sabato 31 gennaio 2015

SOLENNITA' DI DON BOSCO - L'amicizia è come un "pergolato di rose"!



  SOLENNITA' DI SAN GIOVANNI BOSCO



O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,

che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,

sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre

e la salvezza dei prossimo;

aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;

insegnaci ad amare

 Gesù Sacramentato,

Maria Ausiliatrice

e il Papa;

e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 


Amen.



"Benedire Dio e ringraziarlo per tutti gli avvenimenti che predispone la Sua provvidenza è un'occupazione molto santa". 
(San Francesco di Sales, Trattato dell'amor di Dio, IX, 14)
Pensando a cosa scrivere su don Bosco nel giorno della sua festa, rimanendo sempre nel tema affrontato durante la novena - cioè l'amicizia spirituale con Luigi Comollo -, due cose mi sono venute alla mente: il sogno del "pergolato di rose" e l'amicizia di Giovanni con Gesù.
Parto dal sogno: in esso viene simbolicamente raffigurato l'agire pastorale di don Bosco con i giovani come un cammino sotto un pergolato di rose, che man mano che il santo avanza si fa sempre più fitto.
All'apparenza tutto è bello, chi vede il santo camminare sotto questo "manto" di fiori splendidi e profumati, dice: " Oh, come don Bosco cammina sempre sulle rose; egli procede tranquillamente; tutto gli va bene"! (Eugenio Pilla, I sogni di don Bosco, p. 92, 2004, Cantagalli), ma nessuno si avvede di quanto le rose abbiano spine che pungano, avviluppandosi, man mano che il pergolato si infittisce, attorno alla figura di don Bosco.
Le spine lacerano le vesti, pungono i piedi e li feriscono, procurano ferite sul capo.
La stessa cosa accade anche a quanti, seguendo l'invito del santo, si erano messi a seguirlo su quel percorso: chierici, preti, laici.
Pensando d'essere stato ingannati e trascinati su una via che non è "tutta rose e fiori" come l'avevano immaginata, molti di loro cominciano a protestare e abbandonano don Bosco.
"Egli si era rivolto indietro per dare uno sguardo a quanti lo seguivano, ma provava pena nel constatare che una parte di essi era già scomparsa e altri stavano per allontanarsi.
Per la speranza d'impedir loro di abbandonarlo, il sognatore era ritornato un po' sui propri passi per richiamare quanti erano in procinto di andarsene, ma essi non gli davano neppure ascolto.
Allora, deluso, il veggente aveva cominciato a lacrimare e a querelarsi, dicendo tra sé:
- Possibile che debba io solo percorrere tutto questo lungo viale così faticoso e irto di spine? -
Il Santo si era tuttavia consolato nel veder procedere dietro a sé uno stuolo di sacerdoti e di chierici, che si dichiaravano disposti a seguirlo.
Confortato dalle loro dichiarazioni, il Santo li precedeva per continuare il tragitto, ma soltanto alcuni si perdevano di animo e si arrestavano; la maggior parte di essi invece continuava a camminare per giungere con lui alla mèta.
Percorso, per tutta la sua lunghezza, il pergolato, il veggente si era trovato in vista di un amenissimo giardino, dove lo seguivano i suoi compagni di calvario, tutti dimagriti, scarmigliati e sanguinanti.
Allora si era alzato un fresco venticello, al soffio del quale, tutte le ferite si rimarginavano come d'incanto.
Al soffiar poi di una deliziosa brezza il veggente si era trovato, come per incanto, attorniato da una immensa moltitudine di giovani, chierici, laici coadiutori e anche di sacerdoti disposti a guidar quella gioventù allegra e serena.
Parecchi di essi erano noti, ma molti gli riuscivano sconosciuti".
Il sogno si conclude con l'arrivo dinanzi ad un maestoso edificio, di grande bellezza anche all'interno, più bello di tutte le regge del mondo e sul cui pavimento erano disposte bellissime e profumatissime rose senza spine.
A quel punto appare a don Bosco la Vergine Maria, che dando la spiegazione del pergolato di rose, assicura: - Con la carità e la mortificazione supererete tutto e giungerete alle rose senza spine - .
(Ibidem, pp.93-95)
Potremmo dire: "abbracciare" Gesù e quindi "seguirLo nella via che prospetta, accettare la Sua amicizia e vivere per essa è sostanzialmente questo camminare sotto un pergolato e su di un pavimento di rose con le spine.
L'amicizia stessa (anche con gli uomini!) presenta lo stesso aspetto: è abbracciare l'altro così com'è, con le imperfezioni correggibili e con quelle a volte incorreggibili; con le sofferenze compartecipate, con le separazioni inevitabili.
Giovanni Bosco e Luigi Comollo vissero tutto questo, la loro amicizia, inizialmente con qualche spina (le correzioni fraterne di Luigi a Giovanni), sembra poi attraversare la fase delle rose senza spine....ma si conclude con l'improvvisa e fulminea morte di Comollo, una spina tanto più dolorosa proprio perché inattesa e repentina.
E' bello guardare da una certa distanza due grandi amici: tutto appare bello, luminoso, trasparente. Non di rado c'è sempre chi invidia amicizie di questo genere.
Eppure, da lontano, le "spine" nascoste dalle rose non si vedono. Sembrano non esistere gli accomodamenti di carattere, la pazienza nel correggere e nell'attendere buoni risultati, il cedere ora l'uno ora l'altro su divergenze non importanti....e quelle piccole sofferenze che a volte possono scatenarsi anche tra grandi amici, dettate da incomprensioni di poco conto, dalle sensibilità delle psicologie, e via dicendo.
E' così anche nell'abbracciare Gesù, quel Gesù che è un Cristo Crocifisso.
A chi vede un santo nell'atteggiamento di abbracciare il Gesù sofferente, sul legno della Croce, tutto sembra bello. Pare quasi di vederlo "volare" per arrivare fino alla Croce.
Pensiamo però a quello che accade: si abbraccia un Uomo sfigurato dal Sangue, pieno di spine sul Capo.
Mettersi "guancia a guancia" con Lui, stringere le mani attorno alle Sue spalle significa ricoprirsi del Suo Sangue e farsi pungere dalle Sue spine.
Se accettiamo di essere amici così possiamo star certi che anche noi, con la "carità e la mortificazione" sapremo giungere a quel pavimento di rose senza spine che la Madonna promise a don Bosco.
D'altronde, se Gesù è stato coronato di spine e impororato dal Sangue è stato proprio per lo stesso motivo per cui anche noi siamo chiamati a camminare su un tappeto di rose pungenti: l'amicizia tra l'uomo e Dio.
Gesù Si è fatto Uomo e ci ha "abbracciati" con le nostre miserie, debolezze, con il nostro peccato...per purificarci. Così facendo Si è addossato le spine del nostro buio interiore, del nostro male esteriore. San Paolo dice che "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio" (2 Cor 5,21).
Imitare Cristo nel "Suo" modo di amare vuol dire fare come lui. Una delle letture di oggi (a scelta nel Proprio Salesiano) ce lo rammenta, laddove Paolo scrive ai  Filippesi di imitare ciò che lui stesso ha offerto come modello (cfr. Fil 4 4,9). 
Lo stesso Gesù ce lo ripete: "Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi". (Gv 13,15)

Don Bosco ha camminato attorniato dalle spine pungenti delle amicizie interrotte dalla morte (come quella con Comollo); di quelle a volte scosse - ma non spezzate! - dalle incomprensioni di chi non capiva la sua grande attività di "sognatore"; di quelle interrotte dagli abbandoni volontari per seguire strade più facili.... e la stessa sua amicizia con Gesù è stata un cammino su un pergolato di rose piene di spine. Quante fatiche per dare attuazione a quel sogno dei nove anni! Fino all'ultimo respiro, don Bosco fu caricato di enormi "pesi" che gravarono sulle sue spalle.
Ora, invece - e ne abbiamo anche la certezza, perché la Chiesa ce lo addita santo, nella gloria del Paradiso - finalmente le sue amicizie sono tutte rose profumate, belle e prive di spine.
L'abbraccio di don Bosco è adesso con il Signore Risorto, che conserva i segni della Passione nella Sua Carne, ma non ha più corone pungenti e neanche chiodi penetranti; 
 l'abbraccio di don Bosco è con la sua amatissima Vergine Ausiliatrice, che sempre gli ha fatto da Maestra e da Guida...ma per onorare la quale a volte Giovanni si è sentito dare del pazzo, perché parlava con certezza incrollabile di cose che Ella gli aveva mostrato, ma che non esistevano ancora in terra!;
l'abbraccio di don Bosco è con tutti i suoi amici che qui lo hanno seguito... qualcuno fino alla fine, altri  solo per un tratto....; 
l'abbraccio di don Bosco è con i suoi giovani, come Domenico Savio, la cui morte fu veramente una spina dolorosissima nel cuore di questo "padre, maestro ed amico" e come Michele Magone, il teppistello che avrebbe voluto fare il prete, se il Signore lo avesse conservato in vita!;
l'abbraccio di Giovanni Bosco è con Luigi Comollo, amico inseparabile dell'anima che in Cielo avrà certamente tenuto fede al patto di pregare l'uno per l'altro e avrà seguito passo passo il suo amico, chiedendo per lui a Gesù e Maria di aiutarlo, sostenerlo, correggerlo, nell'attesa di rincontrarlo per sempre, laddove "la carità non avrà mai fine" (1 Cor 13,8)!

Che da don Bosco possiamo imparare ad essere veramente amici di Gesù, lo Sposo dell'anima nella "buona e nella cattiva sorte", tra le rose e le spine di questa terra, e che amando Cristo impariamo ad amare anche i fratelli allo stesso modo, riconoscendo che nemmeno l'amicizia ci esenta dal dolore, ma ci rende capaci di "abbracciarlo" con gioia interiore, sapendo che poi arriverà anche la gioia piena, senza spine e senza termine.
 
BUONA FESTA A TUTTA LA FAMIGLIA SALESIANA E A TUTTI GLI AMICI DI DON BOSCO!

venerdì 30 gennaio 2015

NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO - L'amicizia - nono giorno


NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO
 



O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
 Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.
 
 
"Benchè i miei amici muoiano, la mia amicizia non muore affatto".
(San Francesco di Sales, Opere Complete, a cura del Monastero della Visitazione di Annecy, XV,94)


L'essenza dell'amicizia spirituale è sostanzialmente una: amarsi in Dio.
E se Dio è eterno, ne va da sé che anche l'amicizia vera debba esserlo, superando l'ostacolo "naturale" della morte che prima o poi ci coglie tutti, per collocarci nell'eternità.
Essendo l'anima immortale, e poiché proprio le anime - nell'amicizia spirituale - si trovano in profonda comunicazione, può anche venire a mancare il "mezzo" umano attraverso cui gli amici comunicano (la parola, lo sguardo, e via dicendo), ma mai potrà venire meno l'essenziale per rimanere legati. Occorre però avere fede in quel Dio che ci ha fatti così...corporali e spirituali, capaci tuttavia di amare ben oltre la dimensione strettamente e solamente umana, materiale, nell'attesa della pienezza che riceveremo in Cielo.

Luigi Comollo e Giovanni Bosco ebbero proprio questa "percezione" dell'amicizia, tanto da vivere intensamente non solo i momenti di gioia, ma anche quelli di dolore, in una comunicazione continua di cose spirituali, già fin dall'approssimarsi della morte di Luigi.
Le Memorie dell'Oratorio riportano una confidenza del ragazzo al suo amico Giovanni, un presagio della prossima ed improvvisa morte che lo avrebbe preso di lì a poco, nel fiore degli anni.
Da infermo poi, Luigi non mancò di narrare sempre a Giovanni le cose più interiori che stava vivendo in quei momenti, unendo a tutto questo il lascito di una serie di raccomandazioni, una sorta di "testamento spirituale".
La cosa più sconvolgente, fu tuttavia un avvenimento che ci lascia intravedere la potenza di Dio...e quella dell'amicizia. E che ci offre tuttavia anche un monito spirituale.

Don Bosco scrisse nelle Memorie dell'Oratorio:
"La nostra amicizia era così profonda che parlavamo apertamente di tutto ciò che ci poteva accadere.
Parlammo anche della possibilità che uno di noi morisse.
Un giorno, dopo aver letto insieme un lungo brano della vita di un santo, un po' per ridere un po' sul serio, uno di noi disse:
- Sarebbe bello che il primo che muore tra noi due, venisse a portare all'altro notizie dell'al di là. -
Dopo averne parlato molte volte, abbiamo fatto un patto:
- Il primo che muore, se Dio lo permette, verrà a dire all'altro se è salvo. -
Non pensavo che questo patto fosse una cosa importante.
L'abbiamo fatto con una certa leggerezza (non consiglierò mai nessuno a fare un patto simile!).
Tuttavia, specialmente durante l'ultima malattia di Luigi, l'abbiamo confermato e rinnovato molte volte.
Anzi, posso dire che le sue ultime parole, il suo ultimo sguardo, furono una specie di firma su quel patto.
Molti compagni conoscevano la faccenda.
Luigi Comollo morì il 2 aprile 1839. 
La sera del giorno dopo fu sepolto con grande rimpianto nella Chiesa di san Filippo.
Quelli che conoscevano il nostro patto erano ansiosi di vedere ciò che sarebbe capitato.
Io ero ansiosissimo.
Speravo che la notizia che Luigi mi avrebbe fatto arrivare, avrebbe smorzato la grande pena che provavo per la sua scomparsa".
(San Giovanni Bosco, Memorie dell'Oratorio, pp.85-86, Elledicì, 1986)


Si impone di interrompere per un momento la citazione del testo e inserire una prima precisazione: don Bosco, scrivendo per ordine del Papa Pio IX le sue Memorie, aveva ricevuto l'obbligo di narrare tutto ciò che, nella sua vita, avesse avuto sentore di "soprannaturale".
Ecco perché un fatto così particolare, il "patto" tra lui e Comollo - nella prima edizione della biografia di quest'ultimo solo accennato - qui venne invece raccontato in maniera più dettagliata.
Elemento per noi provvidenziale, perché ci consente di entrare ancora più in profondità nel rapporto di amicizia tra i due ragazzi.
Verissimo che don Bosco, col famoso senno di poi (e soprattutto con la maturità spirituale di  uomo e sacerdote adulto) affermò che l'accordo era stato siglato con una certa "leggerezza" e che non avrebbe più consigliato a nessuno di fare cosa simile....ma, d'altro canto, da questo emerge un dato di fondo, ossia che l'amicizia tra questi due giovani era veramente radicata "tutta in Dio", come dimostra l'intensa preoccupazione per la salvezza delle reciproche anime.
La narrazione di don Bosco lo sottolinea fortemente anche attraverso un ulteriore elemento: l' "ansia" con cui egli attendeva la "notizia" da parte di Luigi era legata al desiderio di smorzare la pena per la sua scomparsa.
Sapere l'amico "salvo", in Paradiso, alla presenza di Dio e di Maria da lui tanto amati in vita, sarebbe stata la consolazione più grande per Giovanni. A don Bosco interessava il vero bene dell'amico Luigi.

C'è poi una seconda precisazione che qui si impone. La si ricava dalla seconda edizione della Vita di Comollo, redatta da don Bosco (ed in cui il santo utilizzava il solito espediente di celare l'identità dell'amico di Luigi) :
« Nelle nostre amichevoli relazioni, seguendo ciò che avevamo letto in alcuni libri, avevamo pattuito fra di noi di pregare l'un per l'altro, e che colui, il quale primo fosse chiamato all'eternità, avrebbe portato al superstite notizie dell'altro mondo. 
Più volte abbiamo la medesima promessa confermata, mettendo sempre la condizione, se Dio avesse ciò permesso e fosse stato di suo gradimento. Simil cosa allora si fece come una puerilità, senza conoscerne l'importanza; tuttavia tra di noi si ritenne sempre sul serio quale sacra promessa e da mantenersi".

E' un dato dal peso piuttosto consistente: la promessa tra i due era in realtà un patto tra "Tre", in quanto coinvolgeva la Volontà di Dio, e ad essa era in realtà pienamente sottomessa.
Per quanto definita dunque puerile e leggera, il nocciolo era stato salvato: tutto solo e soltanto se Dio l'avesso gradito e permesso.

A questo punto, lasciamo nuovamente spazio alla narrazione fatta da Giovanni nella biografia di Luigi:

"Era la notte del 4 aprile, notte che seguiva il giorno della sua sepoltura, ed io riposava cogli alunni del corso Teologico in quel dormitorio che dà nel cortile a mezzodì. 
Ero a letto, ma non dormiva e stava pensando alla fatta promessa, e quasi presago di ciò che doveva accadere ero in preda ad una paurosa commozione. 
Quando, sullo scoccare della mezzanotte, odesi un cupo rumore in fondo al corridoio, rumore che rendevasi più sensibile, più cupo, più acuto mentre si avvicinava. 
Pareva quello di un carrettone, di un treno di ferrovia, quasi dello sparo di un cannone. 
Non saprei esprimermi se non col dire che formava un complesso di fragori così vibrati e in certo modo così violenti, da recare spavento grandissimo e togliere le parole di bocca a chi l'ascoltava. 
Ma nell'atto che si avvicinava lasciava dietro di sè rumoreggianti le pareti, la volta, il pavimento del corridoio, come se fossero costrutti di lastre di ferro scosse da potentissimo braccio. 
Il suo avvicinarsi non era sensibile in modo da potersi misurare il diminuirsi delle distanze, ma lasciava un' incertezza quale lascia una vaporiera, della quale talora non si può conoscere il punto ove si trova nella sua corsa, se si è costretti a giudicare dal solo fumo che si stende per l'aria.
I Seminaristi di quel dormitorio si svegliano, ma niuno parla. 
Io era impietrito dal timore. 
Il rumore si avanza, ma sempre più spaventoso; è presso al dormitorio; si apre da sè violentemente la porta del medesimo; continua più veemente il fragore senza che alcuna cosa si veda, eccetto una languida luce, ma di vario colore, che pareva regolatrice di quel suono. 
Ad un certo momento si fa improvviso silenzio, splende più viva quella luce, e si ode distintamente risuonare la voce del Comollo che, chiamato per nome il compagno tre volte consecutive, dice:
            - Io sono salvo!
In quel momento il dormitorio venne ancora più luminoso, il cessato rumore di bel nuovo si fa udire di gran lunga più violento, quasi tuono che sprofondasse la casa, ma tosto cessò ed ogni luce disparve".
(Aggiunge don Bosco, nelle Memorie dell'Oratorio: "Tutti i chierici udirono il rumore. 
Molti sentirono la voce, ma non capirono le parole.
Alcuni, come me, le capirono benissimo, tanto che per molto tempo furono poi tramandate di bocca in bocca". )
I compagni balzati di letto fuggirono senza saper dove; si raccolsero alcuni in qualche angolo del dormitorio, si strinsero altri intorno al prefetto di camerata, che era D. Giuseppe Fiorito da Rivoli; tutti passarono la notte, aspettando ansiosamente il sollievo della luce del giorno.
Io ho sofferto assai e fu tale il mio spavento, che in quell'istante avrei preferito di morire. Di qui incominciò una malattia, che mi portò all'orlo della tomba e mi lasciò così male andato di sanità, che non ho potuto più riacquistarla so non molti anni dopo. 

 Lascio a ciascheduno dei lettori a fare di questa apparizione quel giudizio che egli crederà, avvertendo però che dopo tanti anni sono oggigiorno ancora fra i vivi alcuni testimoni del fatto. (esistono due testimonianze scritte a conferma di questa apparizione alla camerata dei Chierici del seminario di Chieri. Entrambe conservate nell'Archivio Salesiano Centrale, sono una di don Michele Chiantore, compagno di camerata di don Bosco, e di Genoveffa Fiorito, sorella del don Giuseppe sopra citato e che testimoniò di aver ascoltato più volte il fatto, per bocca del fratello)

Io mi contento di averlo esposto nella sua interezza, ma raccomando a tutti i miei giovani di non fare tali convenzioni, perchè, trattandosi di mettere in relazione le cose naturali colle soprannaturali, la povera umanità ne soffre gravemente, specialmente in cose non necessarie alla nostra eterna salvezza".

Don Bosco è chiaro nel fornirci una massima spirituale, che la Bibbia stessa ci consegna, invitandoci a non tentare il Signore nostro Dio, pur se Egli può tutto (ed è questa la risposta che Gesù lancia al demonio, durante la tentazione nel deserto...): "Dio è onnipotentente, Dio è misericordioso. Ordinariamente non fa a caso di questi patti.
Ma qualche volta, nella Sua infinita misericordia, permette che si compiano, come avvenne per me". 

Rimane indubbio un fatto: l'amicizia tra Luigi e Giovanni fu così profonda e "vera" da continuare a "vivere" oltre la morte.
Se Dio permise che anche altri potessero vedere e sentire ciò che accadde, fu forse proprio per lasciare a loro, ed anche a noi posteri, un segno eloquente della potenza dell'amicizia spirituale ed in un certo senso, di come Dio stesso la gradisca, la favorisca e continui a disseminare nei secoli i semi di questo prezioso sentimento cristiano, che è lo stesso per il quale il Verbo Si fece Carne, fino a dare la vita...per i Suoi amici.
 
Don Bosco (e Luigi Comollo!) ci ottengano dal Signore la grazia di sperimentare, anche nelle nostre vite, la bellezza di amicizie sante, destinate a durare per sempre, in Cristo Signore, l'Amico per eccellenza!

giovedì 29 gennaio 2015

NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO - L'amicizia - ottavo giorno

NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO
 



O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,

che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,

sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre

e la salvezza dei prossimo;

aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;

insegnaci ad amare

 Gesù Sacramentato,

Maria Ausiliatrice

e il Papa;

e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. 

Amen.
"S. Agostino esorta e consiglia con forza di fare la comunione tutte le domeniche; falla anche tu più spesso che puoi. 
Giacché, io lo credo, tu non hai alcun affetto al peccato mortale, e nemmeno al peccato veniale, sei nella disposizione richiesta da S. Agostino, e anche qualcosa di più; perché non solo non hai l’affetto a peccare, ma non hai nemmeno l’affetto al peccato. 
Sicché se il tuo padre spirituale lo trova bene, puoi fare la comunione anche più spesso di ogni domenica. 
Per fare la comunione ogni otto giorni occorre non avere peccati mortali e non avere affetto al peccato veniale, e avere un grande desiderio di fare la comunione; ma per fare la comunione tutti i giorni, oltre a ciò, bisogna aver superato la maggior parte delle cattive inclinazioni ed avere il parere favorevole del padre spirituale.
Sarebbe imprudente consigliare a tutti indiscriminatamente la comunione frequente; ma sarebbe ugualmente imprudente biasimare chi la facesse, soprattutto quando c’è di mezzo il parere di un prudente direttore di spirito. 
Bella la risposta di S. Caterina da Siena, quando, a proposito della sua comunione quotidiana, le fu citato S. Agostino che non loda e non biasima chi si comunica tutti i giorni: Ebbene, disse, poiché S. Agostino non lo biasima, prego anche voi di fare altrettanto, e mi basta".
(San Francesco di Sales, Filotea, cap. XX) 

Queste parole di San Francesco di Sales possono essere comprese solamente calandole nel contesto storico in cui furono vergate; un tempo in cui non era uso come ai nostri giorni, accostarsi quotidianamente alla Mensa del Corpo del Signore.
Il santo, tuttavia, sulla scia di molti altri, e ovviamente nel pieno rispetto delle regole ecclesiastiche, consigliava a "Filotea" ("l'anima devota" cui il vescovo si rivolgeva idealmente nel suo libro, e dietro la cui figura ideale si potrebbero identificare molte delle sue figlie spirituali) di cibarsi frequentemente della Santa Comunione, a condizione di avere il parere favorevole del direttore spirituale e di non avere affetto al peccare e al peccato, cioè di non avere nè l'intenzione di peccare, nè l'abitudine a farlo con leggerezza.
Anche don Bosco si pose su questa scia, qualche secolo dopo, consigliando "la frequente confessione, la frequente Comunione, la Messa quotidiana" come colonne su cui reggere l'"edificio educativo" (cfr. Il Sistema Preventivo) ed in modo particolare l'Eucaristia come baluardo cui aggrapparsi per vincere gli assalti del demonio,"vincere le tentazioni, perseverare nel bene". (Il Mese di Maggio consacrato a Maria Immacolata)
E diceva anche: "Alcuni dicono che per fare la Comunione spesso bisogna essere santi. Non è vero. La Comunione è per chi vuole farsi santo.
I rimedi si danno ai malati, il cibo si da' ai deboli" (MB VII, 679)
La Comunione frequente venne consigliata a don Bosco (anche da sacerdoti di santa condotta e ortodossa dottrina, come don Borel) quale "mezzo" per conservare la vocazione,  (cfr. San Giovanni Bosco, Memorie dell'Oratorio, p.89, Elledicì, 1986) e dopo molti anni il santo non esitò a scrivere: "La vocazione si conserva con la ritiratezza e con la frequente Comunione." (MB, I, 460)
Fin dagli anni giovanili, Giovanni aveva però già "condiviso" con l'amico Luigi l'amore alla Santa Eucaristia e alla frequente Confessione.
La biografia di Comollo
riporta la testimonianza del Direttore Spirituale del Seminario di Chieri che lo descrisse come ragazzo "sempre attento alla Divina Parola, divotissimo nell'assistere alla Santa Messa, ed ai divini utilizzi, frequente ai santi Sacramenti della Confessione, e Comunione". (Don Bosco, cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo p.20,  in www.donboscosanto.eu)
Don Bosco stesso narra di alcune confidenze fatte da Luigi all'amico con cui trattava di cose spirituali (e come già detto ieri, è ovvio che tale amico fosse proprio Giovanni):
"Parlava con trasporto dell'immenso amor di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comunione". (Ibidem, p.24)
E ancora: "Sempre amante e devoto di Gesù Sacramentato, oltre il farGli frequenti visite, e comunicarsi spiritualmente, approfittava di tutte le occasioni per comunicarsi sacramentalmente, il che faceva con grande edificazione dei circostanti". (Ibidem, p.32)
Questo ardente amore per Gesù Eucaristia era stato coltivato dal giovane Comollo già dai tempi in cui aveva ricevuto la Prima Comunione. 
Don Bosco, nella seconda edizione della biografia di Luigi (reperibile sempre sul sito donboscosanto.eu) lasciò queste importanti annotazioni, che ci sono ancora una volta utili per comprendere il forte legame amicale tra i due giovani:
"Da quel tempo in poi tanto si affezionò ai Sacramenti della confessione e Comunione, che nell'accostarvisi provava consolazione grandissima; nè mai lasciava sfuggire occasione senza che ne approfittasse. 
A questo riguardo soleva dire ad un confidente compagno: 
«La confessione e la comunione furono i miei sostegni in tutti gli anni pericolosi di mia giovinezza».
Ma comunque frequente gli si permettesse l'uso della comunione, tuttavia non potendo saziare il fervente amore, onde ardeva pel suo Gesù, trovò modo di provvedervi bellamente colla comunione spirituale. Al quale proposito quando, divenuto chierico, trovavasi nel Seminario, udivasi più volte a dire: 
«Fu per l'insigne opera di s. Alfonso, che ha per titolo: Visite al SS. Sacramento, che imparai a fare la comunione spirituale, la quale posso dire essere stata il mio conforto in tutti i pericoli, cui andava soggetto negli anni che fui vestito da secolare».
Alla comunione spirituale e sacramentale univa frequenti visite alle chiese, dove sentivasi talmente compreso dalla presenza di Gesù, che ben sovente giungeva a passarvi ore intere, sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti.
Spesso era mandato in chiesa a far quelle cose di cui gli si dava incombenza, spesso egli medesimo vi si recava sotto pretesto di avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima trattenersi alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria".

Non va dimenticato che anche don Bosco fu strenuo propagatore delle frequenti visite a Gesù Sacramentato e della Comunione Spirituale, suggerendola con questa formula: "Mio caro e buon Gesù, poiché questa mattina non posso ricevere l'Ostia Santa, venite almeno a prendere possesso di me colla vostra grazia, onde io viva sempre nel vostro santo amore". (Il giovane provveduto, 221)

Quanto abbia influito l'esempio di Luigi sulla maturazione di questi "amori" in don Bosco non ci è dato saperlo, ma certamente, vista la stima e l'affetto grande che provava per lui, è probabilissimo che si sia trattato di un grande apporto per fortificarsi in essi, trovando nelle parole e nell'esempio di Comollo uno stimolo al meglio.

Un' ultima riflessione la si può fare anche sulla vicinanza di pensiero tra Giovanni e Luigi circa il Sacramento della Confessione.
Tra le ultime parole rivolte dal morente Luigi al suo amico, vi furono, oltre all'incitamento (già riportato ieri) a coltivare sempre una vera devozione a Maria, anche queste esortazioni :

"Aggiungi a questo la frequenza dei Sacramenti della confessione e comunione, che sono i due strumenti, ossia le due armi, colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico, e tutti gli scogli di questo burrascoso mare del mondo.  
Procura di avere un confessore fisso: a lui apri il tuo cuore, a lui ubbidisci, e in lui avrai una guida sicura per la strada che conduce al cielo. Ma, ohimè! quanti si vanno a confessare senza alcun frutto: confessioni e peccati, peccati e confessioni: ma nessuna emendazione. Ricordati pertanto, che il sacramento della Penitenza è appoggiato sopra il dolore e sopra il proponimento, e dove manca una di queste essenziali condizioni, diventano nulle o sacrileghe tutte le nostre confessioni".  

 Che bello vedere, in questa sintonia di pensiero tra i due giovani amici in corsa verso la santità, la più bella testimonianza dell'amicizia cristiana:comunicarsi le cose dello spirito, le uniche che veramente contano, e l'amore per il Signore, l'unico che realmente ci appaga in questa vita e nell'altra! Comunicarsi senza timore quanto Dio aveva coltivato nelle loro anime, sapendo che ciò che si fa con affetto vero, non viene macchiato da egoismo e gelosie, perché, come scrive san Paolo: "La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio". (1 Cor 13,4)