PERSONE MOLESTE


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.



PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



Tra le varie testimonianze su don Bosco, quella del teol. Ascanio Savio, suo compaesano e collaboratore dei primi tempi, emerge che «Don Bosco aveva saputo dominare talmente il suo naturale bilioso da parere flemmatico»[1]. Don Bosco era dotato di un temperamento forte, come risulta anche dai racconti che egli stesso fa nelle Memorie dell’Oratorio,  specialmente negli anni giovanili. Insomma, “sopportare pazientemente le persone moleste” costava un po’ di lavoro anche a don Bosco, come a tutti i santi, del resto. «A Don Rufino confidò la storia di una lettera mai scritta. Siccome neanche con i suoi erano tutte rose e fiori, si trovò a dover vergare un rimprovero. Appena alzato da letto, si accinse a scrivere, ma disse: “io sono in collera: questo foglio non sarebbe dettato da me, ma dallo sdegno”. Tramandò. Lungo il giorno più volte sedette a tavolino, dilazionando sempre finché rinunciò a scrivere. Si capisce allora perché alla chiusura degli Esercizi spirituali disse ai Salesiani: “Vi assicuro che alcune volte mi bolle il sangue nelle vene, un formicolio domina per tutti i sensi”. La sua calma abituale non era un dono di natura… Uno dei biglietti che egli distribuiva come ricordo, presenta questa norma: “La salvaguardia più sicura contro l’ira è il tardare a sfogarla”» [2]. Tra le parole del santo, le Memorie Biografiche riportano ancora altro, sul tema della pazienza: «bisogna avere la pazienza come compagna indivisibile.  
Lo so  che costa; ma sapete da che cosa deriva la parola pazienza? Da patior, pateris, passus sum, pati, che vuol dire patire, tollerare, soffrire, farci violenza. Se non costasse fatica, non sarebbe più pazienza. Ed è appunto perché costa molta fatica che io la raccomando tanto, ed il Signore la inculca con tanta istanza nelle Sacre Scritture.
Me ne accorgo anch'io che costa. E non crediate che sia il più gran gusto dei mondo stare tutta la mattina inchiodato a dare udienza o fermo al tavolino tutta la sera per dar corso alle faccende tutte, a lettere o simili. Non crediate che non costi anche a me, dopo di aver incaricato qualcuno d'un affare, o dopo di avergli mandato qualche incarico d'importanza o delicato o di premura, e non trovarlo eseguito a tempo o malfatto, non costi anche a me il tenermi pacato. Ma che?... impazientirci ?... Non si ottiene che la cosa non fatta sia fatta, e neppure non si corregge il suddito colla furia. Pacatamente si avvisi, si diano le norme opportune, si esorti, ed, anche quando è il caso di gridare un poco, si faccia, ma si pensi un momento: In questo caso, S. Francesco di Sales come si diporterebbe? - Io posso assicurarvi che, se faremo così, si otterrà quanto disse lo Spirito Santo: In patientia vestra possidebitis animas vestras [3]» [4]. 




Don Bosco ebbe modo di sperimentare su di sé la sopportazione altrui? 
Non occorre andare alla ricerca di casi "eclatanti" (ammettendo che ve ne siano), ma vale la pena ricordare l'esempio che gli diede mamma Margherita, acconsentendo alla richiesta del figlio di lasciare tutto per seguirlo a Valdocco e fare da madre ai tanti giovani che sarebbero arrivati all'Oratorio. C'è poi un episodio particolare delle loro vite, che dimostra quanto, nella sopportazione paziente delle molestie, ci si possa aiutare a vicenda, per agire seguendo l'esempio di Cristo, che fu il primo a sopportare pazientemente ogni molestia, per amore dell'umanità.
Don Bosco dopo tanta dedizione dimostrata da sua madre nel suo impegno a favore della gioventù, intervenne sapientemente (e senza parole!) in un momento in cui rischiava di perdere la preziosa collaborazione di sua madre. Lei, da quel momento in poi, ritornò a essere per il figlio - forse ancora più di prima  - un esempio concreto di come praticare la misericordia della sopportazione paziente.

«Margherita gioiva nel veder crescere intorno a D. Bosco le vocazioni ecclesiastiche; senonchè amava vivere ritirata, e colla sua grande perspicacia conosceva ciò che a lei era conveniente e ciò che non lo era. Sin da quando la casa fa costituita e D. Bosco incominciò a sedere a mensa in compagnia de' suoi primi chierici e preti, più non fu vista a pranzare con lui. D. Bosco avrebbe desiderato che qualche volta comparisse, ma essa sapeva sempre scusarsi. Siccome talora egli soleva invitare i giovanetti più buoni seco a pranzo, insistette perché ella sedendo in mezzo ad essi e assistendoli, procurasse di impedire le sgarbatezze, il vociare troppo forte, e che si insudiciassero, o mangiassero con troppa avidità. In modo speciale quando aveva commensali gente estranea alla casa o forestieri da lui invitati, desiderava di impedire quanto a questi signori avesse potuto dare argomento di censura. Mamma Margherita alla fine acconsentì, benché a malincuore; andò per circa una settimana, ma poi non si vide più. -Non è quello il mio posto, disse a Don Bosco; la presenza di una donna in quel luogo, stuona.
Nonostante però il suo aspetto tranquillo non è da credere che ella passasse la sua vita in Valdocco senza tribolazioni. Una donna amante dell'ordine e dell'economia domestica non può vedere di buon occhio sciupata quella roba che le costò spesa e fatica. E come impedire che giovanetti vivacissimi, non per mal animo, ma per spensieratezza, cagionassero più di un volta danni non indifferenti e quindi recassero qualche fastidio alla buona mamma?
Rinnovandosi però fatti consimili, un bel giorno del 1851, Margherita entrò nella camera del figlio, e: 
- Ascoltami, gli disse. Tu vedi come non sia possibile che io faccia andare innanzi bene le cose di questa casa. I tuoi giovani tutti i giorni fanno qualche nuova loro prodezza. Qua mi gettano in terra la biancheria pulita stesa al sole, là mi calpestano l'orto e tutti gli erbaggi. Non hanno cura alcuna dei loro vestiti e li stracciano in modo che non c'è più verso di riuscire a rattopparti. Ora perdono i moccichini, le cravatte, le calze; ora nascondono camicie e mutande, e non si possono più trovare; ora portano via gli arnesi di cucina per i loro capricciosi divertimenti e mi fanno andare attorno mezza giornata per cercarli. Insomma, io ci perdo la testa in mezzo a tanta confusione. Io era ben più tranquilla quando stava filando nella mia stalla senza rompicapi e senza ansietà. Vedi! Quasi quasi ritornerei là nella nostra casetta ai Becchi, per finire in pace quei pochi giorni di vita che ancora mi restano.
D. Bosco fissò in volto sua mamma, e commosso, senza parlare, le accennò il crocifisso che pendeva dalla parete.
Margherita guardò; i suoi occhi si riempirono di lagrime: 
- Hai ragione, hai ragione! - esclamò. E ritornò alle sue faccende. Da quell'istante più non sfuggì dal suo labbro una parola di malcontento.
Infatti da quel punto parve insensibile per quelle miserie. Un giorno uno di quei dissipatelli spaventava le galline e inseguendole le faceva correre sbandate per i prati circostanti. Marianna, la sorella di Margherita, gridava con quanta voce aveva in gola, perché il birichino lasciasse in pace le galline, e si affannava a ricondurle verso il pollaio.
Margherita, udendo quel gridio venne fuori, ed osservato il caso con tutta calma disse alla sorella: - Abbi pazienza! Che cosa vuoi farci! Vedi bene che hanno l'argento vivo nelle ossa!» [5]


NOTE

[1] Pietro Ciccarelli, Don Bosco al teleobiettivo, Sei, 1981, p.117.

[2] Ibidem, pp. 118-119.

[3] «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,19).

[4] MB XII, 456-457.

[5] MB IV, pp. 232-234.

martedì 26 gennaio 2016

Don Bosco e le opere di misericordia - Novena 2016 / 5


INSEGNARE AGLI IGNORANTI


L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.


PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO

O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.



Don Bosco  considerava la diffusione dei buoni libri come «una missione» affidatagli dalla «Provvidenza per difendere la fede  del popolo» [1]. Per questo motivo fu scrittore, giornalista, editore… imprenditore e apostolo della buona stampa, invitando anche «i suoi salesiani a non trascurare» quella che considerava una «parte importantissima della missione, uno dei principali fini della Congregazione» [2]. 
Il santo era consapevole della necessità di “insegnare agli ignoranti” da un punto di visto culturale e spirituale, animato dal concetto dello “sviluppo integrale della persona”, per fare dei suoi destinatari «buoni cristiani, onesti cittadini e futuri abitatori del cielo». Per raggiungere lo scopo, egli - forte anche della sua primissima esperienza di predicatore e coi ragazzi - abbandonò lo stile dell’epoca, mancante «di un linguaggio comprensibile e popolare. Generalmente il linguaggio era ricercato, con domande lunghe, retoriche e fuori dal contesto. Inoltre, alla fine mancava una sintesi che mettesse in risalto i punti chiave, in modo da comprendere il nucleo della fede. Per queste ragioni don Bosco scrisse e pubblicò una Storia ecclesiastica, un libro di preghiere sotto il nome di Giovane Istruito, una Storia Sacra, un trattato sul Sistema Metrico, una Storia d’Italia e molte altre opere. In tutte si evidenzia il suo interesse e il desiderio di identificarsi con la cultura e le esigenze della gente comune. Per i giovani don Bosco scrive libri formativi del genere biografico con la vita dei suoi migliori allievi: Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco. Si contano alcuni scritti di spiritualità, letture amene e di teatro. Don Bosco non dimenticò mai le classi popolari, in generale, perché erano l’ambiente delle famiglie da cui provenivano i suoi giovani. Per gli agricoltori, ben conosciuti da don Bosco, a 31 anni scrive L’Enologo italiano, e tre anni dopo Il Sistema Metrico Decimale, ad uso degli artigiani, muratori e contadini. Sempre con un linguaggio e un’idea adeguata al suo pubblico, scrisse molti libri di contenuto religioso e profano» [3].
Don Bosco parlava così della buona stampa: «Quante anime furono salvate dai libri buoni, quante preservate dall’errore, quante incoraggiate nel bene. Chi dona un libro buono, non avesse altro merito che destare un pensiero di Dio, ha già acquistato un merito incomparabile presso Dio. Eppure quanto di meglio si ottiene. Il buon libro entra persino nelle case ove non può entrare il sacerdote, è tollerato finanche dai cattivi come memoria o come regalo. Un libro in una famiglia, se non è letto da colui a cui è destinato o donato, è letto dal figlio o dalla figlia, dall’amico o dal vicino. Iddio solo conosce il bene che produce un libro, donato come pegno di amicizia. Né bisogna temere che un libro possa essere da certuni rifiutato perché buono. Al contrario.... » [4]. In questo modo, don Bosco lasciò un monito a ciascuno dei suoi ammiratori, lettori, figli spirituali: insegnare agli ignoranti attraverso un libro!




Tanti anni prima di avviare il suo "apostolato della buona stampa", don Bosco aveva ricevuto una grande lezione di "misericordia": era stato corretto per il suo modo di esprimersi. Usava uno stile che rischiava di renderlo meno comprensibile ai più, dimezzando, così, la sua capacità di raggiungere le persone e di insegnar loro qualcosa. L'episodio avvenne ai tempi in cui il santo era ancora chierico, ma, con l'approvazione del parroco, aveva cominciato «a fare prediche e discorsi. Non so quale nutrimento spirituale ricevesse la gente dalle mie prediche - scrisse don Bosco nelle Memorie dell'oratorio - . Dappertutto mi applaudivano, e finiì per lasciarmi guidare dalla vanità. Ma un giorno ricevetti una buona lezione. Avevo appena finito di predicare sulla Natività della Madonna, e volli sentire il parere di una persona che aveva l'aspetto intelligente. Mi coprì di elogi che non finivano più: 
- La sua predica sulle anime del Purgatorio è stata splendida!
E io avevo parlato sulla grandezza della Madonna...
Ad Alfiano ho voluto sentire il parere del parroco, don Giuseppe Pelato, persona di profonda fede e di molta esperienza.
- Mi dica schiettamente cosa pensa della mia predica. 
- Molto bella, ordinata. L'ha esposta in buona lingua e con molti pensieri scelti dalla Bibbia. Continuando così, diventerà un predicatore molto ricercato. 
- Ma la gente avrà capito?
- Poco. Ha capito mio fratello prete e pochissimi altri.
- Eppure erano pensieri facili.
- Sembrano facili a lei, ma per la gente sono troppo elevati. Ragionare toccando di passaggio pensieri della Bibbia e avvenimenti della storia ecclesiastica è bello, ma la gente non segue.
- Cosa mi consiglia di fare?
- Bisogna abbandonare la lingua e lo stile dei classici, parlare in dialetto o anche in italiano se si vuole, ma in maniera popolare, popolare, popolare.
Invece di fare ragionamenti, raccontare esempi, fare paragoni semplici e pratici. Si ricordi che la gente segue poco, e che le verità della fede bisogna esporle nella maniera più facile possibile.
Quel consiglio paterno mi servì per tutta la vita.
Conservo ancora, per mia vergogna, quei primi discorsi. Quando li prendo in mano, non vedo altro che vanità e desiderio di essere "alla moda".
Dio misericordioso mi ha mandato quella preziosissima lezione, che mi servì nelle prediche, nei catechismi, nello scrivere libri» [5].

NOTE

[1] Filiberto Gonzaléz, Diffusore convinto della buona stampa, in Angel Exposito, Don Bosco oggi, 2015, LEV, p.192.

[2] Ibidem

[3] Ibidemp. 193.

[4]  Giovanni Bosco, Lettera circolare ai salesiani per la diffusione dei buoni libri, in Gigi Di Libero, Don Bosco apostolo della parola, CeMM, 1991, pp. 17-18.

[5] San Giovanni Bosco, Memorie, trascrizione in lingua corrente, Elledici, 1986, pp. 78-79.