venerdì 18 maggio 2012

"LA DONNA, QUANDO PARTORISCE E' NEL DOLORE".... (Gv 16,21)


Della Robbia- Ascensione

La Liturgia della Parola di quest'oggi ci ha presentato un brano tratto dal Vangelo di Giovanni, precisamente Gv 16,20-23a.
In questa pagina, che ci immette ancora una volta nell'Ascensione ormai alle porte, Gesù si rivolge ai Suoi e li prepara alla Sua dipartita:

"Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. 
Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia".
(Gv 16,20)

Non è solo un insieme di parole applicabile alla realtà dei discepoli di quel tempo....
E' vero, Gesù parla direttamente a quelli che lo hanno conosciuto come Uomo (oltre che come Dio), che hanno vissuto con Lui l'esperienza unica di un incontro "personale" umanissimo, fatto anche di gesti, sguardi, sorrisi, abbracci fraterni.
Il dolore di questi amici di Gesù sarà incommensurabile: perderanno la possibilità di questo rapporto "materiale" con il Cristo!

C'è però una "componente" che travalica la dimensione storica del momento in cui Gesù pronuncia queste parole.
Chi è veramente discepolo di Cristo, chi è veramente innamorato di Lui, spesso avverte -nel corso della propria attività di apostolo e testimone- tutto il peso della fatica che questa attività di discepolato comporta; percepisce la sofferenza del non avere un contatto più "tangibile" con Gesù...
E' l'esperienza che poi tocca il vertice nella vita dei grandi mistici, come ad esempio Santa Teresa d'Avila, che animata dal vivissimo desiderio di "incontrare" finalmente faccia a faccia il Suo Sposo, scrisse una stupenda poesia, intitolata "Muoio perché non muoio".

Il desiderio di questo incontro con Gesù Risorto (quindi vero Dio e vero Uomo!) dovrebbe in verità infiammare tutti i cristiani: è lo scopo del nostro viaggio terreno...santificarci, santificare...incontrare il Cristo e rimanere per sempre con Lui, per tutta l'Eternità!

E' però, paradossalmente, proprio questa sofferenza "interiore" del discepolo che gli consente di portare molto frutto, quel molto frutto (Gv 15,5; Gv 15,24) di cui tante volte il Signore ci ha parlato, nella Liturgia, in questi ultimi giorni.
L'impegno costante del discepolo nella sua vita di testimonianza e di fede coerente al Vangelo, fa di lui un "seminatore" della Buona Novella, gli consente di portare l'annuncio cristiano anche ad altri che non conoscono ancora Gesù, o che Lo conoscono malamente, a modo loro, con idee anche...bizzarre!

Ecco: la tristezza del discepolo per l'incontro con lo Sposo che "tarda" è già in questo primo elemento.
Ma in questa tristezza c'è anche il suo mutamento in felicità: l'attività apostolica reca la gioia di condurre altri alla salvezza, consente anche ad altre persone di scoprire, nella propria esistenza, la presenza di Dio!
In questo, in un certo senso, compare già -simbolicamente- la figura della donna che geme nelle doglie del parto: l'apostolo svolge spesso la sua opera in mezzo a molte tribolazioni, ma alla fine otterrà qualcosa, partorirà qualcuno alla fede, o ad una più intensa vita cristiana!

Ma c'è anche un secondo "parto" simbolico ed un secondo motivo di gioia, stavolta da intendersi a livello più "personale".
Nessun cristiano si può dire "arrivato" finché si trova su questa terra, nessun discepolo finisce mai di progredire nella vita spirituale.
Il cammino interiore è allora anch'esso un periodo di "gestazione": viviamo nelle doglie del parto cercando di partorire l'uomo nuovo, coltiviamo la nostra vita interiore giorno dopo giorno, alimentiamo la preghiera, l'orazione mentale, la vita sacramentale, proprio per cercare di arrivare al momento dell'incontro con Gesù pronti per ricevere la gloria che il Padre riserva agli eletti.
La nostra esistenza terrena come cristiani è un continuo lavoro su noi stessi, sul proprio "io interiore" ed esteriore, per cercare di essere perfetti come il Padre Nostro che è nei Cieli (cfr Mt 5,48).  

"Partorire" altri alla fede e "partorire"noi stessi come uomini nuovi sono sì motivo di travaglio, di sofferenza, ma ci consentono di superare il dolore della distanza fra noi e Dio: se sapremo fare della nostra vita un parto capace di portare frutto, di ottenere la salvezza di altre anime e la nostra, allora arriveremo all'incontro definitivo con Gesù, otterremo quella "gioia piena" (Gv 15,11) e senza fine di cui solo i beati in Paradiso potranno godere.

Allora, come già ci dice Gesù, saremo come la donna che, una volta partorito il bimbo "non si ricorda più della sofferenza". (Gv 16,21)
Infatti, San Paolo nella lettera ai Romani, paragona proprio tutta la creazione e l'essere umano stesso, ad una donna che geme nelle doglie del parto, ma ci assicura che, una volta giunti al momento di generare l'uomo nuovo.... 
 "le sofferenze del momento presente non" saranno "paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi"  (Rm 8,18).
Infatti, giunti in Paradiso, "noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è". (1 Gv 3,1)

Non sarà una ricompensa immeritata e capace di superare ogni tribolazione, quella del "dimorare" eternamente in Cristo e poterLo  contemplare senza filtri?

L'attesa e la gioia non sono soltanto nostre: anche Gesù desidera ardentemente l'incontro con noi, Sue creature!
E' sempre il Vangelo di oggi che ce lo ricorda, laddove riporta le parole del Cristo: "VI VEDRO' DI NUOVO E IL VOSTRO CUORE SI RALLEGRERA'".

Gesù ci aspetta.... noi aspettiamo Lui...
"Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta, ripeta: «Vieni!». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l'acqua della vita". (Ap 22,17)

Prepariamoci all'incontro definitivo rimanendo, come il tracio, uniti alla Vite, per portare molto frutto, un frutto che rimanga e che ci conduca alla gioia che nessuno ci potrà togliere!

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