lunedì 9 marzo 2020

Pensieri per lo spirito

RIFLESSIONI 
DI UNA LAICA CATTOLICA 
IN TEMPO DI CORONAVIRUS



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 «Mi sembra di aver trovato il mio cielo sulla terra 
perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima. 
Il giorno in cui ho capito questo, tutto s'è illuminato in me 
e vorrei sussurrare questo segreto a coloro che amo, 
perché anch'essi, attraverso ogni cosa, 
aderiscano sempre a Dio 
e si realizzi quella preghiera del Cristo: 
"Padre, che siano consumati in uno"»

(Santa Elisabetta della Trinità)




Il tempo del Coronavirus ci sta repentinamente e violentemente mettendo dinanzi alla necessità di ricomprendere il "senso" del sacrificio. Su tutti i livelli, da quello sanitario a quello economico, da quello personale a quello cultuale.
Dato che, come si suol dire, è inutile piangere sul latte versato (il virus ormai si è diffuso, è arrivato anche da noi), sarebbe bello e utile fare veramente nostre le parole di una preghiera molto diffusa: 

«Dio, concedimi la serenità di accettare 
le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso,
e la saggezza per conoscere la differenza».

Ad ascoltare tv e radio, a leggere giornali, a guardare i social e anche a sentire molte polemiche (pure religiose) che sono montate e stanno montando attorno a questa situazione di emergenza, sembra purtroppo che a tanti (troppi?) stia mancando soprattutto l'ultima delle caratteristiche indicate dalla breve preghiera sopra riportata: la saggezza per discernere, da cui poi derivano anche la capacità di accettare consapevolmente la vicenda attuale per quella che realmente è, e il coraggio di fare quanto dipenda da ciascuno per cambiare in meglio le cose.
In questo momento viene chiesto a tutti noi di sacrificare qualcosa delle nostre abitudini, del nostro modus vivendi. Che si tratti di baci e abbracci, di incontri ravvicinati con gli amici, di spostamenti non necessari, delle nostre pratiche di preghiera comunitaria.
Viene chiesto un sacrificio enorme soprattutto a chi sta vivendo in maniera tragica il Coronavirus sulla propria pelle, in vari modi: dedicando le proprie competenze mediche per curare senza sosta gli ammalati e per aiutare lo Stato a prendere le giuste decisioni; lavorando per cercare di adottare le misure normative necessarie ad arginare la diffusione del virus; perdendo purtroppo i propri cari per un malattia che fino a pochi mesi fa nemmeno esisteva.
Per molti (coinvolti o meno che siano in maniera diretta), si aggiunge appunto la rinuncia al Sacramento dell'Eucaristia e alle altre pratiche cultuali comunitarie e credo sia importante ricordare, innanzitutto, che in questo non siamo coinvolti solo noi Cattolici (il Decreto Legge parla infatti in generale di tutte le cerimonie religiose, non solo delle nostre!), ma tutti i Cristiani: penso agli Ortodossi e ai Protestanti, tanto per citarne solo due. E volendo allargare lo sguardo (per non cadere nel tranello dell'egoismo anche in questo campo), penso anche alle grandi religioni monoteiste: agli Ebrei ai Musulmani. Penso, infine, a tutti gli "uomini di buona volontà" che credono in un dio diverso dal nostro, ricordando a quanto afferma il Concilio Vaticano II: «Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» (Nostra Aetate, n. 2).

Sento allora di dover tracciare (in primo luogo per me stessa), alcune considerazioni:

1.  La scienza non è contraria alla fede né viceversa. La scienza (intesa rettamente, come insieme di conoscenze che aiutano l'uomo per la tutela della vita e del creato) non viene forse da Dio? Non è Dio che ha creato il mondo con i suoi meccanismi, lasciando poi all'essere umano il compito di scoprirli e di custodire il creato e gli esseri umani stessi?
Gesù tentato dal diavolo non si butta dal pinnacolo sfidando la legge di gravità, ma risponde che non si deve tentare il Signore, nostro Dio. La scienza e la Chiesa, in questo frangente stanno operando a tutela della vita e della salute (in questo caso della vita di tutti, ma soprattutto delle fasce più deboli), così come fanno quando si prevede che alle persone celiache sia distribuita la Comunione senza glutine. Certo, il Signore potrebbe fare miracoli pure in quei casi, e i celiaci potrebbero magari ricevere l'Ostia "normale" pensando che non succederà loro niente, ma è giusto che l'uomo di fede usi quelle che Giovanni Paolo II definiva «due ali»: la fede e la ragione (cfr. Fides et ratio, n. 1), ben sapendo che Dio parla e si manifesta anche attraverso le cose "ordinarie" della nostra realtà, i meccanismi reali, e non dispensando miracoli come un prestigiatore.

2. Impariamo a non dare per scontate l'Eucaristia, le pratiche di pietà comuni, la socialità stessa fra le persone. Nei tempi antichi i fedeli non potevano ricevere la Comunione quotidianamente, eppure non per questo sono mancati grandi santi. Molti di noi, magari, pur avendo oggi la possibilità di incontrare ogni giorno Gesù, non lo fanno... per pigrizia, per disorganizzazione. E non lo incontrano nemmeno nella preghiera, nella lettura della Bibbia. Facciamo che la "fame" che sentiamo adesso diventi stimolo per un rapporto più intenso col Signore, da realizzare adesso in modi alternativi alla Messa, e quando tutto sarà risolto, con una frequentazione eucaristica più intensa, più consapevole, e, se possibile, più frequente.

3. La nostra fede muore se, per un tempo limitato e per una ragione grave, diventa impossibile partecipare fisicamente alla Messa? Ma allora sarebbe dovuta morire anche quella di tanti cristiani perseguitati, che non potevano parteciparvi...  o dovrebbe morire ogni volta che siamo malati e manchiamo da Messa per una o due settimane... Certamente l'Eucaristia rimane il centro e culmine della vita cristiana (cfr. Lumen Gentium, n. 11), ma in tempi di emergenza come questi (così come ogni qualvolta che per malattia non possiamo uscire di casa) abbiamo a disposizione molti modi concreti e spirituali per essere ugualmente uniti a Dio e ai fratelli: la Messa in televisione o via Facebook (finanche il Papa ha deciso di trasmettere in streaming ogni mattina!), la Comunione spirituale (pratica raccomandata anche dai Santi), la preghiera personale, la meditazione della Parola, la preghiera in famiglia, da riscoprire in questo tempo in cui siamo invitati a rimanere di più in casa, e ricordando le parole di Cristo:
«Se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 
Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,18-20).

4. La Chiesa  è Madre e Maestra, e come una madre sta facendo quanto necessario (anche col sacrificio!) per proteggere i suoi figli senza abbandonarli (le chiese rimangono aperte per la preghiera personale purché si evitino assembramenti, i sacerdoti ci sono e sono disponibili purché sempre nel rispetto delle normative attuali), e come una maestra ci sta guidando a servirci dei mezzi moderni per sentirci ugualmente in unità di cuore, di spirito, di intenti, nella mancanza dell'unità "fisica".
A chi dice che una volta non si vietavano le Messe, basterebbe far notare che una volta non c'erano le conoscenze mediche di oggi, non si sapeva che basta una gocciolina che noi espelliamo anche semplicemente nel parlare, per favorire la diffusione dei virus. 

5. A questo punto, dico a me stessa e lo dico a chi mi legge: le polemiche, i dubbi su cui si rimugina, le perplessità, generano polemiche, ci sottraggono tempo prezioso per pregare, per meditare sulla Parola, per stare in Comunione spirituale con Dio e coi fratelli, magari ci distolgono anche dal lavoro. Proviamo a fare invece di questo "sacrificio" che è la mancanza del Sacrificio Eucaristico, ciò che veramente la parola sacrificio vuol dire: sacrum facere, rendere sacro.
Rendere sacro, cioè avvinto a Dio questo nostro tempo in cui qualcosa, sì, certamente ci manca, ma che non per questo diventa tempo meno prezioso agli occhi del Signore.
Ma dipende da noi, da come lo viviamo: sarà indubbiamente tempo sacro, tempo dedicato a Dio, tempo unito al Signore, se lo impiegheremo agendo da «buoni cristiani e onesti cittadini» (come direbbe don Bosco), quindi rispettando quanto lo Stato e la Chiesa ci chiedono di fare in questo momento, pregando ugualmente e con tutto il cuore. Sapendo che il Signore è sempre e dovunque, che, come diceva Santa Elisabetta della Trinità (carmelitana scalza): 
«Mi sembra di aver trovato il mio cielo sulla terra perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima. Il giorno in cui ho capito questo, tutto s'è illuminato in me e vorrei sussurrare questo segreto a coloro che amo, perché anch'essi, attraverso ogni cosa, aderiscano sempre a Dio e si realizzi quella preghiera del Cristo: "Padre, che siano consumati in uno"» (L 107).