sabato 20 aprile 2013

IL PASTORE CON L'ODORE DELLE PECORE: da Papa Francesco e Benedetto XVI all'episodio di Maria di Betania







"Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale.

Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore.
Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. 



Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini".




Ripensando a queste parole, stamattina, mi veniva in mente un paragone: una donna che cucina e non "profuma" di cucina, sembrerà una brava cuoca o una di quelle "perfettine" tutto fare che compra un bel surgelato e lo sforna dopo averlo cotto al microonde per pochi minuti?
Credo che a tutti faccia piacere -quasi istintivamente- arrivare in un palazzo e, varcando la soglia del portone, essere avvolti da una buon "odore": quello del cibo -sapientemente scelto, preparato e cotto, che qualche brava massaia sta preparando, con amore e competenza, con passione e buona volontà.

La stessa cosa è del presbitero: a volte i laici si lamentano di come molti sacerdoti abbiano "rovesciato" il contenuto del Vaticano II, affidando proprio ad altri -non consacrati- troppi compiti (anche "pseudo-pastorali") e finendo con l'isolarsi da quello che è il vero fulcro del loro ministero (i Sacramenti...).
Altre volte, l'accusa che viene loro mossa è di essere "manager" che non si rimboccano le maniche per lavorare, ma si limitano a svolgere attività d'ufficio.
Come la cuoca non cuoca, che prepara un cibo precotto e scaldato: un cibo che non ha il sapore dell'alimento genuino, delle mani sapienti che hanno mescolato gli ingredienti giusti, dei tempi di cottura esatti e dei piccoli segreti che fanno la differenza tra un "prefabbricato" e una "gourmandise".


Quante volte, già Benedetto XVI, aveva invitato i sacerdoti a non essere soltanto "amministratori" e  -peggio ancora- "burocrati"?


Proviamo a ripassare quello che disse nell'incontro con il clero delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso (24 luglio 2007) e per farlo, credo sia opportuno riportare anche la domanda del presbitero che diede l'occasione per questa risposta a braccio dell'allora Papa Ratzinger:

D. –Santo Padre, esigenze pastorali e di ministero, oltre al diminuito numero di sacerdoti, sollecitano i nostri vescovi a rivedere la distribuzione del clero, spesso accumulando impegni e più parrocchie nella stessa persona. 
Ciò tocca la sensibilità di tante comunità di battezzati e la disponibilità di noi sacerdoti a vivere insieme – preti e laici – il ministero pastorale.
Come vivere questo cambiamento di organizzazione pastorale, privilegiando la spiritualità del buon Pastore? 

R. Il problema si pone in generale, che il parroco nonostante nuove situazioni e nuove forme di responsabilità non perda la vicinanza con la gente, l’essere realmente in persona il pastore di questo gregge affidatogli dal Signore. 

Le situazioni sono diverse: penso ai vescovi nelle loro diocesi con situazioni molto diverse; essi devono vedere bene come assicurare che il parroco rimanga pastore e non diventi un burocrate sacro.

In ogni caso mi sembra che una prima opportunità nella quale possiamo essere presenti alle persone affidateci sia proprio la vita sacramentale: nell’Eucaristia siamo insieme e possiamo e dobbiamo incontrarci; il Sacramento della penitenza e della riconciliazione è un incontro personalissimo; così come lo è il Battesimo che è un incontro personale e non solo il momento del conferimento del Sacramento.
Questi Sacramenti direi che hanno tutti un contesto: battezzare vuole dire prima catechizzare un po’ questa giovane famiglia, parlare con loro così che il Battesimo sia anche un incontro personale ed un’occasione per una catechesi molto concreta.
Così come la preparazione alla Prima Comunione, alla Cresima e al Matrimonio sono sempre occasioni dove realmente il parroco, il sacerdote, in persona incontra le persone; è il predicatore ed è l’amministratore dei Sacramenti in un senso che implica sempre la dimensione umana.
Il Sacramento non è mai soltanto un atto rituale, ma l’atto rituale e sacramentale è il condensamento di un contesto umano nel quale si muove il sacerdote, il parroco.

Mi sembra poi molto importante trovare dei sistemi giusti di delega.
Non è giusto che il parroco debba fare solo il coordinatore di organismi; egli deve piuttosto delegare in modi diversi e certamente nei Sinodi – e qui in diocesi avete avuto il Sinodo – si trova il modo per poter liberare sufficientemente il parroco, affinché da una parte conservi la responsabilità di questa totalità dell’unità pastorale affidatagli, ma non si riduca sostanzialmente e soprattutto il burocrate che coordina, ma uno che tiene in mano i fili essenziali, ma ha poi dei collaboratori.
Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia.
Direi quindi che - da una parte - questo coordinamento e questa responsabilità vitale di tutta la parrocchia e – dall’altra parte – la vita sacramentale e di annuncio come centro della vita parrocchiale potrebbero consentire anche oggi, in circostanze certamente più difficili, di essere il parroco che non conosce forse tutti per nome, come il Signore ci dice del Buon Pastore, ma conosce realmente le sue pecorelle ed è realmente il pastore che le chiama e che le guida.


Papa Bergoglio ha parlato di "pastore che ha l'odore delle pecore".
Un pastore che sappia attivare il nucleo centrale, profondo, del suo "cuore presbiterale", che sappia "ungere", o meglio, sfruttare l'unzione ricevuta il giorno dell'ordinazione.

A me piace collegare il pensiero del Santo Padre Francesco a quello del Papa emerito e farne un unicum, in quella bellissima continuità che la ricchezza del magistero ci offre attraverso la successione dei Sommi Pontefici.

Avere l'odore delle pecore, per il pastore è "stare" fra la sue pecore, non guardarle da lontano, da una sedia dietro una scrivania;
è "ascoltare" la gente con i suoi problemi e -come un buon medico- dare la giusta medicina dei vari Sacramenti:
è anche imparare a prendere su di sé le sofferenze della pecora malata, come ha fatto il Buon Pastore Gesù, che ha sofferto e Si è offerto per tutto il gregge;

è fasciare la ferita della pecora che non è morta, ma ha bisogno di guarire da qualche malattia di gravita non eccessiva, come fa con pazienza misericordiosa Gesù, che ci attende nel confessionale anche per i peccati veniali;
è rinunciare, nella Sacra Liturgia, a voler essere il protagonista, lo show-man di turno, per dare spazio a Lui, che è il Vero e Unico Protagonista, ed in questo atto sublime di culto, adorazione, impetrazione di grazie, pregare e offrire con e per il gregge...

In questo senso, quello che diceva nel 2007 Benedetto XVI, Papa Francesco oggi lo riassume nel concetto di "avere l'odore delle pecore" e "ungere".
L'unzione -con la quale il carattere sacerdotale viene impresso PER SEMPRE nel presbitero, è quello che rende possibile questo esercizio di potere divino al sacerdote: celebrare, consacrare, rimettere i peccati.
Ma con l'unzione avviene qualcosa di "superiore" da cui deriva tutto questo: il sacerdote, diventando "tutto di Gesù" viene invitato ad essere veramente un "rappresentante" di Gesù.

Allora il Sacerdote deve essere in tutto un Alter Christus.
Di più: il Cardinale Albino Luciani, Patriarca di Venezia, -poi Papa Giovanni Paolo I- scriveva: "Siamo sacramento di Cristo".

E così si legge nelle opere di San Josemaria Escrivà:

"La vocazione sacerdotale si presenta rivestita di una dignità e di una grandezza tali che null'altro sulla terra può superare.
Santa Caterina da Siena pone sulle labbra di Gesù queste parole:
«Io non volevo che la riverenzia verso di loro diminuisse...
perché ogni riverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtù del Sangue che io l'ho dato a ministrare.
Unde, se non fusse questo, tanta riverenzia avareste a loro quanta agli altri uomini del mondo, e non più... E così non debbono essere offesi, però che, offendendo loro, offendono me e non loro. E già l'ho vetato, e detto che i miei Cristi non voglio che sieno toccati per le loro mani» [SANTA CATERINA DA SIENA, Il Dialogo della divina Provvidenza, cap. 116; cfr Sal 104, 15].

Taluni si affannano a cercare quella che chiamano l'identità del sacerdote.
Quanto sono chiare le parole della santa di Siena!
Qual è l'identità del sacerdote?
Quella di Cristo.
Tutti noi cristiani possiamo e dobbiamo essere non soltanto alter Christus, ma anche ipse Christus: un altro Cristo; lo stesso Cristo!
Ma il sacerdote lo è in modo immediato, in forma sacramentale".

Gesù Sommo Sacerdote, Buon Pastore non ha esercitato il Suo ministero stando seduto in un ufficio da burocrate: si è fatto Uomo per venire in mezzo agli uomini;
si è caricato delle colpe (non del peccato!) per scontarle al posto loro;
si è messo in ricerca delle pecore perdute ed anche in ascolto...
si è fatto pedagogo e pedagogista...è "entrato" nella psicologia -a volte contorta- di quanti ha incontrato.

In questo senso non ha disprezzato lasciare i "profumi soavi" del Paradiso per venire in mezzo al "fetore" della Terra.
Il punto è che camminare tra i peccatori non significa assumere su di sè il "lezzo", il cattivo odore di quel peccato.
Significa invece rendersi capaci di "annusarlo", identificarlo e capire che lì c'è qualcuno che ha bisogno di essere sanato..."profumato".

Se un sacerdote perde la capacità "olfattiva" sarà come quei preti "tristi" di cui ha parlato Papa Francesco: un presbitero che non sa più comprendere il bisogno inespresso di Dio che si cela in tante anime, che non sa più andare incontro alla gente per trascinarla verso il Signore!

Avere l'odore delle pecore, in certi casi, può implicare anche una cosa ulteriore e bellissima, quel "farsi rubare l'unzione" di cui parlava Papa Francesco e che in Benedetto XVI abbiamo visto esprimersi nel concetto di "collaborazione" tra fedeli e sacerdoti.

"Odore", di per sè, è un termine neutro: può rimandare al "fetore" da cui la persona va purificata, ma anche al "profumo" che sarebbe bello prendere anche su di sè.

Ecco, pensiamo a quante pecore cariche di buon profumo spesso sono vicine ai sacerdoti e con questo profumo di virtù, di santità, di buona volontà, di carità, riescono ad arricchire una parrocchia o semplicemente a far "crescere" anche il sacerdote nel suo sacerdozio ordinato al servizio di quello comune dei battezzati!

Gli esempi alti di questo "assumere" il profumo buono della pecora non mancano: quanti santi, collaborando assieme, hanno saputo creare opere meravigliose nella Santa Chiesa?
San Francesco di Sales creò dal nulla l'Ordine della Visitazione assieme a Santa Giovanna di Chantal, nobile, vedova e madre di molti figli, nonché sua figlia spirituale.
I frutti di questa opera trovarono il culmine quando una delle suore visitandine, Santa Margherita Maria Alacoque, fu la destinataria delle "apparizioni" e rivelazioni del Sacro Cuore di Gesù.

E che dire di un esempio tutto "evangelico": il profumo di Maria Santissima, la donna più pura e virtuosa, la creatura più perfetta. Di questo "profumo" parla espressamente San Luigi Grignon de Monfort, descrivendolo come un soave odore che oggi la Vergine diffonde su quanti si consacrano a lei.
Ma, oserei dire: anche Gesù, standole accanto come Figlio, ha "assunto" su di Sè il profumo dolcissimo di Sua Madre!

C'è anche un episodio, tutto evangelico, che meglio descrive questo passaggio del pastore che -umilmente- accetta il buon profumo della pecora.
E' quello descritto sia in Mc 14,3-9 che in Gv 12,1-11. 
I due brani presentano delle differenze e preferisco soffermarmi sul più dettagliato dei due, il racconto giovanneo.

E' l'episodio in cui Maria di Betania unge i piedi di Gesù con il contenuto (ben trecento libbre!) di un vasetto...:nardo purissimo, un profumo costosissimo!



 
Hans Urs Von Balthasar scrive:   "Una sola cosa è necessaria.
Maria dà questa sola cosa, il tutto che possiede, se stessa; sotto la figura del nardo vi è anche tutto quello che lei ha, è qualcosa di prezioso, simboleggia tutto il possesso".


C'è di più: l'evangelista conclude dicendo che dopo che Maria ebbe asciugato con i propri capelli i piedi di Cristo,  "tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento".

Qui mi piace avvalermi di una considerazione "scientifica": nessun profumo è mai identico su persone diverse.

Cambia in base a tre fattori (ph cutaneo, traspirazione, tasso lipidico), per cui una stessa fragranza, su pelli diverse, sarà diverso. 

Unico.

Ecco, mi piace pensare questo, meditando sull'unzione di Betania: Maria cosparge Gesù con il profumo che rappresenta sè stessa, e quel profumo, che su di lei era "tipicamente suo", diventa un profumo nuovo una volta riversato sulla Sacra Umanità di Cristo, che "migliora", trasforma la fragranza.
Di più: Gesù non vuole che quel profumo "nuovo" rimanga solo di Lui.
Ecco la meraviglia di un vero Pastore, del Buon Pastore: il profumo nuovo ritorna alla donatrice.
Cristo le dice: Tu hai messo il tuo profumo di virtù, di donazione su di Me, io te lo restituisco arricchito. Fa' che porti ancora frutto, che si spanda su tutti quelli che incontrerai.


"Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce".
(Benedetto XVI - omelia 29 marzo 2010)

Allora, sì, è bello che il pastore, in questi termini voglia avere l'odore delle pecore, che voglia essere completamente modellato su Cristo Buon Pastore che ha saputo trasformare il fetore di alcune in profumo, e che ha arricchito la fragranza soave di altre, perché portassero "più frutto". (Gv 15,2)

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