TACERE NELL'ATTESA
Meditazioni per la Settimana Santa
Il silenzio, spesso, fa paura. Forse per un'ancestrale connessione che lo associa alla morte, trasformandolo in un grande punto interrogativo: assenza di vita come la si intende in questa esperienza terrena e incognita sull'oltretomba.
Eppure è contraddittorio, l'uomo, nel suo rapporto col silenzio. Nel chiasso desidera l'assenza di suoni, nel vuoto sonoro ha sete di parole, rumori, presenza. Presenza: ecco il nocciolo della questione! Il troppo rumore sembra distogliere dalla propria stessa presenza, mentre il silenzio è temuto perché è percepito spesso come assenza di un qualcuno, come solitudine, mancanza di calore umano, di affetto e di consolazione, dimensione, quindi, senza speranza e gioia, carente di condivisione.
Forse i discepoli di Gesù vissero così il silenzio calato sul palcoscenico di Gerusalemme dopo la morte del Maestro: un totale deserto di parole sul futuro; una tabula rasa di tutte le aspettative coltivate fino ad allora; la perdita tangibile dell'amico prediletto che si era reso loro vicino con il suo insegnamento, con il suo modo di essere, col suo fascino che aveva sapore di un mondo mai visto prima.
L'uomo per "sentire" ha bisogno di vedere, toccare, percepire con i sensi l'altro che è accanto. Eppure può capitare che neppure questo basti, e tra due persone presenti nello stesso luogo, magari vicinissime, può calare un silenzio tombale che interrompe ogni comunicazione, che mette a disagio, che crea imbarazzo, addirittura distanza.
Quante volte, attorno a Gesù, si era fatto silenzio, prima della sua crocifissione! Ma era un silenzio glaciale: quello degli accusatori, quello degli indignati da un uomo che osava fare miracoli in giorno di sabato; quello che, poco tempo prima della sua morte, aveva riempito le pause tra il Cristo interrogato e il Pilato inquisitore.
Cristo e Pilato: l'esempio perfetto di come anche le parole possano creare silenzio, inteso metaforicamente come distanza incolmabile tra due persone che non riescono a comunicare in profondità. Era già avvenuto nella sala dell'Ultima Cena, quando Gesù aveva anticipato il tradimento di uno dei dodici e nessuno, a parte Giuda, aveva capito nulla; e quella stessa sera il Maestro aveva preannunciato anche il rinnegamento di Pietro e tutto era sembrato concludersi nella vanagloria del presuntuoso apostolo. E così era calato il silenzio sul dramma interiore di un uomo che stava per essere consegnato ai nemici proprio per mano di uno dei suoi, e abbandonato da tutti gli altri.
Non sono, allora, né le parole né i gesti a creare contatto, vita, speranza, ma qualcosa che va oltre. Solo una presenza certa, sicura, che non va e viene a piacimento dell'uomo, può riempire il silenzio e abitare anche nel rumore, e penetrare nel cuore dell'uomo in qualunque circostanza. Solo dove Dio è presente attraverso la certezza del credente che sa che Egli c'è, che è il Vivente, che ama l'uomo e che gli offre la speranza della vita eterna... il silenzio non fa paura. Può essere doloroso e angosciante, come certamente sarà stato sofferto il silenzio del sabato per Maria, la madre di Gesù, ma in esso palpiterà comunque la speranza nelle promesse del Signore. Promesse che si compiranno, perché Egli è fedele e veritiero.
La fede non abolisce il silenzio, ma lo riempie dell'amore di un Dio che vede, sa, e agirà. Così anche il silenzio acquista un senso: è il tempo dell'attesa, tempo in cui non si possono investigare i piani di Dio, perché solo Lui li conosce e li comprende, ma è proprio per questo il tempo per ricordare che al momento opportuno Signore interviene nella storia dell'uomo e lo libera, come liberò il popolo eletto dalla schiavitù d'Egitto, come libererà Gesù dalla morte, il terzo giorno.
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