martedì 24 aprile 2012

LA MORTE...PERSONALIZZATA






Il recente episodio di cronaca degli embrioni "perduti" al San Filippo Neri, mi spiace dirlo...si è rivelato in un certo senso una bolla di sapone: sì, è stata una "tragedia" a partire dalla quale  avremmo dovuto rilanciare il dibattito (etico, morale, CRISTIANO) sulla tutela della vita e sul concetto stesso di vita.
Invece, tante sono state le parole sul come sia stato possibile, tante quelle sui "risarcimenti", sulla perdita economica...non so quanti invece si siano detti gli uni gli altri: quegli embrioni erano...vite umane!

Episodi simili danno -paradossalmente è anche brutto dirlo- il senso della nostra "anestetizzazione" davanti a certe vicende, il nostro non "ricordare" che, prima di valutare una situazione sul piano economico, tecnico, scientifico, dovremmo considerarne l'aspetto umano.
Solo dalla prospettiva dell' "Amerai il prossimo tuo come te stesso" è possibile considerare nella giusta misura la vita e la morte quali eventi non solo "meccanici", biologici, ma ben al di là di questi aspetti; solo da questo punto di vista è possibile valutare l'indisponibilità del "diritto alla vita" anche quando quella vita è totalmente...indifesa, come nel caso di un embrione.

Da dove nasce il problema, perché non ci si "scandalizza"(nel senso di "indignarsi", "gridare allo scandalo") come si dovrebbe, davanti a vicende simili?
Come può cadere nel dimenticatoio un fatto tanto grave, come può non renderci "inquieti", quasi parafrasando la Bibbia e chiedendosi: se fanno questo al legno verde...che faranno a noi?
Non interessarsi della sorte del "debolissimo" (l'embrione, in questo caso), apre la strada ad uno scenario terribile: l'altro non è più altro, non è più colui in cui posso vedere o non vedere rispettati anche i miei diritti...l'altro non è più, per me, "immagine e somiglianza di Dio", del TOTALMENTE ALTRO.
 L'altro è solo e semplicemente un "individuo", uno fra tanti, uno che non ha una sua "identità" che lo renda persona.
Perdendo di vista il trinomio individuo-persona-Altro, è facile smarrire l'orientamento all'interno di questioni così delicate...e vitali.
Se non riconosciamo più un diritto alla vita che preceda la capacità di "parlare, respirare, muoversi", è facile vedere nell'embrione solo un ammasso cellulare... è facile sentenziare che l'embrione non soffra, non viva...non muoia...

E' in realtà il discorso che si può estendere a molte situazioni: il malato terminale, l'anziano, il bambino piccolissimo... la morte è un fatto solo biologico, si smette di soffrire....e così facendo, e così pensando, l'uomo dispone dell'altro uomo.... la democrazia si trasforma in tirannia....

Mons. Scola, nel volume "Il valore dell'uomo", scrive:
"La morte è incatturabile, non è un evento puramente biologico; in questo senso non è sulla stessa linea di qualunque morbo, di qualunque forma di malattia.
Come la vita mette in campo altro rispetto al puro bios, così accade per la morte.
Nella morte ricompare imponente l'altro.
L'Altro che troviamo all'origine della vita come al suo termine, nella morte, è l'Altro con la A maiuscola: colui che è alla radice di ogni vita e che accoglie ogni mortale.

Quindi qualunque cosa possa decidere questa società, non potrà sottrarmi l'esperienza irriducibile della morte come incontro con l'Altro, talmente irriducibile che non è a mia disposizione prima dell'atto del morire.
Credo che quando si parla di morte non abbia torto su questo punto quell'inquietante romanziere che è Michel Houllebecq, quando dice che la morte è come un rumore di fondo che accompagna ogni istante della nostra vita.
Non tutti gli uomini certo lo sentono con tanta chiarezza; ma io credo che chiunque, qualunque cosa teorizzi, sia che si accomodi nella finitudine, sia che si procuri la morte con il suicidio pensando di poterla dominare, sia che la viva nell'abbandono della fede, o che se la sente annunciare come imminente per una gravissima malattia che forse non pensava di avere- se lo porti dentro, questo rumore di fondo.

E questo rumore di fondo dice due cose: da una parte dice libertà come compito; dall'altra mendica qualcuno, una presenza che mi accolga".

Ecco: la morte è come un rumore di fondo.
Vivo, ma so che dovrò morire.
Ogni giorno la mia vita mi ricorda anche la mia morte.
L'altro vive, ma so che prima o poi mi lascerà.
Ogni giorno la sua vita mi ricorda...la sua morte...

Se nego la presenza dell'Altro che mi accoglie ora, in questo istante e che mi accoglierà anche quando l'esistenza come attualmente la conosco finirà, allora posso anche impiegare la mia libertà nei confronti della vita nella maniera esatta.
Il mio compito sarà quello di TUTELARE la vita: si tratti della mia, di quella di chi mi sta vicino, di tutti gli esseri  umani.

Mons. Scola prosegue così il discorso: "Credo che ricordarci la nostra condizione mortale sia benefico, come lo è accettare l'elemento del dolore, della sofferenza e del sacrificio.
Come l'uomo deve essere trattato come persona e non come semplice individuo, così la morte vada personalizzata".

Una morte "spersonalizzata" è una morte in cui nessuno considera le proprie "responsabilità" sulla morte altrui: non la si vede quando si uccide un malato terminale, non la si tiene in conto quando si abortisce un bambino, non la si personalizza quando si distrugge un embrione.


Invece c'è un coinvolgimento "personale" di ciascuno di noi che personalizza ogni morte: con il mio silenzio o con la mia presa di posizione posso "ripersonalizzare" la morte, farla uscire da quel suo essere diventato il meccanismo di spegnimento di un "individuo" (e non di una persona).
C'è un coinvolgimento personale quando vedo l'altro non come il nemico, l'ostacolo, il divieto alla mia esistenza, ma come un completamente, un opposto, un contatto.
Allora l'altro non è più individuo, ma persona e come tale entra in relazione con me.

Solo così la morte e la vita diventano, ritornano "personalizzate" e "personalizzanti".

Come è "personalizzata" e "personalizzante" la morte di Gesù Crocifisso: l'Altro che è PERSONA umana e divina, l'Altro che è venuto nel mondo per me, per entrare in contatto con me, per darmi accesso al "Suo Regno" , l'Altro che non mi pone l'ostacolo, il divieto, ma la ricchezza della vera libertà, l'unica capace di farmi comprendere come si vive....e come si muore.


Da che parte vogliamo stare?
Da quella dei crocifissori che hanno tentato di "spersonalizzare" il Cristo...o dalla parte di Dio, che mi riabilita nella mia dignità personale proprio dall'altro della Croce su cui muore?

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