IL CORAGGIO DI INCONTRARSI
Riflessioni sulla visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma
Il Sinagoga day-after è il giorno della riflessione.
Ascoltare, riascoltare, pensare.
Forse, anche tacere, per dare spazio alla preghiera che smuove le montagne e per far risuonare in ciascuno, quanto di buono è stato detto ieri, sotto la volta azzurra del Tempio Maggiore di Roma.
Forse, anche tacere, per dare spazio alla preghiera che smuove le montagne e per far risuonare in ciascuno, quanto di buono è stato detto ieri, sotto la volta azzurra del Tempio Maggiore di Roma.
I giornali si colmano invece di riletture e commenti di un giorno che, probabilmente, nell'aspettativa di molti sarebbe già stato diverso -come per un dato di fatto scontato e poco o molto emozionale, a seconda dei punti di vista- da quello di 24 anni fa, quando Giovanni Paolo II incontrò il Rabbino capo Elio Toaff, inaugurando una nuova stagione della storia delle religioni, aprendo la strada del dialogo tra fratelli ebrei e cristiani, divisi da millenni.
Lucia Annunziata scrive su “La stampa”: “La visita fatta ieri al Tempio da parte dell'attuale Pontefice non si ricorderà come gloriosa, ma è possibile, che, proprio per questo, sia una tappa per grandi risultati”.
Franco Garelli, sempre sulle pagine dello stesso quotidiano, denuncia invece la “carenza di pathos”, richiamando la prima visita di un Pontefice alla Sinagoga romana, in cui si disse al Mondo -a suo avviso- “anche simbolicamente, che i cattolici e gli ebrei vivono una nuova storia, che a quei tempi significava ribadire con forza la scelta del Concilio di cancellare l'accusa di deicidio al popolo ebraico e la condanna dell'antisemitismo e dell' antigiudaismo”.
Considerazioni opinabili, osservazioni -queste- rivedibili da altre prospettive, che non dimentichino i punti di attrito attualmente esistenti, ma che non guardino nemmeno alla storia -cui ieri si è aggiunto un tassello in più- solo con gli occhi dell'emozione e del sentimento.
La visita di 24 anni fa, da parte di un Papa, appariva già di per sé carica di pathos, per riprendere le parole di Garelli, per il semplice motivo che interrompesse un ciclo bimillenario fatto di incomprensioni mute, che non volevano o non sapevano ancora interagire fra loro.
Il dialogo attuale, invece, si pone in un contesto ben diverso, di confessioni religiose che hanno ormai rotto il ghiaccio e che, superata la fase dell'emozionalità, vogliono dare concretezza alle proprie parole e ai propri gesti.
Per capire quanto non sia necessario lo scambio di baci e abbracci -come qualcuno auspicava-, per trasmettere anche la gioia e la valenza (spirituale, sociale, umana) di un incontro come quello di ieri, basta guardare all'incontro, breve, ma realmente intenso, fra Papa Benedetto XVI e il Rabbino emerito Elio Toaff, che forse più di chiunque altro -essendone stato diretto protagonista- avrebbe potuto costruire paragoni e che invece ha dimostrato sapientemente di non volerlo fare.
Sfidando il freddo e nonostante l'età, è uscito in strada, per accogliere il nuovo Pontefice, manifestando commozione e contentezza, pienamente ricambiate anche dal Santo Padre.
Nessun bacio, nessun abbraccio.
Strette di mani e sorrisi, questo si, gesti intensi, sinceri, che hanno bucato lo schermo forse più delle tante polemiche ascoltate nei giorni scorsi, lanciando un messaggio -anche simbolico- (prafrasando Garelli), di un dialogo che continua, che vuole continuare.
Strette di mani e sorrisi, questo si, gesti intensi, sinceri, che hanno bucato lo schermo forse più delle tante polemiche ascoltate nei giorni scorsi, lanciando un messaggio -anche simbolico- (prafrasando Garelli), di un dialogo che continua, che vuole continuare.
A chi dice che -forse- questo incontro non sarà ricordato come glorioso, si potrebbe obiettare che la vera gloria di ieri sia stata il coraggio.
Coraggio di un Papa che, dimostrandosi superiore a tante parole, a volte anche poco rispettose, pronunciate nei giorni scorsi -precisiamolo, non da parte di chi ieri ha accolto il Papa in Sinagoga!- ha evangelicamente porto l'altra guancia, non cadendo nella rete dei mass media che si aspettavano forse repliche e controrepliche, dimostrando, ancora una volta, di dare priorità alla cosa realmente importante: il dialogo con i fratelli ebrei.
Coraggio di un Papa che, con grande delicatezza, ma anche fermezza, ha saputo ribadire “l'azione di soccorso, spesso nascosta e discreta” svolta dalla Sede Apostolica.
E diciamolo chiaramente, senza falsi retorismi e buonismi: coraggio anche degli esponenti della Comunità Ebraica di Roma, che ha deciso, fino alla fine e nonostante la questione “Pio XII” -per loro rilevantissima-, di proseguire nel tentativo dialogico.
Nessun dialogo è inutile, purché entrambi gli interlocutori parlino con cuore sincero, ed è ciò che hanno fatto!!!
RispondiEliminaL'errore sarebbe quello di evitare ogni incontro: così facendo, non solo si interrompe il dialogo, ma si crea un baratro!
Pienamente d'accordo Maria soprattutto per quanto riguarda il coraggio dimostrato dal nostro Pontefice.
RispondiEliminaQuanto abbiamo bisogno del suo esempio.
Eugenia
Grazie ad entrambe...e si, abbiamo veramente bisogno dell'esempio del Santo Padre, per me, in questi giorni, il suo comportamento è stato un vero "esercizio spirituale"!
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