mercoledì 3 marzo 2010

RIFLESSIONI SULLA BELLEZZA. Da Sant'Agostino a San Giovanni della Croce...fino a Benedetto XVI -terza parte-

 (Guido Reni, La strage degli innocenti)

Qui potete leggere la seconda parte
  
Rivolgendosi al clero romano -in occasione della lectio del 2007- il Santo Padre rammentò ai sacerdoti (non solo a quelli della Capitale ed in ogni caso il discorso è valido per chiunque!) che “l'Italia è particolarmente ricca di arte, e l'arte è un tesoro di catechesi inesauribile, incredibile. Per noi è anche un dovere conoscerla e capirla bene. Non come fanno qualche volta gli storici dell'arte, che la interpretano solo formalmente, secondo la tecnica artistica. Dobbiamo piuttosto entrare nel contenuto che ha ispirato questa grande arte” per farlo rivivere. 
In un certo senso - si potrebbe dire- il Papa invogliava ad un “ritorno alle origini”, a quei tempi in cui l'arte (soprattutto la pittura), asserviva ad un duplice scopo: abbellire un edificio (che fosse Chiesa o palazzo!), dimostrando così anche la “potenza” di chi commissionava l'opera stessa, ma contemporaneamente “illustrare” concretamente un concetto, una storia biblica, mitologica, un evento storico. L'arte era una maniera intuitiva per far comprendere qualcosa anche alla popolazione analfabeta, poco colta, al semplice pellegrino che poteva così -realmente- trovare un libro aperto nel quale leggere senza difficoltà. 
Questo non significava “svilire” la produzione artistica, che in ogni caso rimaneva ricca anche di spunti più raffinati e meno intuitivi, specialmente nel ricorso ad elementi simbolici, di difficile accesso alla gente comune, ma facilmente riconoscibili dai più colti. 
Per dirla semplicemente: l'opera d'arte aveva un doppio livello di lettura, che non escludeva nessuno. Si rivolgeva al semplice contadino, capace di cogliere solo il linguaggio immediato della tela -rappresentato dalla scena illustrata come un'istantanea o una successione di più elementi, come nei grandi affreschi di Giotto ad Assisi- e contemporaneamente, anche al raffinato e colto pubblico dell'aristocrazia e del clero, che vi poteva invece scorgere un ulteriore livello linguistico, fatto di allusioni simboliche, nascoste invece ai più. Davanti a queste opere, si veniva a creare una sorta di “livellamento” sociale. Ognuno poteva “leggere” ed imparare dall'arte, proprio perché essa si rendeva “malleabile”, comprensibile per menti e formazioni culturali diverse.
Non solo: l'arte doveva necessariamente rispettare certi canoni e trovare una modalità espressiva consona all'ambiente che l'avrebbe ospitata. Tele rifiutate o spostate dalle loro originali collocazioni, la dicono lunga su questa apparente rigidità, in cui o l'opera rispettava un contesto anche “architettonico e di valori”, o non vi poteva trovar posto. In un certo qual modo, era anche un processo innescato dalla solita lentezza nell'accogliere la novità, cosa che non è stata semplicemente limitata all'arte sacra, ma in generale a tutta la produzione artistica. Pensiamo all'impressionismo: inizialmente fu rifiutato nel Grande Salone delle Esposizioni parigine, perché incompreso nel suo essere espressione di una pittura immediata e molto luminosa, senza apparente verità. Era invece una nuova pittura che non stravolgeva il senso del bello, ma lo restituiva alla tela nel modo in cui l'occhio lo percepisce: per impressioni emotive e di luce. 
Il tempo, ha dato ragione a questo genere di arte, proprio perché in essa il bello era stato conservato, anche se espresso attraverso “parole” nuove, ma pur sempre nella lingua universale della bellezza “materiale” che colpisce, attira ed eleva l'animo a quella divina.
Oggi, invece, nell'arte contemporanea spesso non ritroviamo né l'uno né l'altro grado di linguaggio. Siamo semplicemente davanti a linee, punti, volumi collocati nello spazio senza una connessione con il contesto nel quale si calano. A volte manca sia la “lingua dei poveri”, immediatamente riconoscibile da tutti (sfido io, a capire cosa siano certe graffi sulla tela! Un paesaggio? Esseri umani?), sia quello più colto, destinato alle classi “intellettuali” (ci risiamo: che cosa mai saranno linee, puntini, saracinesche appese ai muri dei musei????). Chi vuole trovare il solito concetto simbolico dietro tutta questa non-arte, forza realmente la mano. Il bello non esiste dietro il brutto oggettivo. Il bello non si trova dietro il “composto casualmente” (tipo le cassette da frutta impilate le une sulle altre, che troneggiano in alcune sale espositive!)
Il bello esiste dove vi sia riproduzione del vero, che si concretizzi con un linguaggio altrettanto reale. Se provassi a parlare in cinese ad un italiano, non mi comprenderebbe. L'arte ha il vantaggio di poter sfruttare un linguaggio universale -quello della realtà bella, dell'armonia delle forme e dei colori, del sapiente uso di luci ed ombre- e invece finisce con il farsi incomprensibile per tutti, tranne che per chi voglia ostinatamente vedervi il famoso “concetto che c'è dietro” (in verità inesistente!)
Il perché -almeno relativamente all'arte sacra- di questo impoverimento, lo si coglie benissimo nella disamina sincera e quasi cruda (perché non addolcita da scusanti, che non ci sono!) del Santo Padre. Rivolgendosi sempre al clero romano, nel 2007, tracciò un bilancio della situazione artistica del nostro tempo, affermando che: “il Vangelo variamente vissuto è ancora oggi una forza ispiratrice che ci dà e ci darà arte. Ci sono anche oggi soprattutto sculture bellissime, che dimostrano che la fecondità della fede e del Vangelo non si è spenta, ci sono anche oggi composizioni musicali... Mi sembra che si possa sottolineare una situazione, diciamo contraddittoria dell'arte, una situazione anche un po' disperata dell'arte. Anche oggi la fede ispira, perché la fede e la Parola di Dio sono inesauribili. E questo dà coraggio a noi tutti”.
Il Papa ci dice chiaramente che, laddove ci siano fede e lettura veritiera (non astratta e relativistica!) del Vangelo, la vera bellezza si manifesta anche nell'arte. Ma questo presuppone principalmente -nell'artista- un tuffarsi in quell'Artista più eccelso di lui, che è Dio. 
Necessita un guardare a Lui come fonte di ispirazione vera, per trovare poi il modo di ricreare sulla tela, in musica, nel marmo, quella scintilla divina di creazione che il Signore continua a vivificare anche nel presente storico. Se invece l'artista pone esclusivamente se stesso in primo piano, la sua sarà semplicemente un'ispirazione umana. E l'uomo, senza Dio, è povero, vuoto, incapace di trasmettere senso e significato. Ecco da dove arriva l'impoverimento dell'arte, da dove si origina la contraddizione di cui parla Benedetto XVI.
Se è vero che all'egocentrismo dell'artista solo lui possa porvi rimedio (facendosi più “umile” nel guardare a Dio come fonte dell'arte), altrettanto vero è che noi, da semplici spettatori e destinatari dell'arte -sacra e non solo- abbiamo in mano un grande potere decisionale. Non possiamo di certo rimuovere da Chiese e musei tutto quello che non faccia trasparire bellezza, ma possiamo scegliere cosa guardare, cosa utilizzare come strumento per fare dell'arte anche un mezzo per raggiungere la contemplazione della bellezza divina.
Possiamo andare alla ricerca di una produzione artistica sinceramente ispirata dalla fede e ribellarci ad un sistema che invece ci propina solo ed esclusivamente oggetti brutti e spesso costosi. Insomma, la questione della bellezza nell'arte e nella fede, può diventare anche una questione “socio-economica”, in un mondo dove si mercifica tutto e -non di rado- un nome, un marchio, un' “idea” diventano il vero trampolino di lancio per prezzi da capogiro di oggetti anche di uso quotidiano. E per giunta orribili per forme e colori.
Nemmeno questo è quello che ci chiede il nostro essere cristiani. L'uomo di fede ha bisogno di bellezza che lo aiuti ad arrivare a Dio, ma anche bisogno di una vita meno “mondanizzata” e consumistica nella ricerca del "bene” lussuoso perché costoso o di marca "famosa". 
Il vero marchio del bello è dato dal connubio tra fede e talento umano, pur sempre -quest'ultimo- dono del Signore.

Tardi t’amai, bellezza così antica, così nuova, tardi t’amai! Ed ecco, tu eri dentro di me ed io fuori di me ti cercavo e mi gettavo deforme sulle belle forme della tua creazione… Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai brillato e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai sparso la tua fragranza ed io respirai, ed ora anelo verso di te; ti ho gustata ed ora ho fame e sete, mi hai toccato, ed io arsi nel desiderio della tua pace”.
Che queste parole di Sant'Agostino, possano veramente essere un faro per quanti si mettono al servizio dell'arte, specialmente di quella sacra, donandoci opere che siano un riflesso -seppure pallido- della bellezza infinita del nostro Dio. E che siano un faro anche per noi, per orientarci nella ricerca di quella bellezza che può condurci al Creatore fonte di ogni bene.

3 commenti:

  1. Tardi t'amai (ma anche tanto t'amai!!!) Ed è ciò che più conta!!
    Vero è che ciò che oggi si fa passare per arte, è solo la caduta in basso dell'uomo, e quindi l'allontanamento dal Creatore (più in basso vai, più ti allontani da Colui che sta in Alto!!!
    Sono felice che tu abbia difeso la vera bellezza artistica, e finalmente svelato al mondo, l'infamia di certi orrori che spacciano per capolavori artistici (Ma prima o poi la smetteranno di prenderci per il naso, vero?) O siamo diventati tutti così pecoroni, da seguire una corrente che porta allo Stige, invece che al fiume dove scorre latte e miele!!!
    Brava!

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  2. Carissima,
    c'è chi difende questa causa con maggiore compentenza di me, io ho solo lanciato un sassolino nello stagno, non sono in grado di svelare niente che altri non abbiano già detto già:) Quanto all'essere pecoroni, a volte si, mi sa che lo siamo...e anche nell'arte "spicciola". Ci lasciamo prendere dal "lo comprano tutti!" o "l'ha fatto tizio" e via di corsa al consumismo! E non ci rendiamo conto che poi, la sedia all'ultimo grido è scomoda (perchè nemmeno pare una sedia!), il quadro d'autore è incomprensibile...e ci circondiamo di cose brutte che non ci rammentano più la bellezza di Dio!
    Un abbraccio:)

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  3. Ah si!! Le sedie devono essere comode, e per esserlo è necessario che siano costruite nel più classico dei modi! E le opere d'arte moderna.....credo che un bambino sappia far di meglio! Per dipingere un'opera sacra, con tutti quei personaggi, così perfetti nelle proporzioni, con quei drappeggi di tessuto che par di toccarli, tanto sono realistici, ci vuole tempo, abilità, e un acuto spirito di osservazione. Oggi un quadro si dipinge in quattro e quattr'otto, col risultato che si può ben vedere. Combatto questo decadimento artistico, che rispecchia quello morale!
    Che prendano in giro gli allocchi!

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