sabato 26 aprile 2014

"SOGNO, PRESENZA, SPERANZA"! - riflessioni a margine della festa ispettoriale del sud, alla presenza del Rettor Maggiore, don Angel Fernandez Artime


Ieri si è svolta l'annuale festa ispettoriale dei salesiani, arricchita dalla presenza del neo-eletto Rettor Maggiore, don Angel Fernandez Artime.
La Santa Messa, da lui presieduta, ho potuto gustarla da una prospettiva "insolita": l'ala soppalcata della Chiesa di San Francesco di Paola (che da poco è stata affidata ai salesiani già presenti a Corigliano Calabro, luogo dove si è svolta la festa ispettoriale).
Se questo ha comportato di certo il notevole vantaggio di una visione panoramica di tutto rispetto (anche perché si era ovviamente in piedi), d'altro canto non ha aiutato il mio registratore vocale che non è poi così potente....
Tuttavia, il succo di quello che mi interessava comunicare qui c'è, chiaro e forte!

Vorrei riagganciare gli estratti dall'omelia di don Angel ad alcune riflessioni personali e ad un brevissimo pensiero scritto dal Cardinale Van Thuan, testo che leggevo proprio durante gli ultimi minuti in autobus, prima dell'arrivo a Corigliano, e che calza a pennello a quanto anche il X° successore di don Bosco ci ha lasciato come messaggio, proprio ieri!
  
Tre le parole del Rettor Maggiore su cui voglio centrare i miei pensieri.
Due sono già contenute nell'estratto che condivido con voi: sogno e Presenza.
La terza, da lui pure pronunciata, ma che qui non riporto, è "speranza".




"La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede".

(Eb 11,1)




Dall'omelia del Rettor Maggiore don Angel Fernandez Artime:

"Chi è stato ad accorgersi che era il Signore?
Il discepolo Suo amato, cioè il discepolo amico, quello che Lo ha visto con gli occhi del cuore.
Contemplare con gli occhi del cuore la presenza del Signore nella nostra vita, nelle nostre case.
Ecco quindi il cammino.
Il nostro capitolo generale ci invita ancora una volta a dare il primato a Dio nella nostra vita, cioè a dare il primato agli occhi del cuore, che nell'esperienza profonda di letizia cristiana sono capaci di accorgersi della Sua presenza.
E' dare il primato ad un rapporto credente e affettivo con Dio".
Dalla Luce della Pasqua "siamo invitati a portare la Luce a tutti, credenti e non credenti, praticanti e non praticanti, soprattutto ai giovani più svantaggiati.
Carissimi, siamo figli di un sognatore, che è come dire, uno che vedeva per primo, che era capace di sentire la presenza del Signore nel cuore, nella notte. 
Da quella Pasqua del 1846 " (quando don Bosco celebrò la Pasqua nella Cappella Pinardi, la cui tela dell'Altare Maggiore raffigura proprio la Risurrezione di Cristo) "il Risorto è stato sempre la Luce che vince ogni tenebra.
Una piccola cappella, sotto una tettoia, basta questo quando nel cuore del credente batte il calore di una letizia di Pasqua.

Basta che almeno  uno di noi sia capace di accorgersi della presenza del Signore per evitare la disperazione, a mettersi al Suo servizio, che è il servizio agli uomini e soprattutto il servizio ai giovani, per noi della famiglia salesiana.
Una volta che tutti entriamo in questa atmosfera, in questo ambiente luminoso di Presenza, la notte comincia a sciogliersi a farsi sentire più incoraggiante, più luminosa.
Maria, madre del Crocifisso Risorto, madre e maestra del nostro caro don Bosco, ci prende per mano e ci accompagna, anche e soprattutto quando c'è buio", anche quando l'alba sembra ancora lontana a venire. Lei ci aiuta a riconoscere la Presenza di Cristo e a dire: "E' il Signore"!


___________________________________________________________________________________


"Siamo figli di un sognatore": don Bosco era un sognatore, uno di quelli che sognava
Il sogno di don Bosco, a nove anni
letteralmente. 
Sognava cose che non comprendeva subito, ma di cui forse, misteriosamente, intuiva il mistero soprannaturale;
sognava cose che gli procuravano sonore tirate d'orecchie in famiglia, perchè c'era da lavorare, non da andare dietro alle chimere che si vedono quando si dorme; 
sognava cose grandi che gli venivano mostrate nemmeno da gente di questo mondo, ma dal Figlio di Dio e da Maria Santissima.

Sognava Chiese, oratori, e tanti, tanti giovani.
Lupi da trasformare in agnelli.

Sognava così "forte" che sulle mani riusciva a sentire - anche da sveglio - il dolore dei pugni sferrati ai monelli di turno!

Sognava così tanto, così "velocemente"! da andare "oltre", oltre i confini dell'Italia, oltre i confini di questo tempo, fino al Paradiso, dove un giardino attendeva la sua Congregazione ed i suoi amati ragazzi.

Già, don Bosco, l'uomo scambiato per pazzo perché aveva un difetto: "confondeva" il sogno con la realtà, al punto di vedere già - con gli occhi del cuore - quelle opere grandi (umane e non solo di pietra! Spirituali e non solo di mattoni!) che ancora nessun altro vedeva, ma che Qualcuno gli aveva già mostrato.
Don Bosco sognava....ad occhi aperti, come fa solo chi è capace di fidarsi: non fidarsi di sè stesso, ma di "una presenza", della "Presenza di quell'Uno" che è il Solo a poter realizzare le cose dall'apparente nulla, le grandi cose dai piccoli, dagli umili della terra.

Il sogno diviene non scelleratezza, ma "speranza da costruire" quando non è fondato sull'io, ma sul Dio inventore di progetti sempre nuovi, sempre unici, sempre a misura di vocazioni e di talenti.

Questo, allora, è don Bosco: l'uomo del sogno e l' uomo dell' azione, l'uomo che - nella fede e nella speranza - si è dato da fare per rendere concreto il sogno, il progetto che Dio gli aveva messo tra le mani, nel cuore, nell'anima.

Prima di lui (molto tempo prima di lui....) un altro uomo era stato l'uomo dei sogni: Giuseppe di Nazareth.
Scrive di lui il Card.Van Thuan: 
"La Sacra Scrittura descrive il sogno di san Giuseppe, in cui un angelo gli ordina di prendere il Bambino e sua Madre per fuggire in Egitto.
Il particolare interessante è che san Giuseppe rese reale quel sogno, e perciò Gesù sfuggì alla morte". (Card. Van Thuan, La gioia di vivere la fede - p.65)

Parafrasando queste parole, portemmo dire: Don Bosco ha reso reale il sogno che Dio gli ha messo non solo negli occhi, ma anche nel cuore e perciò molti ragazzi sono sfuggiti alla sorte di "lupi" e si sono trasformati in agnelli del gregge, in pietre vive della Chiesa viva!

Don Bosco ha sognato, con gli occhi del corpo e più ancora con quel del cuore!
Di più: don Bosco ha sognato lo stesso sogno che ha sognato il Cuore di Dio! 
E anche quando gli occhi del corpo non vedevano quello che gli occhi del cuore già avevano contemplato, Giovannino ha sempre fatto sua l'esortazione di San Paolo: "se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza". (Rm 8,25)

In questo ultimo anno di preparazione al bicentenario della sua nascita, don Bosco ci dice: sognate, sognate ancora! 
Sognate con gli occhi del cuore che sono capaci di vedere per primi, di riconoscere la Presenza di Dio anche nel Suo parlare in modo misterioso, a volte per vie non razionali....e sperate sempre, sperate di quella speranza che si fa operosità, per realizzare le cose grandi che il Signore vuole realizzare attraverso di voi!
Grazie don Angel, per questa splendida giornata tutta salesiana! 

giovedì 24 aprile 2014

LA PIU' BELLA APPARIZIONE DEL RISORTO!


"Di questo voi siete testimoni"  

(Lc 24,48)




Il Tempo di Pasqua ci ha inabissati nel mistero della Risurrezione di Cristo, e nella sua funzione di Maestra, la Chiesa ci sta insegnando qualcosa attraverso la Sacra Liturgia, in particolar modo attraverso i vari brani del Vangelo che in questi giorni vengono proclamati.

Domenica siamo stati immersi nello stupore delle donne e dei discepoli, di fronte alla Risurrezione del Maestro, che non viene più trovato nel sepolcro.

Lunedì, Gesù stesso appare alla Maddalena, la quale Lo riconosce soltanto al sentirsi chiamare "Maria"!
Martedì sono i due discepoli di Emmaus ad affrontare un'esperienza simile: pur vedendo coi loro occhi il Signore, comprendono che è Lui soltanto al momento dello spezzare il pane.
E oggi, ancora una volta, il Maestro viene riconosciuto solo nel compiere un gesto "umanissimo": mangiare assieme ai Suoi.

Si potrebbe dire che tutto è prettamente "Cristologico" in queste relazioni discepoli-Maestro: il Verbo viene riconosciuto nel parlare, in quel "vocare", chiamare in senso ampio che richiama a quel "Dio disse" che è presente nel libro della Genesi e a quel "chiamare per nome" (cfr IS 43,1) che esprime in modo meraviglioso il senso dell'essere amati da sempre dall'Amore Stesso!
Il Verbo è Parola di Vita, è Parola Viva, che non può restare irriconoscibile per quelli che l'amano!
Il Verbo è Colui che Si dona all'uomo ricorrendo a gesti umani, attraverso la Sacratissima Umanità di Cristo. Ecco che ad Emmaus è nell'atto dello spezzare il pane che Egli viene identificato.
Il Verbo ha assunto realmente un Corpo: ecco il cibarsi che serve ai Suoi affinché Lo riconoscano.
In un certo senso, la pedagogia di Gesù in queste prime apparizioni sembra quasi condensare tutta l'economia della salvezza in una sintesi del Suo essere sì Parola, ma Parola Incarnata, che proprio nella Risurrezione non perde la Sua Umanità ma la "sublima", perché viene rivestita della Gloria del Padre.

C'è per noi, in queste tre apparizioni, un forte richiamo liturgico: la più bella apparizione del Risorto avviene ogni giorno, in quel Pane Eucaristico che altri non è se non il Cristo Risorto, che ancora, nel Suo Cuore Eucaristico conserva i segni della Passione e che ci chiama ciascuno per nome.

Lo riconosciamo?
Ritroviamo in quel Pane, allorché il Sacerdote - in Persona Christi - pronuncia la formula di consacrazione, quello stesso Gesù che è apparso alla Maddalena, ai discepoli di Emmaus e che ha mangiato dinanzi a molti altri dei Suoi?

Con quale atteggiamento rispondiamo a questa chiamata, a questa apparizione?

Siamo chiamati a rispondere con le parole della Maddalena: "Rabbunì"! "Maestro"!
E siamo chiamati a ripeterGli quanto Gli dissero ad Emmaus i due discepoli, ma con la convinzione interiore di parlare non ad uno sconosciuto qualsiasi, ma al Signore: "Mane nobiscum, Domine"! "Resta con noi Signore"!

Che lo stupore per il Dono Eucaristico possa albergare sempre nel nostro cuore, ricordandoci che dinnanzi a noi c'è il Cristo Risorto, Pane spezzato che ha preso dimora tra noi, per essere qui "sempre, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20) e, ancora di più, per essere una cosa sola con noi, per l'eternità!

domenica 20 aprile 2014

PASQUA DI RISURREZIONE: Una Geografia Eucaristica


    
Gesù Risorto, San Carlo ai Catinari - Roma   

Mi piace pensare al mondo come ad un globo circondato, avvolto da meridiani e paralleli speciali: quelli Eucaristici!
Il fuso orario ci consente di immaginare - con un certo realismo - che ad ogni ora, forse anche ad intervalli più brevi, sulla Terra venga celebrata una Santa Messa e, Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, venga a "visitarci" e a dimorare NEGLI e tra gli uomini.

L'immagine con cui si potrebbe tradurre questa magnifica verità della Misericordia Divina è quella di un mondo mappato da meridiani e paralleli speciali: la Croce di Cristo - con i Suoi due bracci perpendicolari - continua ad ergersi in ogni luogo in cui si celebri il Santo Sacrificio, e dall'incrocio ed incontro di questi bracci, nasca una sorta di reticolo eucaristico.
E questo è possibile perché, vincendo la morte e risorgendo, Dio ha voluto non solo salvarci, ma larciarci Sè stesso come nutrimento, fortificazione, sostegno.

Cristo Morto e Risorto ci "avvolge", quasi come a voler custodirci, in una "geografia speciale", che abbracciando il mondo, stringa ciascuno di noi.
Di più: Egli ci invita ad accoglierLo in noi, in ciascuno di noi, a cibarcene, a portarLo ai fratelli nel nostro agire, pensare, amare sempre più conformato a Colui che viene ad abitare in noi.

Che la Pasqua ci stimoli a guardare con stupore sempre nuovo a questo Mistero d'Amore che è sconfinato quanto il Cuore di Dio: Cristo, nostra Pasqua è Risorto, ALLELUIA!

sabato 19 aprile 2014

SETTIMANA SANTA: tempo per meditare - "E Dio vide che era cosa molto buona"



"Ecco, il seminatore uscì a seminare"  

(Mc 4,4)



Il Venerdì Santo abbiamo contemplato il mistero della Croce e lo abbiamo fatto guardando ai tre che, sul Golgota, hanno condiviso la spoliazione totale di Cristo, fino a quella letteralmente fisica, delle vesti.

Quest'oggi vorrei soffermarmi ancora sulle tre figure di ieri: Maria, la Maddalena e Giovanni.
Cambiando però la prospettiva: se prima era il loro lo sguardo attraverso cui "comprendere" la nudità di Gesù, oggi è Gesù, che dall'alto della Croce, ci porta con lo sguardo su ciascuno di loro.
E ci dice qualcosa.

La parabola del seminatore (Mc 4,1-20) non è una lettura liturgica quaresimale, tuttavia il martedì della V settimana del tempo penitenziale, l'antifona al Vangelo  era la seguente:

Il seme è la parola di Dio,
il seminatore è Cristo
(Gv 3,16)

Dov'è che si "compie" la semina divina?
Proprio sulla Croce, in quell' "è compiuto" (Gv 19,30) che ci dice che ormai Dio ci ha comunicato tutto quello che ci occoreva per la salvezza, anzi, proprio la salvezza stessa.
Ma la semina del Verbo, attraverso la Sacra Umanità di Gesù cui Esso è ipostaticamente unita, è avvenuta come tutte le operazioni agricole che si rispettino: un raccolto non si improvvisa, un contadino deve scegliere il terreno, vangarlo, zapparlo, dissodarlo e, infine, seminare.

Si potrebbe dire che tutta la storia prima di Cristo è già stata una preparazione a quella "pienezza del tempo" (Gal 4,4) in cui Egli prende Carne.
Si può altrettanto dire che anche i tre anni di vita pubblica di Gesù lo siano: in quei 36 mesi Egli percorre i villaggi e le città da un capo all'altro, annunciando il Regno di Dio e invitando alla conversione.
Ma la semina, la semina ultima, quella  conclusiva, è appunto dall'Alto della Croce che ha luogo. Comincia in realtà già nell'Ultima Cena e si compie totalmente sulla Croce.
E' sulla croce che il chicco maturo cade a terra  (cfr Gv 12,14) per produrre frutto....

Quello che Gesù vede sul Golgota, issato sul Legno della Croce, è quasi un "panorama umano" di ogni tempo: non solo coloro che sono presenti storicamente, ma anche l'umanità di ogni epoca, presente agli occhi "divini" di Cristo.

... "crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno" (Gv 4,8)

La parabola del seminatore ci porta ora sull'esito della semina: la folla attorno alla Croce è come una "rappresentanza" di ogni frutto insito in questo realismo allo sguardo di Dio. Un realismo escatologico della Passione, Morte e Risurrezione.

In Maria Santissima il frutto è cento: è la più santa ed immacolata delle creature, è la Madre di Dio, la Tutta Pura, la Tutta Santa! 

In Giovanni e nella Maddalena la percentuale del raccolto, del frutto, sarà stata di certo molto elevata, pur con i loro differenti "passati", e stili di vita.
Eppure, mentre in Maria contempliamo ciò che saremo quando anche noi diverremo completamente santi ed immacolati, in Giovanni e nella Maddalena abbiamo quasi il modello più alla portata di tutti: di quelli che, pur vicinissimi a Cristo, non sono esenti da cadute (basti pensare a quando anche Giovanni questiona per il posto migliore, o vorrebbe mandar via quanti non sono dei loro, o quando si addormenta nell'Orto degli Ulivi);
di quelli che, dopo una vita di peccato anche grave, si sono riavvicinati al Signore, segno che anche questi possono ritornare a Lui e cambiare vita.

Allarghiamo lo sguardo attorno al Calvario: si dipana uno scenario umano impressionante, tutte le gradazioni, le percentuali di frutto della semina più importante di tutta la storia! 
Dal molto, al poco...al nulla....

La Liturgia della Parola del martedì della V settimana ci lascia un monito di cui far tesoro quest'oggi.
Gesù, parlando ad alcuni farisei, diceva loro: "Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati" (Gv 8,24) 

Chissà, quanti saranno stati quel "frutto zero" ai piedi della Croce, uomini e donne che non hanno saputo accogliere il seme della Parola e lo hanno lasciato soffocare tra le spine, sotto il sole o in mezzo alle preoccupazioni della vita.

I tre ai piedi della Croce ci rammentano, tuttavia, che è possibile far crescere in noi quel seme e farlo fruttificare.
Immaginando che, prima di alzare gli occhi al Cielo, Gesù abbia rivolto l'ultimo Suo sguardo alla Madre, è possibile credere che nel Suo Cuore siano risuonate quelle stesse parole che al temine della creazione, la Genesi ci lascia come il pensiero di Dio davanti alla creatura da poco creata: "E Dio vide che era cosa molto buona" (Gn 1,31).

Che Gesù possa  - guardando oggi ciascuno di noi - apprezzare l'impegno, la volontà, il desiderio di santità che ci anima e per questo, comprendendo le nostre debolezze umane, dirci con voce rassicurante: Vedo in te qualcosa di molto buono, perché Tu sei a Mia immagine e somiglianza. Continua a camminare tenendoti stretto alla Croce, fissando la Croce, portando la Croce!
 

venerdì 18 aprile 2014

SETTIMANA SANTA: tempo per meditare - I tre ai piedi della Croce. Purezza e penitenza





"Àlzati, rivestiti di luce, 
perché viene la tua luce,
la gloria del Signore 
brilla sopra di te". 

(Is 60,1)





 "Dio vi riveste di Sé. 

Sentire che l'uomo nudo è qualche cosa che noi dobbiamo rigettare; 
la nudità dell'uomo deve essere ricoperta dalla luce divina.
La veste in qualche modo richiama questo vestito onde Dio tutto ti illumina e ti riveste di Se Stesso.
Dobbiamo avere il senso della sacralità del vestito umano.
Atteggiamento di umiltà e atteggiamento di purezza.

Tu potrai veramente ridare la sacralità alle cose nella misura che ne sei distaccato. 
Tu ti poni a servizio di Dio attraverso le cose, non pretendi che le cose servano al tuo egoismo"


(Don Divo Barsotti, La sacralità di tutte le cose)




Le espressioni artistiche riferite alla Crocifissione di Cristo, ci presentano di norma un Gesù rivestito di un panno cinto attorno ai fianchi.
Ma la cruda realtà è un'altra: ai piedi della Croce, dove Gesù è  denudato prima di essere crocifisso, tutte le vesti Gli vengono tolte, non solo la tunica cucita tutta d'un pezzo.
E' questa l'usanza romana, questo è il parere dei Padri della Chiesa. 
Queste le conclusioni degli studi sulla Sacra Sindone.

Scriveva Joseph Ratzinger, nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo del 2005:  

"Il vestito conferisce all'uomo la sua posizione sociale; gli dà il suo posto nella società, lo fa essere qualcuno.
Essere spogliato in pubblico significa che Gesù non è più nessuno, non è nient'altro che un emarginato, disprezzato da tutti.
Il momento della spoliazione ci ricorda anche la cacciata dal paradiso: lo splendore di Dio è venuto meno nell'uomo, che ora denudato, si vergogna.
Il Gesù spogliato ci ricorda il fatto che tutti noi abbiamo perso la prima veste, cioè lo splendore di Dio.
Sotto la Croce i soldati tirano a sorte per dividersi i suoi miseri averi, le sue vesti.
Il Signore sperimenta tutti gli stati e i gradi della perdizione degli uomini, e ognuno di questi gradi è, in tutta la sua amarezza, un passo della redenzione".

La tradizione iconografica, riprendendo ovviamente la Verità dei Vangeli, riporta normalmente Maria, Giovanni e la Maddalena ai piedi della Croce.
E' un elemento, questo, che si ricollega fortemente al tema della veste ed alle sue implicazioni a livello sociale, antropologico e religioso.

L'allora Card.Ratzinger sottolineava come Gesù - attraverso la nudità - sperimenti "tutti gli stati e i gradi della perdizione umana" e compisse in tal modo i passi "della redenzione".
I tre che rimangono sotto la Croce sono proprio le tre persone che meglio e più possono comprendere, compartecipare, soffrire con Cristo e consolarLo. 
 
Guardiamo alla prima delle tre figure: la Maddalena penitente (secondo l'opinione che vede in lei anche la donna peccatrice cui fu molto perdonato per avere amato molto) rinasce a vita nuova nell'incontro con Gesù.
E' una donna - e già per questo non ha peso nella società -, era una peccatrice pubblica e questo faceva di lei un'emarginata, una disprezzata, privata della sua dignità.
La sua vita prima dell'a tu per Tu con il Signore era quella di una persona che vive come "nuda": il suo essere donna ed il suo essere moralmente in situazione di peccato facevano sì che il giudizio degli altri (in sostituzione a quello di Dio!) la "denudasse".
In Lc 7,39, il pensiero del fariseo commensale di Gesù alla stessa tavola cui giunge la donna, tradisce proprio questa mentalità.

C'è poi Giovanni: di condizione sicuramente agiata (lavorava col padre, il quale aveva barche e pescatori a suo servizio) lascia tutto per seguire il Signore.
Questa sua "alzata di testa" e la contrapposizione - secondo la mentalità di scribi e farisei - alla Legge, gli saranno sicuramente costati  l'essere spogliato della "veste" sociale da molti dei suoi vecchi amici, conoscenti, o dai parenti stessi.

C'è infine Maria: la Madre di un Figlio che gli stessi familiari non esitano a definire "pazzo".
Che altro potrebbe aggiungersi per definire il senso di "spoliazione" che la società e le caste religiose del tempo avranno operato nei suoi confronti?
Si potrebbero immaginare le critiche che saranno state mosse a lei, giovane donna rimasta incinta prima del tempo della coabitazione con Giuseppe...quelle per un Figlio che, di fatto, lascia il lavoro di bottega del padre - e quindi un impiego "sicuro" - proprio nel momento in cui la Madre era vedova...

Insomma: per un motivo o per un altro, Maria, Giovanni  e la Maddalena, rappresentano i "denudati" di ogni tempo, gli spogliati dalla società, dai benpensanti, dagli ipocriti, dai superficiali, dai giustizialisti, dai senza "misericordia".

Non è un caso che loro tre ci rappresentino un po' tutti,  ai piedi della Croce.
Non è un caso se loro siano stati i più "capaci" di compassione "Cum-patire" con Cristo.

Dato in pasto agli sguardi di tutti, in questa offesa che gli uomini credono di poter arrecare alla Purezza in persona (ma...."omnia munda mundis"! Tutto è puro per chi è puro!), il conforto gli viene proprio dai "tre" che meglio possono comprendere il valore della purezza, del pudore.... :
Maria, l'Immacolata, la redenta in anticipo che ha sperimentato per prima, in sommo grado, la bellezza dell'anima pura, nel corpo e nello spirito;
Giovanni, che forse proprio attraverso Gesù Vergine ha compreso l'importanza  della verginità e  ha scelto volontariamente di rimanere in questa condizione, quasi come uno che viene preservato da un cammino diverso;
La Maddalena, la "restaurata" nella purezza, che ora conosce il valore del pudore nella sua accezione più bella.

Sono loro che condividono dunque il dolore di Gesù per la spogliazione della veste e sono loro che ci invitano a guardare alle nostre vesti non come a suppellettili per il corpo, ma come un qualcosa che deve "rispecchiare" Cristo, perché noi siamo "Tempio dello Spirito Santo"! (1Cor 6,19)

Vorrei concludere con un brevissimo estratto dall'autobiografia di Santa Teresa di Lisieux:

"Lo so: colui al quale si rimette meno, ama meno; ma so anche che Gesù mi ha rimesso di più che a Santa Madalena, perché mi ha rimesso in anticipo, impedendomi di cadere!
Ho sentito dire che non si era mai incontrata un'anima pura che ami più di un'anima penitente, come vorrei smentire queste parole"!

Mi piacerebbe però aggiungere una riflessione, da collegare alla conclusione della Santa Carmelitana ed in tema con l'argomento di oggi.
"Penitente" dal latino "penitentem", participio di "penitere-poenitere": "pentirsi".
"Poenitere": castigo, espiazione.
Ma "Poenitere" deriva a sua volta da "Poena" dal greco "Poine" dalla radice "pu"-"purgare", ricollegabile nel sanscrito "punya" - "puro, netto".
Radice presente anche in "punire"- rendere puro e nel greco "a-poina" prezzo del riscatto.
Il lavoro della "radice" delle parole cui ci conduce l'etimologia è sorprendente: si rintraccia un collegamento fra la purezza e la penitenza!
Il giusto, il "senza peccato" (come il Verbo stesso è stato, come lo fu Maria Immacolata) può farsi penitente non per i propri peccati, ma per quelli degli altri.
In questo senso, la sua "penitenza" diviene così elevata da unire le due qualità dell'anima di cui parla Teresa di Lisieux, senza contrapporle, ma associandole: la purezza e la penitenza!
Che amore sarà mai quello di un'anima pura che diventa "vittima" per i peccati degli altri!
Gesù sulla Croce ci dà l'idea massima di questa associazione!
Maria ce ne mostra l'esempio sublime in una creatura solo umana, Giovanni un modello alla portata di molti mai incorsi nel peccato mortale, la Maddalena ci offre l'idea di una purezza riconquistata che sa farsi penitente per sé e per gli altri. 

Ascoltiamoli ai piedi della Croce, per imparare come unire in noi purezza e penitenza, per associarci in modo misterioroso - ma reale - al sacrificio di Cristo sulla Croce!

giovedì 17 aprile 2014

SETTIMANA SANTA: tempo per meditare - Nell' Eucaristia riceviamo Tutto!



"Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli".

Pascal Dagnan-Bouveret, Ultima Cena

Fra qualche ora ci ritroveremo davanti all'Altare, per la celebrazione della Messa in Coena Domini. Faremo memoria dell'Ultima Cena, istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio.
Rivivremo la "lavanda dei piedi", ci nutriremo del "pane dei forti, degli angeli, dei pellegrini, dei figli".
La sequenza ci porta su un tema di fondamentale importanza se pensiamo a quello che il Venerdì Santo ci presenterà: la Passione del Signore, il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la presenza di Maria, Giovanni, della Maddalena e delle pie donne sotto la Croce.
Circa la partecipazione di Maria all'Ultima Cena, le opinioni degli autori sono divergenti, taluno non la esclude, altri la negano.

Fermiamoci allora a quella che è certezza: la partecipazione dei discepoli.
Gesù ha preparato tutti i Suoi alla Sua morte, adesso però dona loro Sé stesso, dona loro il Pane Vero che fortifica e sostiene.
Eppure, nonostante quel Pane, nonostante il Vino che è il Sangue di Cristo Agnello Immolato, Giuda tradisce il Signore, gli apostoli si addormentano nell'Orto degli Ulivi, Pietro rinnega Cristo per tre volte,  tutti - eccezion fatta per Giovanni, la Maddalena e Maria - disertano il Calvario.
C'è da chiedersi dove fosse l'amore per Cristo, in quel momento, in quella situazione in cui l'Amico aveva bisogno degli amici, del loro sostegno, del conforto, della compartecipazione, semplicemente della presenza.
Eppure potremmo porci anche un'altra domanda, forse più sottile, meno lampante nell'evidenza dei fatti: se essi non avessero ricevuto quella Santa Eucaristia, che fine avrebbero fatto?
Quanto più si sarebbero macchiati di tradimento, abbandono, diserzione, infedeltà?
A ben pensarci, lo scenario che si prospetta loro nel passaggio dall'Ultima Cena all'arresto di Gesù, non è dei più facili da gestire.
Si presenta ai loro occhi una commistione di situazioni complicate, in cui si intersecano fattori diversi: dal "crollo" delle loro sotterranee aspettative in un Messia di gloria terrena - aspettative magari ancora coltivate quasi nell'inconscio -, alla possibilità di andare incontro alla morte anche per loro, fino alla ....banale, umanissima paura. Paura davanti ai soldati che arrivano a frotte a catturare il Cristo, paura nel vedere fin dove può giungere il tradimento di uno di loro, paura nel sentirsi non solo il Sinedrio contro, ma finanche quasi tutta la folla che grida "Ridacci Barabba!".
Indubbiamente, l'evolversi rapidissimo degli eventi non facilita le decisioni pacate e riflessive.
Gli apostoli, i discepoli, reagiscono quasi d'istinto.
L'istinto li porta a scappare, mentire, colpire di spada (come nel caso di Pietro che stacca l'orecchio a Malco).
E tutto questo, dopo aver ricevuto la Prima Santa Eucaristia della loro vita.
E' un particolare da non sottovalutare: le anime dei seguaci di Cristo erano terreni che con pazienza il Maestro aveva dissodato e coltivato, fino a donarSi completamente nell'Ultima Cena.
Eppure tutti in un modo o nell'altro "cadono" (certamente eccezion fatta per Maria Santissima, seppure il suo ruolo sia diverso da quello degli apostoli e il Vangelo non dica molto su di lei, in questo contesto).
Giuda è la dimostrazione che si può ricevere il Corpo e Sangue di Cristo, ma vivere in palese contraddizione con la santità di quel Gesù che si riceve. Il Suo tradimento è la caduta totale dell'uomo...infedeltà dopo infedeltà.
Pietro, che prima - a parole - sembra paventare un coraggio fuori dal comune, con il suo sonno ed il suo triplice rinnegamento, ci stimola ad invocare sempre con costanza il dono della fortezza e quello della fede che sia capace di giungere fino all'eroismo del martirio.
Dio opera in noi se al Sacramento che riceviamo accompagniamo la preghiera e la vita ascetica, la fedeltà nel poco e nel molto.
Giovanni, l'apostolo prediletto, con il suo addormentarsi nell'Orto degli Ulivi è un po' il simbolo della "santità umana" fatta di imperfezioni, perchè tutti siamo esseri umani e finanche i più santi, i più fedeli, a volte cadono in piccole mancanze, o, appunto, in imperfezioni. 

Quando riceviamo la Santa Eucaristia fermiamoci a contemplare Colui che riceviamo: Gesù Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità.
Lui ci trasforma: la Sua Umanità perfettissima ci dà un'umanità perfezionata, capace di maggiore resistenza al dolore spirituale, psicologico e fisico, e tutte le altre doti umane che rendono l'uomo "umile e mite" già sul piano puramente umano.
La Sua Divinità ci consente di accostarci - in Lui, con Lui, per mezzo di Lui - al Padre ed allo Spirito con il quale è Unito nella Santissima Trinità.
Ricevendo Gesù abbiamo tutto: la perfezione dell'Uomo, la Volontà del Padre, la Parola del Figlio, i Doni e l'Amore dello Spirito.
Ricevendo la Santa Eucaristia abbiamo - se vogliamo farne buon uso! - la possibilità di diventare uomini capaci di discernere il volere del Padre, seguire la Parola del Figlio e tutto questo attraverso i doni del Paraclito.
Il dono di Cristo non è mai "forzatura" sulla nostra anima e sulla nostra corporeità: Egli ci chiede di cooperare con Lui, di lasciarci trasformare da Lui, dal dono di Sé Stesso.

Che grandezza, un Dio che si dona completamente all'uomo!
La scena dei discepoli riuniti attorno al Cristo nell'Ultima Cena, quella della loro diserzione, quella dei pochi fedeli, quella del ritorno di quasi tutti, dopo il Sabato Santo, siano per noi l'incentivo a fare TESORO del PIU' GRANDE DEI TESORI: la Santa Eucaristia, vero cibo dei forti!

Un augurio ed una preghiera per tutti i sacerdoti, che oggi veramente festeggiano il loro essere stati scelti per conformarsi maggiormente a Cristo, affinché siano santi e santificatori, sul modello del Cuore sacerdotale di Cristo!

mercoledì 16 aprile 2014

SETTIMANA SANTA: tempo per meditare - Il testamento di Gesù



"Donna, ecco tuo figlio"!
 "Ecco tua madre"!

Via Crucis- Giuseppe Allampresa-Pasquale Nava,  Roma
"E' questa un'ultima disposizione di Gesù, quasi un atto di adozione.
Egli è l'unico figlio di sua madre che, dopo la sua morte, rimarrebbe sola nel mondo.
Questo è dunque innanzitutto un gesto del tutto umano del Redentore che sta per morire.
Non lascia sola la madre, l'affida alla premura del discepolo a Lui molto vicino.
E così anche al discepolo è donato un nuovo focolare - la madre che si cura di lui e della quale egli si prende cura.

L'appellativo donna rinvia al racconto della creazione in cui il Creatore presenta ad Adamo la donna.
Adamo reagisce dicendo: Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna.... (Gen 2,23)
San Paolo ha presentato Gesù come il nuovo Adamo col quale l'umanità ricomincia in modo nuovo.

Giovanni ci dice che al nuovo Adamo appartiene nuovamente la donna che egli ci presenta nella figura di Maria".

(Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, pp.246-247) 




E' in virtù di questa "appartenenza" che Gesù "dispone" di Maria.
Questo concetto, questa idea quasi di un lascito testamentario, di un testamento di Cristo, viene evidenziata da due cose: da un lato, la parola "TESTAMENTO" etimologicamente rimanda a "TESTARI" e "MENTUM". "Attestare e dettare l'ultima volontà" e "mezzo-strumento".

Dall'altra, come spiega sempre Joseph Ratzinger nel suo libro, "la traduzione" della pericope "E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé" (Gv 19,27), "è ancora più forte; si potrebbe renderla più o meno così: egli l'accolse fra le proprie cose - l'accolse nel suo intimo contesto di vita".
Si legge infatti nella Nova Vulgata: "Et ex illa hora accepit eam discipulus in sua".
Entrare nel mistero del rapporto tra Gesù e Maria è leggere anche in queste righe di "consegna" da un Figlio all'altro, il dolore grande che alberga nel cuore di entrambi.
Il Figlio sta per lasciare questo mondo, in mezzo a sofferenze atroci e ancora ha la forza di pensare, quasi di "organizzare" e "dettare" le ultime volontà su colei che davvero è per Lui la creatura più cara al mondo. 
Gesù ci insegna che le vere "ultime volontà" non dovrebbero essere tanto una questione di beni materiali, ma principalmente di amore: come disponiamo delle cose in rapporto alle persone che ci sono state vicine, che ci hanno donato affetto, magari finanche la vita?
Come realizziamo questa organizzazione giorno dopo giorno, nel curare gli affari materiali, le nostre "cose" senza trascurare anche le relazioni d'amicizia, di parentela? E' un monito forte per tutti e quasi da vivere giornalmente.
Portando tutto ad un livello ancora più alto: se Maria è figura e tipo della Chiesa, secondo gli insegnamenti del Vaticano II, questo vuol dire che Gesù sta dettando le Sue ultime volontà anche sulla Chiesa.
Gesù ci "affida" la Chiesa. La Chiesa è nostra, sembra volerci dire, l'affido a voi sacerdoti, l'affido a voi discepoli.
Amatela, custoditela, date anche la vita per Lei, se fosse necessario.
Risuonano le parole di San Paolo: "come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25)

C'è poi un altro punto di vista, quello della Donna, quello di Maria.
Nel dolore di un Figlio che muore, cosa può essere stato per lei il sentirsi affidare ad un altro figlio.... il suo cuore si sarà colmato di nuova gratitudine per tanto amore da parte di Gesù, ma anche della cocente consapevolezza di essere alle battute finali, alle disposizioni ultime, alle parole definitive.

La risposta di Maria è il silenzio, quel silenzio di chi medita ancora nel cuore, come agli inizi, tutte le parole sul Figlio, tutte le parole DEL Figlio. 
In questo scambio dialogico tra Maria e Gesù, in cui Egli parla e lei accoglie il Verbo nell'unica risposta possibile - quella del silenzio adorante e contemplativo - è racchiuso il senso, la misura del nostro essere membra viva della Chiesa viva: lasciamoci guidare da Colui che guida la Chiesa, lasciamoci accompagnare, fidiamoci di Dio.
Accettiamo con amore ed obbedienza, umiltà e collaborazione, la guida dei Pastori, dal più semplice parroco di campagna al Successore di Pietro.
Ascoltiamo, rispondiamo col silenzio a quel "Totalmente Altro" che va al di là di ogni comprensione umana, ma che Si è fatto Uomo come noi per renderci capaci di avvicinarci a Lui, se sapremo meditare nel cuore, come Maria.  
Se sapremo pronunciare anche i fiat dolorosi che il Signore vorrà chiederci.