"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova". (Cor 13, 1-3)
"L'Ancella è venduta alla carità, né più le resta giurisdizione o padronanza di sorta sopra se stessa; gioventù, sanità, agi, forse, sangue e vita, in una parola tutto il suo essere è a disposizione di questa virtù e se qualcosa le restasse ancora a dare, di questa pure sarebbe arbitra la carità".
(Santa Maria Crocifissa Di Rosa, fondatrice delle Ancelle della Carità)
Se si volesse tracciare un breve profilo spirituale di Sorella Lucia Ripamonti, basterebbe semplicemente "leggere" la sua esistenza, collocando la sua figura fra questi due pensieri sulla carità.
Si sarebbe detto già tutto l'essenziale, perché la sua intera vita fu spesa nella carità, in un amore che trovava la sua fonte nell'Amore di Dio e che si snodò, concretamente, fra preghiera, servizio umilissimo (in famiglia prima e nella comunità religiosa, successivamente), sollievo alle necessità delle persone incontrate lungo il suo cammino, un sollievo fatto di una parola, di un sorriso, di un'Ave Maria, di un pane offerto con squisita e discreta gentilezza.
E' la carità, infatti, che ci rende realmente “sale della terra e luce del mondo”, pur dietro l'apparenza di una vita ordinaria, “banale”, semplice.
E Suor Lucia Ripamonti visse seguendo il “motto” indicato da Suor Maria Crocifissa di Rosa, “vendendosi” alla carità!
Sorella Lucia, al secolo Maria Ripamonti, nacque il 26 maggio 1909 ad Acquate, un rione di Lecco, all'epoca in provincia di Como.
La sua era una famiglia modesta, ma non particolarmente fervente nella pratica religiosa, impegnata nel lavoro in fabbrica e a casa.
La sua era una famiglia modesta, ma non particolarmente fervente nella pratica religiosa, impegnata nel lavoro in fabbrica e a casa.
Maria, invece, fin da piccola rivelò il germe del forte amore verso il Signore, che orientò poi la sua vita intera.
Animata da una compostezza di carattere, un tratto squisito, un amore caritatevole e discreto, Maria non mancò di dimostrare queste sue qualità in tante situazioni: dall'andare a prendere il babbo, all'uscita dal lavoro, per evitare che, in tempo di guerra, frequentasse le osterie, con il rischio di lasciarsi sfuggire parole considerate, per quei tempi "sovversive".... al confortare le compagne tristi, al fare piccoli "atti di gentilezza", quei sacrifici che formano l'anima, la plasmano, la rendono sempre più attenta alla voce di Dio.
Nel volume "Venduta alla Carità" di Fernando Bea, si legge:
"Maria intraprende la via delle piccole mortificazione.
Dire di no anche alle cose più innocue.
Dire ancora no ad ogni più che legittimo moto dell'animo, del sentimento.
Cercare di fare quanto meno garba, accettare quanto rincresce, sorridere e mostrarsi cortese quando verrebbe da protestare.
Così, senza avvedersene, si forma alla scuola del no alle cose perché, più alto, risuoni il sì, al principio di tutte le cose".
Questa "forza di carattere", capace di imporre il dominio della volontà sui moti naturali dell'animo, fu una costate nella vita religiosa di Suor Lucia Ripamonti.
Impegnata nell'oratorio e nell'Azione Cattolica, Maria maturò la vocazione religiosa, desiderando di entrare, inizialmente, fra le Suore della Carità dette di Maria Bambina, che aveva conosciuto personalmente, in quanto presenti nel suo paese.
Non desiderava farsi "sorella mandataria", ovvero"una religiosa che di per sé, secondo le diverse Regole di un Istituto di vita consacrata, non raggiunge posti di responsabilità nelle varie mansioni del convento, dedicandosi ai lavori modesti e preziosi, tanto necessari in qualsiasi comunità".
D'altronde, Maria Ripamonti non aveva completato la scuola, arrivando solo in terza elementare e si reputava incapace di grandi cose, era di costituzione debole.... e, soprattutto, impregnata di vera umiltà.
Il progetto di farsi suora di Maria Bambina non andò in porto, dovendo infatti accettare un secco rifiuto.
Fu a quel punto che il Signore le svelò il Suo disegno per lei: dall'incontro con una suora Ancella della Carità, sua compaesana, Maria ebbe modo di conoscere il carisma dell'ordine fondato da Suor Maria Crocifissa di Rosa, nobile bresciana (1813-1855), canonizzata nel 1954.
“Voi siete vendute alla carità”, aveva lasciato scritto la Madre fondatrice....e Maria Ripamonti trovò finalmente, in quelle parole, il "modo" di vivere la vocazione: vendersi alla carità!
Realizzare però il proprio progetto vocazionale, costò, a Suor Lucia, non solo la “fatica” ed il dolore della ricerca, del rifiuto da parte di due Istituti religiosi, dell'attesa, ma anche, in un certo senso, la rottura dei rapporti familiari, poiché i suoi genitori, non accettarono mai che la propria figlia si fosse consacrata al Signore, anche se non seppero mai che sarebbe stata Sorella mandataria.
Il primo insegnamento che Suor Lucia ci lascia, potremmo allora dire, è quello di vivere cercando di ricalcare a penna quel percorso vocazionale che il Signore ha pensato per ciascuno di noi, tracciandolo a matita e attendendo con pazienza che noi, sue creature, procediamo seguendo quella strada.
Questo significa mettere veramente Dio al primo posto, convincersi che ciò che Lui ha in mente per noi, ci porterà alla santità, alla felicità dell'anima, ci renderà capaci di portare frutto.
Anche qualora questo implicasse un periodo di “buio”, di affanni, di silenzio, di ricerca faticosa, di contrasti con chi non comprendesse questa nostra vocazione.
“Nessuno che mette mano all'aratro
e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”. (Lc 9, 62)
Non è un discorso astratto, valido solo per chi si senta chiamato alla vita religiosa.
Lo si potrebbe estendere, ad esempio, anche ad una vocazione in senso “lavorativo”....pensiamo a chi volesse abbracciare la professione medica, per recarsi in terre difficili, magari entrando a far parte di organizzazioni umanitarie!
O, al contrario, a chi, abbandonando una condizione sociale stabile, volesse avviare un'attività umile, sentendosi chiamato a quel tipo di lavoro!
Probabilmente, molti genitori...non sarebbero d'accordo con queste scelte e cercherebbero di ostacolarle.
Fidarsi di Dio, vuol dire ascoltare quella voce che chiama a seguire una certa strada, trovando rifugio e consiglio nella preghiera, l'unica che possa veramente rendere “l'orecchio del cuore” capace di sentire bene il richiamo del Signore!
Ma torniamo a Suor Lucia: la sua vita, spesa interamente nella casa madre di Brescia, fu tutta, apparentemente un susseguirsi di" servizi umili, d'incombenze anche di fiducia, poiché usciva per le spese, per accompagnare le Suore nei luoghi di destinazione, serviva i sacerdoti che venivano in Casa Madre per gli Esercizi spirituali dei vari gruppi di Superiore e sostavano in foresteria."
E, ancora, pavimenti da spazzare, commissioni da sbrigare....
Ma ogni cosa che Suor Lucia compiva, non solo la realizzava con amore,ma diventava, anche al di fuori della preghiera di comunità, orazione, colloquio con il Signore.
Era un "segreto", questo, che aveva già appreso in famiglia, quando presa da mille faccende, faceva meditazione e stava"raccolta in Gesù".
Potremmo qui ricevere un altro dei beni dell'eredità spirituale (e non solo) che Suor Lucia ci consegna: comprendere che la vocazione non è sempre (anzi, non lo è quasi mai) un percorso pianeggiante, un fare solo quello che si vuole, un andare d'accordo, quasi d'incanto, con tutti quelli che incontreremo.
No, al contrario! Seguire la propria vocazione significa indubbiamente mettere un primo punto fermo nella propria vita, vivendola alla luce del volere del Signore, ma anche essere consapevoli che, probabilmente, all'interno di quella “scelta definitiva” che si è ormai compiuta, ci saranno molte altre scelte che, quotidianamente, momento per momento, Dio ci chiederà di fare.
Ossia, nella vocazione, si sarà continuamente chiamati, richiamati, a vivere, scelta dopo scelta, quel progetto divino tagliato su misura per noi, compiendo ogni azione, anche la più semplice, nella consapevolezza che nulla, agli occhi di Dio è banale, e che con un gesto d'amore, possiamo salvare delle anime!
Per capire quanto questo sia vero, basterebbe pensare a quanti matrimoni, purtroppo, oggi si consumino in formato usa e getta.
Per capire quanto questo sia vero, basterebbe pensare a quanti matrimoni, purtroppo, oggi si consumino in formato usa e getta.
A volte ci si sposa con l'idea che, dopo il fatidico “si”, tutto sarà bello, semplice....facile.
Invece occorre comprendere che proprio dopo il “si” ci saranno ancora molti altri “si” da dire, attraverso molti no a sé stessi, al proprio egoismo, all'amor proprio, alle proprie preferenze...
Solo così sarà possibile superare quelle “sciocchezze” (se paragonate al fine che è la santità, e alla propria vocazione!), che non intaccano la bellezza della vita matrimoniale, ma possono renderla un percorso verso la santità insieme.
Suor Lucia avrebbe desiderato vivere la sua vocazione non solo fra pentole e piatti, ma nelle corsie degli ospedali, o con i bambini, come facevano le altre Ancelle...ma accettò umilmente di dire, ancora una volta, il suo “si” nel si più grande dell'Amore.
Dedicarsi ad attività diverse da quelle che aveva sognato, tuttavia, non intaccò minimamente il suo essere consacrata, ancella, chiamata (come tutti noi!) alla santità!
Quel modo “concreto” di spendere la sua esistenza come sposa di Cristo, Gesù stesso lo aveva disposto per lei, allora si fidò di Lui, e visse fedele al volere dei superiori, rappresentati in terra di Dio stesso.
In questo modo riuscì a trovare la felicità interiore....consapevole che la "grandezza" delle opere dipende, agli occhi di Dio, dall'amore con cui vengono compiute, fossero anche le più umili, le più banali, le più quotidiane!
"Sorellina..." -disse un giorno ad una novizia- "ha pulito bene il corridoio, però di solito io pulisco più bene sotto gli armadi, dove nessuno vede... faccia anche lei bene dove nessuno vede, facciamolo bene insieme, perché Gesù dovrebbe sempre sorridere per il nostro operare nascosto per amor suo".
Insomma: la vocazione, la vita di fede, non sono un trampolino di lancio per gli onori e la gloria "sociali", mondane, ma solo ed esclusivamente per consolare, amare Gesù, salvarGli le anime!
Suor Lucia appariva sempre serena, mai una parola scortese con nessuno, mai uno sgarbo, il sorriso sempre sulle labbra.
Lei, che era distratta, non di rado rompeva degli oggetti -involontariamente- e per questo veniva giustamente ripresa....eppure, manteneva inalterata la sua calma interiore ed esteriore.
Anche le Superiore sapevano che la rottura dei vari oggetti era dovuta ad un difetto di vista, ben confermato nelle varie visite oculistiche che ne sono la testimonianza.
Eppure lei non si scusava.
Quale era il "segreto" di questa pace?
Non di certo una docilità innata del carattere....
Suor Lucia era una persona dall'animo sensibile, come chiunque, sentiva gli stimoli dell'amor proprio e il peso delle umiliazioni, la fatica di rimanere sempre impegnata non sul fronte attivo delle altre Ancelle (impegnate coi bambini, negli ospedali...), ma in quello, umile, nascosto, di sorella mandataria. (Ora questa classe di suore non esiste più da molti anni e regna una mirabile fusione e armonia tra tutte)
Alle consorelle, diceva, per aiutare a superare la permalosità: “Non faccia così, non pianga; in Paradiso saremo tanto contente”!
Suor Lucia aveva capito che ogni occasione che abbiamo a nostra disposizione per dimostrare amore a Gesù, può essere fruttuosamente impiegata per salvare anime, per rendere ogni cosa un atto di “immolazione” alla Sua Volontà e, soprattutto, che nella corsa verso la santità, tutto ciò che non è “essenziale” non deve essere oggetto dei pensieri umani, non bisogna soffermarcisi sopra, ma occorre continuare a camminare a passo svelto verso la vetta!
Due furono le cose che, concretamente l'aiutarono nel tenere a bada i moti dell'animo: la carità e l'obbedienza.
Dio è carità e "la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta".(1Cor 13, 4-7)
"Tutto copre", e Suor Lucia diceva: "Non sta bene pensare male e giudicare. Chissà quanti sforzi avrà fatto quella Sorella per vincersi".
Ecco un altro insegnamento che possiamo ricavare dall'esperienza di Suor Lucia: noi siamo spesso portati a scusarci, a scolparci, ogni volta ci accusino di qualcosa, perché conosciamo gli sforzi che magari abbiamo compiuto per superare un difetto, un'imperfezione...e nonostante tutto, non sempre riusciamo nell'impresa.
Siamo capaci di applicare lo stesso "metro di non giudizio" con chi ci sta intorno, pensando sempre bene di loro, intuendo che, probabilmente, anche le loro apparenti "irrequietezze" sono il residuo di una lotta interiore?
Vendersi alla carità, ha lasciato scritto la Madre fondatrice, significa rinunciare a tutto e, per una religiosa, questa rinuncia, nei voti di povertà, castità, obbedienza, è ancora più intensa: ci si fa poveri di tutto, anche del desiderio di agire di testa propria, in virtù della santa obbedienza, alla Regola, ai superiori, al Divin Volere.
"L'obbedienza vale molto più della salute", diceva Suor Lucia, richiamando amorevolmente ad essa anche le sue compagne, non tanto con le parole, ma con la testimonianza di esatta osservanza di richieste, comandi, inviti dei suoi superiori.
Suor Lucia Ripamonti, visse senza risparmiare le forze fisiche, in osservanza a questo comando....e arrivò alla “vetta” a 45 anni, consumata da un male che venne diagnosticato tardivamente.
Anche negli ultimi tempi della sua corsa terrena, seppe sempre prodigarsi, dimostrandosi esempio vivente della carità che sparge il suo profumo ovunque passi.
In ogni accettazione della sofferenza, Sorella Lucia continuò animata dall'amore per i peccatori, che in ogni tempo, hanno bisogno di conversione!
Maturò così, poco a poco, in lei, la più pressante aspirazione ad offrirsi vittima, per tutti quanti rifiutano la Grazia, e, forse, anche per suo fratello Enrico, del quale da tempo non si avevano notizie.
Maturò così, poco a poco, in lei, la più pressante aspirazione ad offrirsi vittima, per tutti quanti rifiutano la Grazia, e, forse, anche per suo fratello Enrico, del quale da tempo non si avevano notizie.
L'8 settembre 1953,"con il consenso dei superiori, nelle mani del confessore emette il voto di vittima" e si spense il 4 luglio 1954, dopo 45 anni spesi tenendo"sempre gli occhi fissi in Dio".
Che il suo esempio, possa essere di aiuto anche a noi, perché possiamo vivere alla scuola dell'umiltà, consapevoli che la vocazione è una scelta che va continuamente "riaffermata", dimostrata, interiorizzata....e che solo nella piena fedeltà ad essa, possiamo trasformare qualunque nostra azione in "preghiera e lode a Dio"!
PREGHIERA PER OTTENERE L’INTERCESSIONE DI SORELLA LUCIA
O Dio, Trinità santissima,
Padre,Figlio e Spirito Santo,
noi ti ringraziamo per i tesori di grazia
profusi nel cuore della tua serva
Sorella LUCIA RIPAMONTI
e ti preghiamo concedere anche a no,
di amarti e servirti con fede semplice
e ardore di carità,
non cercando che il compimento dei divini voleri.
Degnati, o Signore, di glorificare qui in terra
questa tua sposa fedele e, per sua intercessione,
accordaci le grazie che domandiamo. Così sia.
Tre Gloria Patri. . .
Suor Lucia è una figura esemplare, poco conosciuta e quindi il tuo articolo è di grande valore per diffondere il carisma di questa suora.
RispondiEliminaPer questo ti ringrazio, in quanto gli insegnamenti di umiltà, di benevolenza e quant'altro, da parte di suor Lucia, sono un monito per tutti! Spesso si confonde la carità come un gesto d'elemosina, mentre la carità, come quanto hai citato da San Paolo, non è altro che Amore all'ennesima potenza! smakkk che meriti!
Acquate non è un paesino in provincia di Lecco , " ora territorio comasco " ( sic ! ) ma un quartiere della città .
RispondiEliminaLa ringrazio per la segnalazione dell'errore, che ho provveduto a correggere in modo da rendere il pensiero più preciso e comprensibile.
RispondiEliminaLe fonti (una biografia di Fernando Bea del 1991, "Venduta alla carità" e "Storia confidenziale della letteratura. Dalle origini all'età del Petrarca" di Giampaolo Dossena" del 1987) parlavano di Acquate come (cito Bea, p. 12) un "paese che dista due chilometri da Lecco e si può dire ne sia un rione" (non lo definiva dunque, in toto come tale), mentre Dossena riportava che fino al 1923 (dunque fino a oltre dieci anni dopo la nascita di sorella Lucia) Acquate rientrava nella provincia di Como. Quel mio "ora" si riferiva al momento della nascita di sorella Lucia, anche se avrei dovuto scrivere, correttamente, "allora".