LA VERITÀ CHE RENDE LIBERI
Meditazioni per la Settimana Santa
DIO È LIBERAZIONE
«Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre» (Is 42, 6-7).
Il Primo canto del servo del Signore descrive in questi termini l'azione salvifica del Messia. Un'azione che si presenta collettiva e individuale allo stesso tempo, in riferimento ai suoi destinatari.
È il popolo eletto, ma sono anche le nazioni, i destinatari dell'intervento di Dio nella storia; è una guarigione spirituale, ma anche una materiale – dunque una salvezza integrale – quella per la quale Gesù è inviato.
È un incontro personale, ma anche comunitario, quello che Dio vuole instaurare con l'uomo.
Già il mercoledì della V settimana di quaresima, quella che precede la Settimana Santa, ci ha introdotti nel tema della "libertà", quando nel Vangelo di Giovanni (Gv 8, 31-42) Gesù afferma che la verità ci farà liberi.
Liberi da che cosa?
a) dalla cecità che ci impedisce di credere
La prima libertà è quella dalla cecità spirituale, che impedisce di credere in Dio, e nel Dio uno e trino.
Entrando nel mondo, donandosi fino al sacrificio estremo, Gesù presenta visibilmente e concretamente l'immagine di un Dio che ama l'essere umano, e che fa passare questo amore attraverso canali umanamente comprensibili, come la predicazione, le guarigioni, i miracoli, la stessa crocifissione.
Nel Vangelo viene messo in evidenza lo stupore di molte persone che assistono ai miracoli di Gesù, e spesso questo sentimento diventa il primo motore per un cambiamento, per una liberazione dell'uomo.
Dopo il miracolo alla nozze di Cana, per esempio, Giovanni sottolinea che «i discepoli credettero in lui» (Gv 2,11), come anche altri lo fanno proprio per i grandi segni che egli compie (cfr. Gv 7,31); altri invece si fidano della sua parola, come accade per tanti che accorrono da lui dopo essere stati chiamati dalla Samaritana che lo aveva incontrato al pozzo (cfr. Gv 4,41).
b) libertà dal peccato
Si può credere che Gesù sia Figlio di Dio, lasciarsi toccare dai segni e anche dalle parole, ma non essere disposti a farsi liberare più profondamente da un'altra cecità, quella che, una volta approdati alla fede, impedisce di scoprire la Verità contenuta nella Parola, l'insegnamento per la vita che Gesù offre. È una cecità insidiosa, perché occulta agli uomini la verità su loro stessi, la loro realtà personale di peccatori.
Gesù, infatti, nel Vangelo sopra citato, si rivolge «a quei Giudei che gli avevano creduto» (v. 31), invitandoli a rimanere nella sua parola, per essere realmente suoi discepoli e conoscere la verità che li renderà liberi (vv. 31-32).
Quel capitolo sorprende per la piega che prendono gli eventi: Gesù sta parlando con persone che hanno creduto in lui, ma non appena affronta il tema della verità e del peccato viene nuovamente attaccato e rifiutato.
«Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (vv. 34-36). Gli interlocutori di Cristo rifiutano di abbandonare le proprie sicurezze religiose e soprattutto rifiutano di abbandonare la propria concezione di loro stessi. Non riescono a passare allo step di difficoltà maggiore: accettare che Gesù porti a compimento l'Antica Alleanza; accettare che Gesù riveli la presenza del peccato nell'uomo, ma dandogli anche una possibilità concreta di cambiamento.
Un messaggio per l'uomo: libertà da se stessi, un invito sempre attuale
Cristo si fa carico del peccato dell'uomo e delle sue conseguenze per liberare l'uomo e condurlo alla verità. È una scelta consapevole che lo conduce alla Croce.
Incontrare Gesù significa credere in questo Uomo-Dio che ha vissuto l'esperienza del sacrificio per amore, ma che proprio nella sconvolgente efferatezza della sua morte ci rivela la complessità della presenza del male nel cuore dell'uomo, ci rivela le ombre dell'esistenza umana capace di tanto male, ma offre allo stesso tempo una via reale di salvezza.
Accettare la verità su se stessi, riconoscersi peccatori, ma redenti in Cristo, ci mette nella condizione di poter cambiare vita, di convertirci.
«Il “convertitevi e credete al vangelo”» diceva Benedetto XVI – «non sta solo all’inizio della vita cristiana, ma ne accompagna tutti i passi, permane rinnovandosi e si diffonde ramificandosi in tutte le sue espressioni. Ogni giorno è momento favorevole e di grazia, perché ogni giorno ci sollecita a consegnarci a Gesù, ad avere fiducia in Lui, a rimanere in Lui, a condividerne lo stile di vita, a imparare da Lui l’amore vero, a seguirlo nel compimento quotidiano della volontà del Padre, l’unica grande legge di vita. Ogni giorno, anche quando non mancano le difficoltà e le fatiche, le stanchezze e le cadute, anche quando siamo tentati di abbandonare la strada della sequela di Cristo e di chiuderci in noi stessi, nel nostro egoismo, senza renderci conto della necessità che abbiamo di aprirci all’amore di Dio in Cristo, per vivere la stessa logica di giustizia e di amore. “Occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’amore di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare”» (Benedetto XVI, Udienza generale, 17 febbraio 2010).
E questa giustizia si è attuata proprio sulla Croce, dove il Figlio di Dio si è fatto vittima d'amore per i peccatori.
«Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre» (Is 42, 6-7).
Il Primo canto del servo del Signore descrive in questi termini l'azione salvifica del Messia. Un'azione che si presenta collettiva e individuale allo stesso tempo, in riferimento ai suoi destinatari.
È il popolo eletto, ma sono anche le nazioni, i destinatari dell'intervento di Dio nella storia; è una guarigione spirituale, ma anche una materiale – dunque una salvezza integrale – quella per la quale Gesù è inviato.
È un incontro personale, ma anche comunitario, quello che Dio vuole instaurare con l'uomo.
Già il mercoledì della V settimana di quaresima, quella che precede la Settimana Santa, ci ha introdotti nel tema della "libertà", quando nel Vangelo di Giovanni (Gv 8, 31-42) Gesù afferma che la verità ci farà liberi.
Liberi da che cosa?
a) dalla cecità che ci impedisce di credere
La prima libertà è quella dalla cecità spirituale, che impedisce di credere in Dio, e nel Dio uno e trino.
Entrando nel mondo, donandosi fino al sacrificio estremo, Gesù presenta visibilmente e concretamente l'immagine di un Dio che ama l'essere umano, e che fa passare questo amore attraverso canali umanamente comprensibili, come la predicazione, le guarigioni, i miracoli, la stessa crocifissione.
Nel Vangelo viene messo in evidenza lo stupore di molte persone che assistono ai miracoli di Gesù, e spesso questo sentimento diventa il primo motore per un cambiamento, per una liberazione dell'uomo.
Dopo il miracolo alla nozze di Cana, per esempio, Giovanni sottolinea che «i discepoli credettero in lui» (Gv 2,11), come anche altri lo fanno proprio per i grandi segni che egli compie (cfr. Gv 7,31); altri invece si fidano della sua parola, come accade per tanti che accorrono da lui dopo essere stati chiamati dalla Samaritana che lo aveva incontrato al pozzo (cfr. Gv 4,41).
b) libertà dal peccato
Si può credere che Gesù sia Figlio di Dio, lasciarsi toccare dai segni e anche dalle parole, ma non essere disposti a farsi liberare più profondamente da un'altra cecità, quella che, una volta approdati alla fede, impedisce di scoprire la Verità contenuta nella Parola, l'insegnamento per la vita che Gesù offre. È una cecità insidiosa, perché occulta agli uomini la verità su loro stessi, la loro realtà personale di peccatori.
Gesù, infatti, nel Vangelo sopra citato, si rivolge «a quei Giudei che gli avevano creduto» (v. 31), invitandoli a rimanere nella sua parola, per essere realmente suoi discepoli e conoscere la verità che li renderà liberi (vv. 31-32).
Quel capitolo sorprende per la piega che prendono gli eventi: Gesù sta parlando con persone che hanno creduto in lui, ma non appena affronta il tema della verità e del peccato viene nuovamente attaccato e rifiutato.
«Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (vv. 34-36). Gli interlocutori di Cristo rifiutano di abbandonare le proprie sicurezze religiose e soprattutto rifiutano di abbandonare la propria concezione di loro stessi. Non riescono a passare allo step di difficoltà maggiore: accettare che Gesù porti a compimento l'Antica Alleanza; accettare che Gesù riveli la presenza del peccato nell'uomo, ma dandogli anche una possibilità concreta di cambiamento.
Un messaggio per l'uomo: libertà da se stessi, un invito sempre attuale
Cristo si fa carico del peccato dell'uomo e delle sue conseguenze per liberare l'uomo e condurlo alla verità. È una scelta consapevole che lo conduce alla Croce.
Incontrare Gesù significa credere in questo Uomo-Dio che ha vissuto l'esperienza del sacrificio per amore, ma che proprio nella sconvolgente efferatezza della sua morte ci rivela la complessità della presenza del male nel cuore dell'uomo, ci rivela le ombre dell'esistenza umana capace di tanto male, ma offre allo stesso tempo una via reale di salvezza.
Accettare la verità su se stessi, riconoscersi peccatori, ma redenti in Cristo, ci mette nella condizione di poter cambiare vita, di convertirci.
«Il “convertitevi e credete al vangelo”» diceva Benedetto XVI – «non sta solo all’inizio della vita cristiana, ma ne accompagna tutti i passi, permane rinnovandosi e si diffonde ramificandosi in tutte le sue espressioni. Ogni giorno è momento favorevole e di grazia, perché ogni giorno ci sollecita a consegnarci a Gesù, ad avere fiducia in Lui, a rimanere in Lui, a condividerne lo stile di vita, a imparare da Lui l’amore vero, a seguirlo nel compimento quotidiano della volontà del Padre, l’unica grande legge di vita. Ogni giorno, anche quando non mancano le difficoltà e le fatiche, le stanchezze e le cadute, anche quando siamo tentati di abbandonare la strada della sequela di Cristo e di chiuderci in noi stessi, nel nostro egoismo, senza renderci conto della necessità che abbiamo di aprirci all’amore di Dio in Cristo, per vivere la stessa logica di giustizia e di amore. “Occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’amore di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare”» (Benedetto XVI, Udienza generale, 17 febbraio 2010).
E questa giustizia si è attuata proprio sulla Croce, dove il Figlio di Dio si è fatto vittima d'amore per i peccatori.
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