giovedì 17 gennaio 2013

FEDE E LUCE: profeti, testimoni, credenti credibili...-seconda parte-




Qui trovate la prima parte della riflessione.




Paolo VI, che nel 1967 indisse il primo anno della Fede, soleva dire "abbiamo bisogno di testimoni, non di maestri", perché "l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che non i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni".

Nelle riflessioni che ho condiviso con voi nella prima parte di questo post, avevo messo in luce il rapporto tra Fede e Battesimo, rapportando il tutto al Vangelo del 31 dicembre, incentrato sulla figura di Giovanni Battista.

Giovanni fu indubbiamente profeta, maestro, ma che esempio lascia a noi?
Quello di un uomo che visse ciò che profetizzò: la sua fu una vita austera, di penitenza, di preghiera.
Una vita coerente con quanto annunciava, invitando gli uomini ad un "battesimo di penitenza" (At 13,24)-

Anche Gesù fu Maestro e Profeta, ma per quale motivo, dopo duemila anni, viene ancora ascoltato e imitato, finanche alla "lettera" da quanti decidono di abbracciare, come Lui, una vita povera, casta e obbediente?
Perché in Lui si trova una perfetta coesione tra annuncio e vita reale: Gesù è Parola Incarnata, "Parola viva, efficace" (cfr Eb 4,12).

Parola VIVENTE, VISSUTA se volessimo sintetizzare.

Viva, efficace, vivente, vissuta: Dio Si è fatto Uomo per "incarnare" concretamente nella Sua esistenza terrena quello che era stato "scritto" nell'Antico Testamento, portarlo a compimento nel Nuovo e donare tutto questo alle generazioni contemporanee e future come esempio, modello, testimonianza.

Questo mette allora in evidenza un grande aspetto del connubio tra insegnamento e testimonianza: nessun profeta può essere ascoltato se non mette in pratica quanto annuncia.

Il Battesimo, nel renderci Figli di Dio, ci fa "partecipi della funzione sacerdotale, regale e profetica di Cristo" (CCC  897), ci investe dunque di una vera "missione" che va attuata nel mondo, nelle situazioni di vita concrete e quotidiane.

Dobbiamo allora essere consapevoli di questo ruolo importante che abbiamo: annunciare Cristo non deve ridursi ad un mero atto verbale, ma tradursi in un'esistenza coerente con quello che è "Cristo".
Testimoniare implica sottolineare, agli occhi del mondo, che è possibile vivere come Egli ha vissuto, amando, "beneficando e risanando" (At 10,38).

E' indubbio che fare riferimento a Giovanni il Battista e a Gesù Stesso, comporta un guardare a dei modelli "elevati", trattandosi del più grande tra i nati di donna (cfr Mt 11,11) e del Verbo Incarnato.

Ma questo non deve spaventare, se pensiamo che tutta la storia della cristianità si snoda in un rapporto fra figure di grandi profeti (ma anche testimoni della stessa profezia) e semplici, buoni, ordinari credenti.

Gettando uno sguardo, ad esempio, sulla mistica occidentale, ci si ritrova davanti figure di portata titanica, come Santa Teresa d'Avila, Santa Margherita Alacoque, Padre Pio.

Che cosa hanno lasciato, queste figure, agli uomini del loro tempo e a quelli di oggi?
Indubbiamente non soltanto la memoria di una vita spirituale straordinaria, intessuta di grazie mistiche e di carismi fuori dal comune, non semplicemente profezie e rivelazioni, ma anche e soprattutto degli insegnamenti, che in prima persona hanno attuato, consegnandoceli come modelli imitabili.

Benedetto XVI, così scriveva nel suo "Introduzione al Cristianesimo", testo pubblicato per la prima volta nel 1968:

"La fenomenologia della religione constata come anche nella religione, al pari di quanto succede in tutti gli altri ambiti dello spirito umano, esista, almeno stando alle apparenze, una gradazione di talenti.

Si incontrano individui religiosamente dotati e altri non dotati: anche qui sono pochissimi coloro ai quali risulta possibile un'esperienza religiosa diretta, e quindi qualcosa come una creatività religiosa grazie a una viva penetrazione del mondo religioso.

Il mediatore o il fondatore, il profeta o comunque la storia delle religioni voglia chiamare quelle persone che sono capaci di entrare in diretto contatto con il divino, restano pur sempre anche qui l'eccezione.

Ci si sente spinti a obiettare: le cose non dovrebbero andare in modo che ogni persona abbia diretto accesso a Dio, se la 'religione' deve essere una realtà che riguarda tutti e ciascuno, e se ognuno è egualmente interpellato da Dio?

Questo interrogativo gira a vuoto; il dialogo di Dio con l'uomo si svolge unicamente tramite il dialogo degli uomini fra loro.
Il diverso livello di doti religiose, che divide gli uomini in 'profeti' e 'uditori', li costringe a unirsi e a essere gli uni per gli altri.

C'è religione, in fondo, non nel ritiro solitario del mistico, ma solo nella comunità di chi annuncia e chi ascolta.

Il vero dialogo non s'instaura, però, automaticamente, non appena gli uomini discorrono su qualcosa.

Il colloquio degli uomini perviene, invece, alla sua vera natura soltanto allorché essi non cercano di esporre qualcosa, ma tentano di dire se stessi, quando il dialogo diventa comunicazione".



"Il mondo ha "bisogno di testimoni, non di maestri": tornando alle parole di Paolo VI, oggi sembra di scorgere, quasi sommessamente, l'avversarsi in forma nuova di questa verità.
Forse in giro ci sono più profeti e mistici di quanto possa apparire a prima vista, silenziose e feconde manciate di sale che Cristo Sacerdote, Re e Profeta sparge sulla terra anche nel XXI secolo, non tanto per rivelare qualcosa di ancora inascoltato, ma per dare un segno concreto di speranza: la mistica non è un isolamento, la profezia non è un privilegio.
Questi doni ci ricordano che la vera Rivelazione si è già compiuta in Cristo e ogni dono ricevuto va considerato come un talento da trafficare con e per gli altri, testimoniando concretamente che è possibile vivere la buona novella del Vangelo nella semplicità del quotidiano, negli incontri con amici e parenti, nella realtà della comunità parrocchiale, nei luoghi di lavoro.

Tutti siamo profeti, in diversa misura: tutti dobbiamo allora anche essere testimoni!

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