QUARESIMA,
TEMPO PER FARCI CURARE
DAL VELENO
TEMPO PER FARCI CURARE
DAL VELENO
«Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l'asta;
quando un serpente aveva morso qualcuno,
se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita». (Nm 21,9)
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Quaresima: tempo di penitenza, in cui lasciarci curare dal veleno che ci ha infettati. Perché il peccato è un veleno, tossico per la nostra anima e per la nostra vita. Il problema è che esso ci appare spesso rivestito di una maschera. Lo vediamo buono, bello, gradevole. Cominciamo a ingerirlo e magari all'inizio non ci procura del danno, anzi, sembra finanche farci stare bene. Siamo euforici, come sotto l'effetto di una droga o di un allucinogeno, ci sembra di assaporare il gusto vero della vita, l'ebbrezza della libertà; ci sentiamo dominatori su ciò che ci circonda, perché in grado di decidere senza ascoltare nessuno, se non noi stessi. È solo quando quel veleno ha finito con l'intossicarci che finalmente iniziamo a capire. È solo quando i sintomi spiacevoli e indesiderati di quel veleno infettano la nostra esistenza, che finalmente ci rendiamo conto che qualcosa non va e che è necessario cambiare stile di vita, modificare le nostre abitudini, scegliere qualcosa di diverso per nutrirci.
Ma per cambiare rotta, per convertisi, prima di tutto, è necessario disintossicarsi. Il veleno, di norma, non lo si smaltisce in automatico. Serve un antidoto, qualcosa che si opponga al male con il bene. E per disintossicarsi occorre prima avere l'umiltà di riconoscersi ammalati, avvelenati. È come un cerchio che va spezzato, e non è così immediato avere la forza per farlo. Se lo fosse, tutti opterebbero per la conversione. Invece sono tanti quelli che decidono di chiudere gli occhi sul proprio stato di salute spirituale, continuando ad accumulare veleno su veleno, alternando fasi di sofferenza acuta a momenti di sballo e finta felicità.
Ma, paradossalmente, per qualcuno è proprio il momento dell'avvelenamento a coincidere con quello dell'umiltà: ci si riconosce fragili, bisognosi di una cura, di un antidoto. Nel momento della debolezza ci si accorge di non essere così forti e indipendenti, e si comprende di avere bisogno di ciò che veramente salva: l'amore. È il momento in cui non ci si basta più a se stessi, ma si ha bisogno dell'altro. Quel qualcuno che si prenda cura di noi, non perché si aspetti per forza qualcosa in cambio, ma perché per quel qualcuno noi e il nostro benessere sono importanti, perché quel qualcuno ci ama, così come siamo, nonostante tutto. L'impotenza e il dolore interiore sono come l'estrema sofferenza fisica dell'intossicato che comprende, improvvisamente, quanto sia necessaria una repentina scelta: per la vita, o per la morte, per l'amore o per il non amore, prima che il veleno annienti totalmente ogni volontà di scegliere.
Se si opta per la vita, si opta per Cristo: il peccatore convertito è un uomo che si è prima lasciato avvelenare dal male e poi ha aperto gli occhi, si è presentato dinanzi a Colui che risana l'uomo nella sua integrità. Nella conversione l'essere umano si vede finalmente per come è: piccolo, indifeso, bisognoso di Dio. È solo l'amore di Dio che può veramente disintossicare l'uomo, perché una volta per tutte, sulla Croce, Cristo si è fatto il serpente innalzato da guardare per avere la salvezza, prefigurato dal serpente di bronzo innalzato da Mosè. Egli, cioè, ha assunto su di sé il peccato degli uomini, il veleno che ci uccideva, anzi, di più: si è fatto peccato (2 Cor 5,21), per sconfiggerlo definitivamente. Questa vittoria rimane perenne: ecco perché, l'uomo, per tutto il tempo storico della sua vita, può guardare sempre alla Croce per ottenere salvezza, vita interiore, rinascita, pegno di eternità.
Facciamo della Quaresima il tempo della disintossicazione da tutto ciò che ci tiene lontani da Dio; da tutto ciò che inquina il nostro io; da quello che invece di renderci più vivi, ci ammala dentro.
Facciamo della Quaresima il tempo della disintossicazione da tutto ciò che ci tiene lontani da Dio; da tutto ciò che inquina il nostro io; da quello che invece di renderci più vivi, ci ammala dentro.
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