domenica 16 aprile 2017

Pensieri per lo spirito


NELLA SPERANZA SIAMO SALVATI
Meditazioni per la Settimana Santa



La nostra speranza è in Dio.
La nostra speranza è Dio.
La nostra speranza è la speranza di un Cristo che non ha negato la morte, ma l'ha attraversata, e proprio attraversandola, l'ha sconfitta, inaugurando il tempo della vita vera in Se stesso, uomo perfetto, glorificato dal Padre.







IL DIO DELLA LUCE, IL DIO DELLA SPERANZA

La Veglia Pasquale comincia con parole di luce, vita e speranza. La Benedizione del fuoco, il primo dei momenti che scandisce la celebrazione, ci ricorda infatti che «in questa santissima notte, nella quale Gesù Cristo nostro Signore passò dalla morte alla vita, la Chiesa, diffusa su tutta la terra, chiama i suoi figli a vegliare in preghiera. Rivivremo la Pasqua del Signore nell’ascolto della Parola e nella partecipazione ai Sacramenti; Cristo risorto confermerà in noi la speranza di partecipare alla sua vittoria sulla morte e di vivere con lui in Dio Padre» [1].
La Benedizione del fuoco si colloca nella Liturgia della Luce, che ci ricorda attraverso segni e parole che Cristo è l'unica e vera luce del mondo da cui dobbiamo lasciarci illuminare. 
Questa luce era già stata preannunciata dai profeti, per mezzo dei quali Dio aveva parlato, come rammenta l'orazione alla quinta lettura, durante la Liturgia della Parola:

«Dio onnipotente ed eterno,
unica speranza del mondo,
tu hai preannunziato con il messaggio dei profeti
i misteri che oggi si compiono;
ravviva la nostra sete di salvezza,
perché soltanto per l’azione del tuo Spirito
possiamo progredire nelle vie della tua giustizia.
Per Cristo nostro Signore». 

La luce di Cristo risplende senza fine perché Egli è la vera immagine visibile del Padre, del quale ha portato ha compimento il progetto di salvezza dell'uomo. San Paolo si augura dunque (scrivendo agli Efesini) che Dio Padre «illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l'efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro» (Ef 1, 18-21).

Cos'è la speranza?

a) È una virtù teologale

Così la definisce il Catechismo della Chiesa Cattolica: 
«La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. 
"Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso" (Eb 10,23).
La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell'attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della carità» [2].

b) Non è semplicemente ottimismo

«L'ottimismo di temperamento è una cosa bella e utile nelle angosce della vita» – scriveva Joseph Ratzinger –. «Deve essere sviluppato e coltivato per formare positivamente la fisionomia morale di una persona. Allora esso può crescere mediante la speranza cristiana e diventare ancora più puro e più profondo; viceversa in un'esistenza vuota e falsa esso può decadere e divenire pura facciata. Importante è non confonderlo con l'ottimismo ideologico, ma anche non identificarlo con la speranza cristiana, la quale può crescere su di esso, ma come virtù teologica è una qualità umana di profondità di gran lunga maggiore e di altro rango. Il fine della speranza cristiana è il regno di Dio, cioè l'unione di uomo e mondo con Dio mediante un atto di divino potere e amore» [3].

c) Dio è l'unica nostra speranza

Già l'orazione alla quinta lettura della Veglia pasquale lo ha evidenziato: Dio è l'unica speranza. 
In Lui, infatti, riponiamo la nostra speranza, la nostra fede. Soltanto Dio può salvarci dal peccato, dalla morte, dal decadimento, dalla bruttezza, dall'ingiustizia, dalla falsità. L'azione che realizza la speranza, pur richiedendo la nostra volontà, il nostro impegno fattivo, in definitiva viene solo da Dio, che vuole che tutti gli uomini si salvino, e che per questo ha operato e opera, mettendoci nelle condizioni di essere salvati.
Dire a Dio: «Tu sei la mia speranza» equivale a dirgli: «Tu sei la mia unica salvezza».
San Paolo ci dice infatti che «nella speranza siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo?» (Rm 8,24). 
Ma in quale speranza siamo stati salvati?
In quella di Gesù, che ha vissuto la fede nella speranza di essere liberato dalla morte, pregando e rendendosi obbediente (Eb 5,7). È nella sua (grazie alla sua) speranza che si può realizzare la nostra speranza; è nella sua fede che anche noi possiamo credere nell'unico Padre suo e nostro; è nella sua carità, nel suo amore, che anche noi possiamo vivere le relazioni con Dio e con gli altri in una dimensione totalmente donativa. 
La speranza del Cristo non era infatti solo per Se stesso: Egli ha sperato per tutti noi, per salvare gli uomini attraverso la sua Passione, morte e Risurrezione.
La speranza del Cristo diventa così la nostra speranza: Egli poi è il fine ultime della nostra speranza, perché «è anche possibile che il Regno di Dio significhi Cristo in persona, lui che invochiamo con i nostri desideri tutti i giorni, lui di cui bramiamo affrettare la venuta con la nostra attesa. Come egli è la nostra Risurrezione, perché in lui risuscitiamo, così può essere il Regno di Dio, perché in lui regneremo [San Cipriano di Cartagine, De oratione dominica, 13: PL 4, 527C-528A]» [4].

Cristo, principio e fondamento della nostra speranza nell'Eucaristia

L'orazione alla quinta settima della Veglia pasquale invoca così Dio Padre:

«O Dio, che nelle pagine dell’Antico e Nuovo Testamento
ci hai preparati a celebrare il mistero pasquale,
fa’ che comprendiamo
l’opera del tuo amore per gli uomini,
perché i doni che oggi riceviamo
confermino in noi la speranza dei beni futuri.
Per Cristo nostro Signore» [5].

E il dono principale che riceviamo nella Celebrazione Eucaristica è la Comunione, «Sacramento della carità, il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l'amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l'amore "più grande", quello che spinge a "dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Gesù, infatti, "li amò fino alla fine" (Gv 13,1). Allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci "fino alla fine", fino al dono del suo corpo e del suo sangue» [6]. 
Il Cristo eucaristico è infatti il Cristo morto e risorto. Egli, Figlio obbediente, fedele, traboccante di speranza, è il tralcio su cui veniamo innestati per avere la vita nuova di uomini redenti, in una redenzione che, in quanto spirituale, opera già ora, è un anticipo della risurrezione dei nostri corpi, di quella redenzione "totale" che vivremo nel futuro escatologico, così come l'Eucaristia è pegno della gloria futura.
Se siamo consapevoli di questo allora dobbiamo orientare tutta la nostra vita, questa nostra vita presente, attuale, alla luce della speranza.

Un messaggio per l'uomo: agire già in questa vita orientati dalla speranza

Scriveva Moltmann: 

«La speranza cristiana è diretta verso un novum ultimum, verso la nuova creazione di tutte le cose ad opera del Dio della risurrezione di Cristo. Essa ci apre una prospettiva di futuro che ricomprende ogni cosa, anche la morte; essa può e deve ricondurre in quella prospettiva anche le limitate speranze di rinnovamento della vita, suscitandole, relativizzandole e orientandole. Contro la presunzione non serve la disperazione che dice "in fondo tutto rimane sempre uguale", ma serve soltanto il correttivo della speranza che si articola in pensiero e azione. La speranza cristiana è chiamata e autorizzata a operare una trasformazione creativa della realtà, perché essa ha speranza per l'intera realtà. La speranza della fede diventa essa stessa una fonte inesauribile cui attinge la immaginazione creativa e inventiva dell'amore. Essa provoca e produce costantemente un pensiero anticipatore che è pensiero d'amore per l'uomo e per il mondo, affinché le nuove possibilità che emergono assumano una forma consona alle cose migliori possibili, poiché le cose promesse sono nell'ambito del possibile.
Essa susciterà quindi costantemente la "passione per ciò che è possibile", l'inventiva e l'elasticità per autotrasformarsi, per uscire dal vecchio e adattarsi al nuovo» [7].

La stessa passione che Cristo ha vissuto, uscita dalla mente del Padre come mezzo nuovo per redimere gli uomini, per farli uscire dal vecchio e rinnovarli nel Figlio, l'uomo «reso perfetto per sempre» (Eb 7, 28).


NOTE

[1] Liturgia della Veglia pasquale.
[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1817-1818
[3] Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Guardare Cristo – Esercizi di fede, speranza e carità, Jaca Book, 2009, p. 39-40.
[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2816
[5] Liturgia della Veglia pasquale.
[6] Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 1.
[7] Jürgen Moltmann, Teologia della speranza, Queriniana, 2008, pp. 27-28.

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