sabato 15 aprile 2017

Pensieri per lo spirito


IL SILENZIO DI DIO E LA SPERANZA DELL'UOMO
Meditazioni per la Settimana Santa


Il Sabato Santo è il giorno del silenzio. Non si celebra la Liturgia della Parola, non si riceve l'Eucaristia. Siamo chiamati a "rivivere" il silenzio del sepolcro. Il silenzio del Gesù morto, il silenzio degli apostoli smarriti, il silenzio del dolore della madre.
Cosa può dire l'esperienza di questo silenzio, a noi che sappiamo già cosa attende il Cristo dopo tre giorni di attesa?





Giuseppe Sanmartino, Cristo Velato, 1753
Museo Cappella Sansevero, Napoli





IL SILENZIO DI DIO

Il Sabato Santo è il giorno del silenzio, giorno in cui siamo invitati a meditare sugli eventi trascorsi e ad attendere la Risurrezione del Signore, che avrà luogo nella Veglia di tutte le veglie, quella pasquale.
Il Sabato Santo è l'unico giorno dell'anno in cui non vi è Liturgia della Parola e in cui non si riceve l'Eucaristia e siamo invitati a cercare il Signore in maniera diversa dal solito.
Il silenzio di Gesù dopo la sua morte, quel silenzio che agli occhi di molti sembrò anche un silenzio divino (quanti si saranno chiesti: E dov'è Dio con le promesse di cui il Cristo ha parlato?) si traduce in silenzio liturgico, attraverso cui proviamo a rendere concretamente sperimentabile l'esperienza vissuta dagli apostoli.
Il Sabato Santo è una sorta di memoriale atipico, così come la Liturgia è il memoriale per eccellenza della Passione e Risurrezione del Signore. Il Sabato Santo è il giorno in cui «la Chiesa rivive il mistero della sepoltura di Gesù» [1].
Questo mistero stesso, è già per noi fonte di riflessione e oggetto di domande: che senso ha il silenzio? Cosa può dire, oggi, a noi che sappiamo già come va a finire il racconto del Vangelo, la storia di Gesù, paradigma della nostra esperienza di creature destinate a risorgere?

a) Il silenzio è uno dei linguaggi di Dio

«Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1, 27).
Dio viene a dire la sua parola ultima e definitiva attraverso suo Figlio. Un Figlio che che assume una condizione umana, nascosto per anni agli occhi della storia; un Figlio che non viene a operare sulla terra una rivoluzione politica e sociale e neppure a ribaltare le sorti degli ultimi ricorrendo alla forza bruta. Il linguaggio di Dio è un linguaggio in sordina, silenzioso rispetto alle aspettative e alle modalità delle masse; un linguaggio la cui portata rivoluzionaria è nel contenuto del suo messaggio, e che proprio per questo appare stolto e debole agli occhi del mondo, in cui fatica a farsi spazio. 
Del Cristo Isaia aveva detto: «Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce» (Is 42, 2).
Il linguaggio dell'amore non può essere urlato, ma solo sussurrato, affinché tocchi le corde del cuore, in attesa di una risposta libera. L'amore non si può imporre, ma soltanto offrire.
Credere e abbandonarsi a Dio comporta allora la necessità di confrontarsi con l'apparente suo silenzio, con quel suo tono dimesso che sembra non voler imporsi sul male. Già nel grido del Cristo sulla Croce, in quel «Perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46) sembra riecheggiare il grido di ogni uomo sulla faccia della terra. Anche quello dell'uomo di fede.  È l'interrogativo sui tanti silenzi di Dio dinanzi alle sofferenze, alle ingiustizie, alle inquietudini esistenziali, ai soprusi, alle violenze, alle cattiverie che albergano nel cuore dell'essere umano e si tramutano in parole e azioni omicide, ma anche la domanda sul perché Dio taccia dinanzi alle tante comprensioni errate di lui, del suo messaggio, della sua Chiesa. È il silenzio di Dio davanti alla morte, anche a quella del Figlio: nel suo sepolcro sembrano essere state definitivamente sepolte tutte le speranze, le aspettative di chi ha osato credere in questo Dio silenzioso che Gesù ha definito come il «Padre nostro» (Mt 6, 9). 

b) Anche il silenzio è preghiera, lode a Dio

Il Salmo 65, Inno di ringraziamento a Dio per la sua bontà, comincia così:
«Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion,
a te si sciolgono i voti».
Il silenzio mortale di Gesù, che ha sciolto il proprio voto, assolvendo in maniera totale alla propria missione, è una lode che sale a Dio Padre. È l'atto di obbedienza spinto fino al suo estremo: l'apparente annientamento di Gesù nella cessazione della vita, l'apparente sconfitta di Dio stesso, nella morte del Figlio. Ma proprio in questa accettazione di tale portata il compiacimento del Padre nel Figlio non potrebbe avere punto più elevato nella parabola umana del Cristo, il cui corpo giace nel sepolcro, sigillato da una pietra. Nella morte del Figlio la giustizia e la misericordia hanno raggiunto un vertice. Il peccato dell'uomo è sconfitto attraverso la morte del Figlio, in cui trova pieno compimento la giustizia divina.

c) Il silenzio è tempo di speranza, tempo di attesa

«È bene aspettare in silenzio 
la salvezza del Signore. 
È bene per l'uomo portare 
un giogo nella sua giovinezza. 
Sieda costui solitario e resti in silenzio, 
poiché egli glielo impone. 
Ponga nella polvere la bocca, 
forse c'è ancora speranza. 
Porga a chi lo percuote la sua guancia, 
si sazi di umiliazioni. 
Poiché il Signore 
non respinge per sempre. 
Ma, se affligge, avrà anche pietà 
secondo il suo grande amore». (Lam 3, 26-32) 

Il silenzio dell'anima del Cristo-Uomo è un silenzio paziente, di chi attende i tempi di Dio. Un Dio che per tre giorni sembra rimanere in silenzio

 Un messaggio per l'uomo: dal silenzio alla speranza 

Il Sabato Santo, nel silenzio della Liturgia che tace, ci offre spazi per il colloquio interiore con Dio, il silenzio umile di chi si rende vuoto di parole altisonanti o inutili, per tendere l'orecchio a ciò che Dio ha da dire. 
È un silenzio che va coltivato anche dopo la fine del Sabato Santo, come atteggiamento quotidiano e filiale, di chi impara a leggere il passaggio di Dio nella propria vita, passaggio che non necessariamente avviene tra suoni roboanti, ma, molto spesso, «nel sussurro di una brezza leggera» (cfr. 1Re, 19, 12). 
È un silenzio che deve orientarci come modalità del nostro essere cristiani, del nostro testimoniare la fede: non urlando, perché Dio non urla; non imponendo, perché Dio non obbliga nessuno; non con brutalità, ma con pazienza e perseveranza, con dolcezza, imparando l'umiltà dal Cristo: «È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: "sia fatto con dolcezza e rispetto" (1 Pt 3,16), e "se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti" (Rm 12,18). Siamo anche esortati a cercare di vincere "il male con il bene" (Rm 12,21), senza stancarci di "fare il bene» (Gal 6,9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando "gli altri superiori a se stesso" (Fil 2,3)» [2]. 
La pazienza di Gesù dinanzi ai silenzi di Dio possono spronarci a vivere nell'attesa fiduciosa della liberazione anche quando la nostra vita rimane intrappolata nelle ingiustizie, nella falsità, calunnia, incomprensioni e invidie altrui. In tutto ciò che uccide la nostra dignità, che rende quasi insopportabile il peso dell'esistenza, nelle difficoltà psicologiche o materiali che rendono quasi impossibile andare avanti. Il Sabato Santo è l'invito a ricordare che i tempi di Dio sono tempi di giustizia, in cui il giusto provato viene largamente ricompensato per i torti subiti, perché Dio è Verità, Giustizia e Misericordia. Dal Cristo che giace inerme nel sepolcro, e la cui anima attende negli inferi, siamo chiamati a imparare la virtù della pazienza. Infatti 
«È meglio la pazienza che la forza di un eroe, 
chi domina se stesso vale più di chi conquista una città» (Pro 16, 32) 
«Non sfuggirà il peccatore con la sua preda, 
 né la pazienza del giusto sarà delusa» (Sir 16,13). 
Sull'esempio di Cristo, anche noi possiamo assumere l'atteggiamento a cui san Paolo invita nella Lettera ai Romani: «ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». (Rm 5, 3-5)

NOTE

[1] Il Messale di ogni giorno, Città Nuova, Libreria Editrice Vaticana, Jaca Book, p. 448.
[2] Francesco, Evangelii Gaudium, n. 271.

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