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Se tanto alta è la “dignità” che ci conferisce il corretto equilibrio tra libertà e obbedienza, allora occorre ricercare la causa dell'insofferenza umana alla “sottomissione” proprio nell'errato modo di concepirla, che spesso l'uomo “fabbrica”. Papa Benedetto XVI, infatti, scrive: “l'uomo che intende la libertà come puro arbitrio di fare quello che si vuole e andare dove si vuole vive nella menzogna, perché, secondo la sua stessa natura, egli è parte di una reciprocità, la sua libertà è una libertà da dividere con gli altri; la sua stessa natura porta in sé disciplina e norma; identificarsi intimamente con queste, ecco la libertà”.
Le false libertà di oggi sono purtroppo molte: la sete smodata di potere, la lussuria senza freno, la prematura “indipendenza” giovanile, la deviata “autonomia” nel matrimonio, l'autocrazia (non solo politica), la smania di controllare ogni cosa con la scienza, arrivando anche a “ricreare” l'uomo. Ciascuna di queste schiavitù conduce l'essere umano al rinnegamento di quei limiti entro i quali si deve invece sviluppare l'autonomia, riconoscendo di non essere soli nel mondo, ma di dover rispettare anche le libertà altrui, creando un equilibrio in cui si contemperino ordine e creatività, individualismo e collettività. Portare all'eccesso i propri desideri non è vera libertà, è irrazionalità. Il libertinaggio (intellettuale, legale e via dicendo) rende l'uomo meno umano e più “bestia”, perché impedisce il contemperamento tra i due estremi della persona: il desiderio di indipendenza totale e la necessità di autocontrollo.
Per i cattolici, il discorso dell'obbedienza si fa più ampio, non meramente discorso socio-culturale o politico, ma anche e soprattutto discorso di fede che consente poi di animare le realtà terrene. Obbedire significa riconoscerci esistenti solo nell'ambito di un rapporto di figliolanza con il Padre e dunque, come dice anche il Santo Padre, “comporta l'abbandono dell'autonomia che si chiude in se stessa; include ciò che Gesù intende con la parola del diventare bambini”. In una parola: obbedire ci fa realmente comprendere di non essere isole deserte, ma di avere sempre al nostro fianco altre persone, da cui imparare, a cui dovere rispetto...anche a cui insegnare qualcosa. L'esempio che ci viene da Nostro Signore è proprio questo: obbediente fino alla morte di Croce, ma anche “totalmente sottomesso al Padre in quanto Figlio”, sottomissione carica di frutti perché fa vivere “proprio per questo totalmente nell'uguaglianza con il Padre”.
La libertà ci rende ugualmente liberi, concede il giusto spazio a tutti, conduce ad un sistema di interscambio non interessato, non auto-celebrativo, non egoistico. Consente a ciascuno di dare del proprio all'altro e contestualmente, rende capaci di accogliere il dono che se ne riceve. Ci rende disponibili all'ascolto vero, l'unico che porti ad un ridimensionamento dell'io -nel dono reciproco di sé stessi- e ad un incremento di Dio in noi.
Santa Teresa d'Avila così scrive nel “Castello interiore” : dall'obbedienza “dipende il progresso nella virtù e l'acquisto graduale dell'umiltà; nell'obbedienza sta la sicurezza contro il timore di smarrire la strada del cielo, timore che è bene sia sentito da noi mortali finché dura questa vita; nell'obbedienza sta la pace così apprezzata dalle anime che desiderano piacere a Dio. Se infatti con tutta sincerità esse si sottopongono a questa santa obbedienza e vi assoggettano l'intelletto,il demonio cessa di assalirle procurando continue cause di agitazione. Parimenti cessano i nostri inquieti movimenti volti sempre a farci agire in base alla nostra volontà e ad asservire la ragione a ciò che è di nostra personale soddisfazione, perché ci ricordiamo di aver decisamente sottomesso il nostro volere a quello di Dio, assoggettandoci a chi ne fa le veci”. L'Imitazione di Cristo sposa questo stesso concetto: “molti vivono nell'ubbidienza più per necessità che per amore; sono insofferenti e facilmente mormorano. Essi, però, non guadagneranno la libertà dello spirito, se non si sottometteranno con tutto il cuore per amore di Dio”.
Bisogna tuttavia fare una precisazione: l'obbedienza intesa in questi termini non va confusa con una semplicistica e poco ragionata “sottomissione” a persone, istituzioni, situazioni ingiuste ed immorali. Una concezione errata dell'obbedienza conduce appunto all'estremismo della disobbedienza che sfocia nella falsa libertà.
La vera libertà che precede e anima l'obbedienza “rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari”, afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica. Dunque, se è vero che -come recita sempre il CCC- “siamo tenuti ad onorare e rispettare tutti coloro che Dio, per il nostro bene, ha rivestito della sua autorità” (come i genitori o le autorità civili) è altrettanto vero che, da una parte, anche queste stesse persone che hanno autorità su di noi non siano soltanto titolari di “diritti”, ma anche di doveri nei nostri confronti e che sia lecito non prestare obbedienza nel caso in cui vengano imposte decisioni irragionevoli o immorali.
Ad es. nell'ambito familiare “il rispetto filiale si manifesta anche attraverso la vera docilità e l'obbedienza”, ragion per cui “per tutto il tempo in cui vive nella casa dei suoi genitori, il figlio deve obbedire ad ogni loro richiesta motivata dal suo proprio bene o da quello della famiglia” e “agli ordini ragionevoli dei loro educatori e di tutti coloro ai quali i genitori li hanno affidati”. Tuttavia “se in coscienza sono persuasi che è moralmente riprovevole obbedire a un dato ordine, non vi obbediscano”.
I genitori hanno inoltre il dovere di educare i propri figli, e “rispettarli come persone umane […] provvedere ai loro bisogni materiali e spirituali” lasciarli liberi di “scegliere la propria professione e il proprio stato di vita”.
Parimenti, anche nel rapporto tra individuo e istituzioni, sussiste la stessa relazione tra diritti-doveri ed è necessario il ricorso ad un obbedienza non meramente servile, ma contemperata con la libertà personale e collettiva. Infatti “l'esercizio dell'autorità mira a rendere evidente una giusta gerarchia dei valori al fine di facilitare l'esercizio della libertà e della responsabilità di tutti” e “i poteri politici sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali della persona umana”, dunque “coloro che sono sottomessi all'autorità considereranno i loro superiori come rappresentati di Dio, che li ha costituti ministri dei suoi doni”, ma , proprio per questo, “la leale collaborazione dei cittadini comporta il diritto, talvolta il dovere, di fare le giuste rimostranze su ciò che a loro sembra nuocere alla dignità delle persone e al bene della comunità”. Inoltre, “il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto dell'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica”.
Obbedire quindi non vuol dire né buttare alle ortiche la propria intelligenza (al contrario! Implica il riconoscere quelle limitazioni necessarie al bene comune, oltre che al proprio!) né il proprio Credo (che comporta il rispetto della persona umana, del Vangelo -per noi cristiani-, della morale e dell'etica) . Soltanto comprendendo questo è possibile obbedire realmente, senza sentirsi né “manichini” né “animati dal desiderio di evasione”.
Ritornando al consiglio che viene dispensato dalla mistica carmelitana e riapplicandolo in un contesto prettamente spirituale, è ovvio poi che esso trovi le sue radici in quello che viene direttamente dal Figlio di Dio: “Padre Nostro....sia fatta la Tua volontà, come in Cielo così in terra”.
Papa Benedetto XVI, spiegando la lettera di San Paolo ai Galati, così si esprime: la libertà “ è libertà per il bene, libertà che si lascia guidare dallo Spirito di Dio e proprio questo lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio è il modo per arrivare a essere liberi”.
La “nuova obbedienza” che Gesù ha portato nella storia dell'uomo è quella che ci consente di entrare “nella famiglia di coloro che a Dio dicono Padre e possono dirlo nel noi di coloro che con Gesù e mediante l'ascolto a Lui prestato sono uniti alla volontà del Padre e così stanno nel nuvleo di quell'obbedienza a cui la Torah mira”.
Proviamo a ripartire dalle semplici -ma ricchissime- parole della preghiera che Gesù ci ha insegnato. Sono parole che ripetiamo quotidianamente, magari senza grande fervore, presi dall'abitudinarietà. Facciamo più attenzione al significato di quello che chiediamo a Dio Padre, nel momento in cui consegniamo a Lui la nostra volontà, per fare soltanto la Sua. Guardiamo al modello concreto del Figlio di Dio, non solo nelle grandi prove della vita, ma anche in quelle apparentemente più “piccole”. Teniamo bene in mente quello che ci dice Luca, nel suo Vangelo, sull'atteggiamento di Gesù successivo alla sua apparente “disobbedienza” ai genitori (l'episodio narrato in Lc 2, 41-52): “Partì dunque con loro e stava loro sottomesso […] e cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Troveremo la forza spirituale e psicologica necessaria per “prestare ascolto” alla voce di Dio, che ci parla anche attraverso gli uomini e per crescere spiritualmente -attraverso la pratica dell'obbedienza- come fece Nostro Signore, rendendoci così veramente degni del nostro chiamarci “figli di Dio”.
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