lunedì 18 marzo 2013

Divagazioni sul tema della povertà.... riflessioni evangeliche e spunti dal magistero di Papa Francesco e Benedetto XVI


In questi giorni in cui Papa Francesco sta molto insistendo sul tema della povertà, il concetto è stato forse travisato da molti, con interpretazioni estremiste in un senso e nell'altro.

Interessanti, a tal proposito, le riflessioni sul sito dell' UCCR, che fanno ben comprendere come una Chiesa "povera" non voglia dire una Chiesa "senza mezzi", che non potrebbe poi neanche offrire concreto aiuto a quanti abbisognano anche di beni materiali-

Detto questo, ovvio che Dio "semini" carismi diversi fra le varie persone.
Così è anche, se vogliamo dirlo del "carisma" della povertà.

La storia dei santi e la stessa Bibbia, ci mettono in effetti davanti ad un'immagine "plurima" di povertà, offrendoci non solo il modello "finale" e per eccellenza di Cristo povero, ma anche quello di "santi" ricchi, che attraverso i loro beni, seppero servire i meno fortunati.

L'esempio eclatante, che mi viene in mente proprio mentre scrivo queste righe è Giuseppe d'Arimatea, che in Mt 27, 57-61, viene descritto come l'uomo ricco che chiede a Pilato il Corpo di Gesù per avvolgerlo in un "candido lenzuolo" e farlo deporre "nella sua tomba nuova, scavata nella roccia".
Se ben guardiamo a questo episodio, ci viene detta una cosa di estrema importanza: con la sua ricchezza, convertita in "lenzuolo" e "tomba" -cioè quelle cose materiali che abbisognavano in quel momento al Corpo povero di Cristo povero- Giuseppe d'Arimatea serve il Signore stesso!

E che dire anche di Zaccheo, il pubblicano che, una volta convertito, non decide di spogliarsi totalmente del suo (perché, fra tanto "rubato" qualcosa di guadagnato c'era anche e aveva pur famiglia da manenere!), ma compie un gesto rivoluzionario:
«Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto».  (Lc 19,8)
Zaccheo vuole restituire il frutto delle sue ruberie ("se ho frodato") e farlo anche con gli interessi: è una sorta di...riparazione postuma dell'ingiustizia!
D'altro canto, lo stesso pubblicano convertito fa un passo oltre: "Do' la meta ai poveri".
Ecco: anche la conversione di un ricco può produrre frutti di...utilità per il povero.
La ricchezza viene donata agli altri perché ora, convertendo il cuore a Cristo, non si ha più un cuore umano attaccato al denaro, ma a Lui solo. A quel "Tu" che si manifesta anche nel volto del povero!

Zaccheo, in un certo senso, nella sua esperienza di "figliol prodigo" vive -dopo il cambiamento- la dimensione del Salmo 62:

"Alla ricchezza, anche se abbonda
non attaccare il cuore"

E' lo stesso "alone" che avvolge la figura di Giuseppe d'Arimetea: avrebbe potuto, un uomo attaccato al bene materiale, "cedere"  la propria tomba ad un uomo morto della morte più infame, cioè la crocifissione?

Se Papa Francesco dice dunque: "Vorrei una Chiesa povera per i poveri"  (Incontro con i rappresentanti dei media- 16 marzo 2013), possiamo anche intendere una Chiesa che sappia programmare un taglio degli sprechi ed un sapiente impiego delle risorse, per sovvenire anche ai bisogni materiali degli indigenti.
Non per forza dobbiamo pensare ad una qualunquistica forma di "totale" spoliamento di ogni mezzo materiale di cui la Chiesa -come istituzione- dispone!
Immaginate una parrocchia senza fondi?
Non avrebbe neanche con che pagare ...le bollette della luce!

Quello che sembra evincersi è che ci sono quindi molti, tanti, diversi modi di vivere la povertà.
Un concetto di fondo è importante: a meno che non si decida di vivere da eremiti, la povertà non sarà mai una totale, assoluta mancanza di ogni bene, ma, casomai, una sua limitazione all'essenziale o una riduzione dello spreco.

Guardiamo allo stesso Gesù: sappiamo che i dodici avevano una "cassa", come attestato in Gv 12,6 e 19, 28-29.
A cosa servisse questa cassa lo si deduce dal racconto stesso dell'evangelista, il quale, attraverso la sua scelta narrativa di esporre i "pensieri" dei discepoli, ci fa scoprire quale fosse, usualmente, l'utilizzo di quel denaro. Questo accade particolarmente nella seconda pericope:
  • "Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri".
E' lecitissimo -anzi, quasi scontato e ovvio!- pensare che, se gli apostoli fecero quei ragionamenti, era perché, di norma, i soldi della cassa venivano ordinariamente impiegati sia per provvedere alle "quotidiane" necessità del Maestro e dei dodici (comprese anche le tradizionali feste giudaiche), sia per provvedere ai bisogni dei poveri.

Il concetto del povero è quello che viene infatti sottolineato da Giovanni nella prima pericope, da cui possiamo trarre due importanti elementi.
Ci troviamo a Betania, a casa di Lazzaro, Gesù è stato invitato a cena coi Suoi.
Maria, la sorella di Lazzaro, rompe un prezioso vasetto di nardo (molto costoso!) e lo sparge sui piedi di Gesù.
Giuda - colui che teneva la cassa- si lamenta.
E Giovanni fa una precisazione:
"«Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». 
Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro".

Anche da qui, dunque, sappiamo che la carità concreta verso i poveri, Gesù e i Suoi la potevano normalmente praticare non solo con i miracoli compiuti dal Cristo, non solo con la Parola di Vita, ma anche con beni materiali, che loro raccoglievano e gestivano per poi distribuirli.
Eppure, Gesù, ci fa vedere di non disdegnare un atto di omaggio che ha un costo elevato (il nardo preziosissimo sparso sui suoi piedi!) per dimostrare che in ciò che Lo riguarda (Liturgia, Chiese e la stessa figura del Pontefice in quanto Vicario di Cristo, nella Sua figura quindi spirituale e istituzionalae), è anche "giusto" sottolineare con qualcosa di esteriore l'importanza interiore di quello che si fa o che si è.

Si potrebbe anche aggiungere un dato ulteriore: povertà non significa disdegnare i doni della Provvidenza.
Esempi?
Tanti santi che, per compiere le loro opere caritative, hanno fatto sapiente uso di elargizioni -anche generose- ricevute da gente benestante del tempo, a volte ottenute in forme quasi miracolose.
A ben scadagliare il Vangelo, una considerazione simile la si potrebbe trovare anche con riguardo a Gesù, laddove in Mt 17,27 leggiamo del "miracolo" del pesce in cui Pietro, su indicazione di Cristo, trova una moneta per pagare le tasse....

Essere poveri, allora, può significare molte cose: a qualcuno viene chiesto un gesto di radicale distacco da tutto, ad altri un uso sapiente e moderato del poco che si ha (anche la vedova povera lascia quel poco che ha nel Tempio! Si può essere poveri anche da poveri!), ad altri, un utilizzo delle ricchezze a beneficio degli altri.

D'altro canto, la Chiesa ci presenta un ventaglio di santi per tutti i gusti: da un San Francesco d'Assisi a San Luigi IX, re di Francia con -fra questi due estremi- una varietà estrema di "vie di mezzo", santi borghesi, santi di classe sociale media, che hanno saputo impiegare le risorse economiche per il bene e la santificazione di molti, non solo personale.


Allora, come ci ha ricordato anche Papa Francesco, lo Spirito Santo non fa niente di "uguale", ma riesce, sapientemente, a rendere sinfonico il tutto:

"il Paraclito, è il supremo protagonista di ogni iniziativa e manifestazione di fede.
Il Paraclito fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele.
Ma dall’altra parte, è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella “ugualità”, ma nell’armonia.
Io ricordo quel Padre della Chiesa che lo definiva così: “Ipse harmonia est”.
Il Paraclito che dà a ciascuno di noi carismi diversi, ci unisce in questa comunità di Chiesa, che adora il Padre, il Figlio e Lui, lo Spirito Santo".
(udienza a tutti i cardinali 15 marzo 2013)

Farci poveri, sulle orme di San Francesco, può dunque assumere connotazioni pratiche 

Il presepe di Greccio, Giotto


Benedetto XVI nel corso dell'udienza generale del 23 dicembre 2009, delineando la figura del Santo d'Assisi, sottolineò ad esempio come la povertà umana stoa anche - e in primo luogo- nell'accogliere -nella nostra vita- un Dio che si fa "Bambino", uomo, povero, debole.
La nostra povertà è riconoscerci umilmente bisognosi dell'abbraccio di un Dio che Si è fatto Umiltà Incarnata.
Umile fino alla Croce.
Perché, ce lo ha ricordato pochi giorni fa Papa Francesco, "se non confessiamo Gesù Cristo diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore".  (omelia della Santa Messa con i Cardinali, 14 marzo 2013)

Concludo allora con le parole dell'udienza di Benedetto XVI:

"Dio si fa Bambino inerme per vincere la superbia, la violenza, la brama di possesso dell’uomo.
In Gesù Dio ha assunto questa condizione povera e disarmante per vincerci con l’amore e condurci alla nostra vera identità.
Non dobbiamo dimenticare che il titolo più grande di Gesù Cristo è proprio quello di “Figlio”, Figlio di Dio; la dignità divina viene indicata con un termine, che prolunga il riferimento all’umile condizione della mangiatoia di Betlemme, pur corrispondendo in maniera unica alla sua divinità, che è la divinità del “Figlio”.

La sua condizione di Bambino ci indica, inoltre, come possiamo incontrare Dio e godere della Sua presenza.

E’ alla luce del Natale che possiamo comprendere le parole di Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).
Chi non ha capito il mistero del Natale, non ha capito l’elemento decisivo dell’esistenza cristiana.
Chi non accoglie Gesù con cuore di bambino, non può entrare nel regno dei cieli: questo è quanto Francesco ha voluto ricordare alla cristianità del suo tempo e di tutti tempi, fino ad oggi.
Preghiamo il Padre perché conceda al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, proprio come fece Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano – riferendosi all’esperienza dei pastori nella Notte Santa (cfr Lc 2,20) - racconta a proposito di quanti furono presenti all’evento di Greccio: “ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia” (Vita prima, op. cit., n. 86, p. 479").

Nessun commento:

Posta un commento