mercoledì 20 febbraio 2013

IL PRIMATO DI DIO....



 "Mi sostiene e mi illumina
la certezza 
che la Chiesa
è di Cristo, 
il Quale non le farà
mai mancare 
la sua guida e la sua cura. 



Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. 

“Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla.

Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio.
Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei".

(Benedetto XVI- udienza generale 13-02-13)




Convertirsi, girarsi verso Dio, guardarLo, realizzare un sempre più totalizzante "faccia a Faccia" con Lui.
Un impegno che non è solo quaresimale.
Un bisogno che è di tutta la vita.

La rinuncia del Papa, e poi una serie di piccole circostanze del mio quotidiano, in questi giorni mi stanno spingendo a riflettere ancora di più sulle parole che ho scelto come proemio di questo di questa riflessione: "LA CHIESA E DI CRISTO".

Quando qualcuno che amiamo ci lascia -quale che sia il tipo di "lasciarsi", non necessariamente un lutto- si è soliti dire: "niente sarà più come prima".

Inutile negare che tante, forse troppe volte, questo accada anche nella Chiesa.
In quell' istituzione (che non è solo materiale, ma anche e soprattutto  SPIRITUALE), il cui Capo principale è veramente l'unico a non andar mai via.
Si succedono parroci, priori di conventi, finanche Pontefici: Cristo rimane a guidare la Sua Chiesa.

Ora, pensando a quello che potrebbe capitare nel "nuovo" Pontificato, pur nell'inevitabile sofferenza per un Papa che va via, credo che ogni buon cattolico dovrebbe dirsi: saremo fedeli al nuovo Vicario di Cristo, gli vorremo bene, pur mantenendo fermo in noi quello che abbiamo ricevuto da Benedetto XVI, rendendolo sempre più fruttuoso, come insegnamento che si trasforma continuamente, sempre di più, in vita di preghiera e di azione.

Inutile, a mio avviso, parare le mani avanti con il solito "Niente sarà più come prima".
Ogni tempo ha i suoi "adesso" che sono quelli che -nella storia- lo Spirito Santo suggerisce, permette, manda avanti.

Il compito di far restare vivo lo "stile", l'insegnamento, i risultati ottenuti con tanta tenacia da Benedetto XVI non è solo affare di curia.
A livello "alto", gerarchico, è indubbio che rimanga principalmente nella sfera di responsabilità di Cardinali e Vescovi e poi di presbiteri, ma la nostra dignità di fedeli laici, investiti di un sacerdozio regale e profetico nel Battesimo, ci impone di essere anche noi testimoni e pietre vive della realtà cristiana che vogliamo con tanta passione costruire.

E questo per guardare alle cose "in grande".

Poi mi viene in mente anche un esempio più spicciolo.
L'esempio di una parrocchia che subisca un "piccolo trauma spirituale organizzativo": un trasferimento di parroco.
Di un bravo parroco, di quelli che sappiano creare famiglia tra e con i fedeli, di quelli che badino al sodo dell'essere cristiani: l'amore di Dio, la Liturgia, le Adorazioni Eucaristiche, i Sacramenti -in primis quello della confessione-.

Trauma o terremoto?
A volte sembra che si verifichino dei cataclismi...e "morto un Papa" non se ne fa un altro.
Semplicemente si scappa a gambe levate.
Chiese più deserte, minore partecipazione, minore coinvolgimento.

Situazioni in cui è più pressante il quesito del Papa: diamo a DIO la PRIORITA'?

Umanamente, spiritualmente, anche psicologicamente, è sacrosanto riconoscere che non tutti (anche fra i consacrati, fra i sacerdoti) siano uguali.
Alcuni hanno dei carismi, altri ne hanno di differenti.
Qualcuno sa creare un ambiente parrocchiale più familiare, più aperto, in cui si percepisca il gusto dello stare insieme PER e CON il Signore, non solo nell'attivismo, ma anche nelle realtà più squisitamente spirituali, nella dimensione della preghiera.

Mi domando: riconosciuto questo dato di fatto, se abbiamo saputo accogliere con docilità quanto è stato seminato in noi, non dovremmo continuare ad essere buoni cristiani con una testimonianza coerente anche in questi casi di cambiamento?

Invece troppe volte questo non accade: si firmano petizioni per evitare trasferimenti di parroci, si cominciano a mettere i bastoni fra le ruote ai nuovi arrivati.
Nei casi più "semplici e scontati" si abbandona la Chiesa.

Il Papa oggi ci sta chiedendo di fare esattamente la cosa opposta: ci sta chiedendo di COLLABORARE!
Ci sta chiedendo di non prendere la via della fuga quando le cose sembrano andare diversamente dai nostri progetti.
La Chiesa rimane di CRISTO che è l'UNICO, il PRIMO con il quale dobbiamo agire.
In questa Chiesa di Cristo ciascuno deve spendere i propri talenti, lavorando assieme a quei pastori che ci vengono di volta in volta donati come guide.

"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti" .
(Gv 14,15)

Sono parole di Cristo, in quel capitolo giovanneo che è quasi il capitolo del "commiato" e di testamento ai Suoi discepoli.
Possono valere nei nostri confronti in relazione ad ogni distacco doloroso che viviamo, nelle nostre realtà personali ed ecclesiali.

Se amiamo qualcuno, se riconosciamo che quel qualcuno ci abbia aiutati a camminare verso una vita spirituale più profonda, l'unico modo di testimoniargli l'amore, la riconoscenza, è continuare a mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti, le lezioni di vita, gli esempi.

Il bene della Chiesa non è nel fare tabula rasa quando qualcuno che amiamo e stimiamo lascia il posto ad altri, nel naturale avvicendamento dei ministeri che sono SERVIZI alla Chiesa.

Il bene della Nostra Madre Chiesa è nell'essere SEMPRE lavoratori nella Vigna, ricordandoci, appunto, che il "vero" Padrone della Vigna è Cristo.

Il bene della Chiesa è nel continuare a convertirci, a girarci verso di Lui: a ricordare a noi stessi, che siamo cattolici, che vivere da cattolici è dare a Lui il primato.
Lavorare nella Chiesa non è lavorare solo quando le nostre preferenze "personali" vengono soddisfatte.
Papa Benedetto, in questo, ci dovrebbe essere di stimolo e modello: ha perseverato con coraggio, pur trovandosi tante volte da solo, come "voce di uno che grida nel deserto"(Gv 1,23).

La speranza forte, in questo momento, è che ciascuno di noi la smetta di voler essere "voce fuori dal coro", perché la Comunità Ecclesiale è "corale", ma spetta anche a noi renderla tale, a partire dalle nostre piccole realtà, a partire dalle nostre famiglie, piccola Chiese domestiche secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II.
Saremo nel coro solo lavorando nella Chiesa, cercando di collaborare con gli altri, anche quando pure per noi arriverà il momento di "gridare nel deserto" del relativismo, dell'incomprensione, del progressismo, dell'immoralità, della dissacrazione dell'etica.

Il Papa, con la sua preghiera, ci aiuti a superare la tentazione di lottare isolati per la Chiesa, e ci spinga sempre a ricordare che la Chiesa è COMUNITA'.

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