L'ABBANDONATO CHE SI ABBANDONA
Meditazioni per la Settimana Santa
La Settimana Santa si apre con la commemorazione liturgica dell'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, ma anche con il Vangelo della Passione. È una Liturgia della Parola che ci mette di fronte alla contrapposizione tra la Gloria e la Croce, tra l'esaltazione e l'umiliazione. E può aiutarci a riflettere sul grande mistero di come l'uomo veda il proprio simile, e di quanto sia importante comprendere che solo Dio conosce ognuno per ciò che realmente è.
Ingresso di Cristo a Gerusalemme, Hippolyte Flandrine (1842)
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L'UMILIAZIONE E LA GLORIA
La Settimana Santa si apre con la contrapposizione fra la gloria dell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e l'umiliazione della Croce, una contrapposizione che in realtà riassume bene l'esperienza di Cristo durante la sua vita pubblica: acclamato da una parte per i suoi miracoli e l'autorità con cui insegna; beffeggiato e offeso dall'altra, perché osa proclamarsi «Figlio di Dio». Gesù va incontro a questi due estremi nei suoi anni di ministero, vivendo sulla propria pelle l'alternanza di atteggiamenti da parte di coloro che incontra.
Lo vediamo sottrarsi più volte alle folle che vogliono fare di lui un Messia alle "loro" condizioni (un re potente che combatta con vigore – anche con la forza – i poteri che opprimono gli ultimi, e che risolva i problemi sociali, primo fra tutti quello della fame), ma lo vediamo fuggire più volte anche da quelli che, per motivazioni religiose, tramano per toglierlo di mezzo, come se assistessimo ad un film d'azione in cui tutti cercando di "appropriarsi" del Cristo visto a propria immagine e somiglianza, vogliono innalzarlo su un trono "mondano" o inabissarlo nell'umiliazione più appariscente agli occhi del mondo.
Un abbandonato che si abbandona
Gesù va incontro alla realizzazione della propria missione, che lo porterà a essere innalzato sulla Croce, saldamente radicato in questa certezza: gli uomini possono conoscerlo o disconoscerlo, accogliere o meno la Verità che egli offre; anche gli amici più cari possono sbandare nel loro rapporto con lui (basti pensare a Pietro, ma anche all'atteggiamento dei discepoli quando discutono per ottenere "i posti migliori" accanto a Gesù, nel regno di Dio), ma Dio lo sosterrà nel momento della prova, come ricorda il brano di Isaia proclamato quale Prima Lettura della Domenica delle Palme.
«Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso» (Is 50,7).
Sulla Croce, tuttavia, l'apparente silenzio del Padre fa prorompere Gesù in un grido sull'abbandono di Dio. Un abbandono sperimentato nel proprio corpo e nel proprio spirito, ma in cui la volontà, evidentemente, si rafforza, e in cui la fede del Gesù Uomo nel Dio Padre tocca il suo apice. Gesù diventa l'abbandonato che si abbandona, ancora una volta, nelle mani del Padre.
Lo esprime chiaramente la versione lucana della morte di Gesù, in cui la sua domanda al Padre sul "perché" dell'abbandono trova anche una risposta nello stesso atteggiamento del Cristo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Un messaggio per l’uomo: vedere senza vedere
Il contrasto tra la gloria e la Croce che la Domenica delle Palme offre alla nostra meditazione, per quanto duro e choccante, riflette quello che chiunque può sperimentare (in misura ridotta) nella propria esistenza.
La gloria e la croce possono essere l'espressione simbolica delle due facce (positiva e negativa) con cui ogni uomo vede l'altro uomo, lo "interpreta", lo etichetta, lo concepisce.
E questo modo di vedere l'altro può essere giusto o sbagliato, coincidere o meno con ciò che ciascuno sente di essere nel profondo, ma ci rimanda proprio per questo a una realtà apparentemente incomprensibile: l'uomo rimane, fondamentalmente, sempre un mistero per l'altro, nella sua più abissale verità. E l'uomo, rimane, fondamentalmente, un mistero anche a se stesso.
Solo Dio può conoscere l'uomo nella sua totale realtà, nella sua vera essenza, con i suoi pregi e difetti, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità, ma anche nella missione personale che ciascuno è chiamato a realizzare, in risposta a una vocazione unica e irripetibile.
Anche noi possiamo sperimentare il silenzio del Padre in tante situazioni che ci riguardano di persona e possiamo essere tentati di non abbandonarci a lui come ha fatto Gesù. Ma il Padre che tace non è un Padre che abbandona. È un Padre che chiede all'uomo un salto di qualità nella fede, un Padre che sprona la creatura a percepire tutta l'umanità del proprio limite (quello che sente l'apparente non risposta di Dio) e al contempo tutta la grandezza della fede, la forza della speranza nella consegna fiduciosa. Gesù ci dimostra che è possibile vedere senza vedere, fidarsi senza sentire la presenza dell'Altro.
Grazie a questa fiducia incondizionata di Gesù si passerà dalla Croce alla Risurrezione, come ricorda san Paolo nella Lettera agli Ebrei: «Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (Eb 5,7).
La Settimana Santa si apre con la contrapposizione fra la gloria dell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e l'umiliazione della Croce, una contrapposizione che in realtà riassume bene l'esperienza di Cristo durante la sua vita pubblica: acclamato da una parte per i suoi miracoli e l'autorità con cui insegna; beffeggiato e offeso dall'altra, perché osa proclamarsi «Figlio di Dio». Gesù va incontro a questi due estremi nei suoi anni di ministero, vivendo sulla propria pelle l'alternanza di atteggiamenti da parte di coloro che incontra.
Lo vediamo sottrarsi più volte alle folle che vogliono fare di lui un Messia alle "loro" condizioni (un re potente che combatta con vigore – anche con la forza – i poteri che opprimono gli ultimi, e che risolva i problemi sociali, primo fra tutti quello della fame), ma lo vediamo fuggire più volte anche da quelli che, per motivazioni religiose, tramano per toglierlo di mezzo, come se assistessimo ad un film d'azione in cui tutti cercando di "appropriarsi" del Cristo visto a propria immagine e somiglianza, vogliono innalzarlo su un trono "mondano" o inabissarlo nell'umiliazione più appariscente agli occhi del mondo.
Un abbandonato che si abbandona
Gesù va incontro alla realizzazione della propria missione, che lo porterà a essere innalzato sulla Croce, saldamente radicato in questa certezza: gli uomini possono conoscerlo o disconoscerlo, accogliere o meno la Verità che egli offre; anche gli amici più cari possono sbandare nel loro rapporto con lui (basti pensare a Pietro, ma anche all'atteggiamento dei discepoli quando discutono per ottenere "i posti migliori" accanto a Gesù, nel regno di Dio), ma Dio lo sosterrà nel momento della prova, come ricorda il brano di Isaia proclamato quale Prima Lettura della Domenica delle Palme.
«Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso» (Is 50,7).
Sulla Croce, tuttavia, l'apparente silenzio del Padre fa prorompere Gesù in un grido sull'abbandono di Dio. Un abbandono sperimentato nel proprio corpo e nel proprio spirito, ma in cui la volontà, evidentemente, si rafforza, e in cui la fede del Gesù Uomo nel Dio Padre tocca il suo apice. Gesù diventa l'abbandonato che si abbandona, ancora una volta, nelle mani del Padre.
Lo esprime chiaramente la versione lucana della morte di Gesù, in cui la sua domanda al Padre sul "perché" dell'abbandono trova anche una risposta nello stesso atteggiamento del Cristo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Un messaggio per l’uomo: vedere senza vedere
Il contrasto tra la gloria e la Croce che la Domenica delle Palme offre alla nostra meditazione, per quanto duro e choccante, riflette quello che chiunque può sperimentare (in misura ridotta) nella propria esistenza.
La gloria e la croce possono essere l'espressione simbolica delle due facce (positiva e negativa) con cui ogni uomo vede l'altro uomo, lo "interpreta", lo etichetta, lo concepisce.
E questo modo di vedere l'altro può essere giusto o sbagliato, coincidere o meno con ciò che ciascuno sente di essere nel profondo, ma ci rimanda proprio per questo a una realtà apparentemente incomprensibile: l'uomo rimane, fondamentalmente, sempre un mistero per l'altro, nella sua più abissale verità. E l'uomo, rimane, fondamentalmente, un mistero anche a se stesso.
Solo Dio può conoscere l'uomo nella sua totale realtà, nella sua vera essenza, con i suoi pregi e difetti, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità, ma anche nella missione personale che ciascuno è chiamato a realizzare, in risposta a una vocazione unica e irripetibile.
Anche noi possiamo sperimentare il silenzio del Padre in tante situazioni che ci riguardano di persona e possiamo essere tentati di non abbandonarci a lui come ha fatto Gesù. Ma il Padre che tace non è un Padre che abbandona. È un Padre che chiede all'uomo un salto di qualità nella fede, un Padre che sprona la creatura a percepire tutta l'umanità del proprio limite (quello che sente l'apparente non risposta di Dio) e al contempo tutta la grandezza della fede, la forza della speranza nella consegna fiduciosa. Gesù ci dimostra che è possibile vedere senza vedere, fidarsi senza sentire la presenza dell'Altro.
Grazie a questa fiducia incondizionata di Gesù si passerà dalla Croce alla Risurrezione, come ricorda san Paolo nella Lettera agli Ebrei: «Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (Eb 5,7).
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