martedì 23 aprile 2013

AUGURI, SANTO PADRE!


Oggi, memoria di San Giorgio....

Felice onomastico, Santo Padre Francesco -Jeorge Bergoglio!


Oremus pro pontifice nostro Francisco
Dominus conservet eum,
et vivificet eum,
et beatum faciat eum in terra,
et non tradat eum
in animam inimicorum eius.


CHE DIO LA BENEDICA, SANTITA'!

lunedì 22 aprile 2013

IDEOLOGIA E OTTIMISMO IDEOLOGICO DANNO UNA FALSA CHIAVE DI LETTURA DEL VANGELO. Meditando sulle correnti mondane e ideologiche nella Chiesa - con l'aiuto di J. Ratzinger e Papa Francesco


Ideologia e ottimismo ideologico: sono termini che in questi ultimi giorni risuonano spesso nella mia mente.

Mi fanno pensare -in primo luogo- a quanto già capitava al tempo di Gesù di Nazareth, allorché dottori della Legge, scribi e farisei amavano "i primi seggi nelle sinagoghe, i primi posti nei banchetti e i saluti nelle piazze" (Mc 12,39; Lc 11,43), ed ergendosi ad unici depositari, interpreti ed applicatori della Legge, caricavano "gli uomini di pesi insopportabili", senza però toccarli "nemmeno con un dito"! (Lc 11,46)

Ottimismo ideologico e ideologia rimandano anche all'episodio della donna adultera, trascinata davanti a Gesù da farisei e scribi, i quali, messi con le spalle al muro dall'inquietante interrogativo di Cristo "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" (Gv 8,7), tagliarono letteralmente la corda.
Segno eloquente di come, a dispetto della loro "esteriorità" di perbenismo e stretta osservanza della Legge, probabilmente non fossero esenti proprio da quel peccato che accusavano nella malcapitata di turno, nel capro espiatorio del momento.

Cristo fu lapidario, con questi falsi "teologi", e non ebbe vergogna di additarli con parole forti, pregne di significato spirituale, oltre che di riflessi sociali per quanti Lo ascoltavano (un discredito immediato dei sapienti agli occhi degli interlocutori!):
"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume". (Mt 23,27)


L'incoerenza, la falsa moralità -il "moralismo"-, il finto perbenismo erano già di moda al tempo di Gesù e nella casta religiosa che avrebbe dovuto dare ben altri esempi di trasparenza cristallina.

Per questo la venuta di Cristo non poteva apparire "cosa buona" agli occhi di tanti dottori della Legge, scribi e farisei.
Gesù era davvero l'ago della bilancia che faceva notare il "disequilibrio", la Verità che metteva a nudo il profondo stridore tra una religione di facciata e il "marcio" che c'era invece al suo interno.

La strategia che gli ideologi del tempo cercavano di adattare era una sola, la più semplice secondo loro: togliere di mezzo "la spada di Damocle" (cioè il Figlio di Dio!), fingendo che fosse Lui il vero problema, dicendo in sostanza: nella nostra religione tutto va bene così com'è, tu vieni a "guastare", diventi elemento di rottura...dobbiamo quindi mandarti via.

Questi ideologi ragionavano secondo una logica di incoerenza: si ergevano a "teologi", ad interpreti della morale, ma non facevano quello che dicevano, quindi si "adattavano" alla mondanità del momento.
Pretendendo dagli altri un'osservanza rigorosa della Legge.


Un meccanismo del genere consentiva loro di tenere sotto controllo tutte le classi sociali:
da un lato quella dei poveri ed umili, i "deboli"  "oppressi" da un giogo pesantissimo in virtù di un falso ottimismo che mostrava il fardello morale come la strada per raggiungere la perfezione religiosa;
dall'altra quella dei più ricchi, che in un certo senso trovavano un appoggio, una "giustificazione" nella connivenza tra potere e vizio che si annidava anche in buona parte dei religiosi del tempo, riuscendo a far convivere le più disparate convinzioni pseudo religioso-politiche con la Legge Mosaica.

Questo connubio tra ottimismo e ideologia trova spazio anche nella Chiesa Cattolica.

Lo denunciava già San Paolo, allorché scriveva ai Corinti, popolo neoconvertito, che però viveva in un clima culturale particolarissimo, in cui correnti di pensiero e di religione differenti si scontravano, portando proprio al rischio di un "relativismo" impazzito:

"Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero e che a mia volta venga trovato da voi quale non mi desiderate; che per caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini, e che, alla mia venuta, il mio Dio mi umilii davanti a voi e io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono convertiti dalle impurità, dalla fornicazione e dalle dissolutezze che hanno commesso".
(2 Cor 12, 20-21)

Quando oggi sento parlare di una religione cattolica in cui tutto improvvisamente va bene, in cui i problemi sono risolti, anzi, magicamente scomparsi, il quadro che mi appare è esattamente questo: di un falso ottimismo ideologico.

O di finta moralità che in realtà è moralismo.
Duemila anni dopo la venuta di Cristo, la situazione descritta da San Paolo si ripropone: viviamo in un contesto così "imbevuto" di ideologie e correnti religiose diverse, di credi fai da te, che l'immoralità travestita da moralismo o le contaminazioni politiche rischiano di dilagare anche nella Chiesa.


Coperta da un manto di "ottimismo" per mascherare il marcio.



Scriveva J. Ratzinger -Benedetto XVI-, in "Guardare Cristo -Esercizi di fede, speranza e carità":


"Che cosa bisognava pensare della glorificazione di un ottimismo semplicemente contrario alla realtà?


L'ottimismo poteva essere semplicemente una copertura, dietro la quale si nascondeva proprio la disperazione che si cercava in tal modo di superare.

Ma poteva trattarsi anche di peggio: questo ottimismo metodico poteva essere semplicemente una copertura, dietro la quale si nascondeva proprio la disperazione di quanti desideravano la distruzione della vecchia Chiesa e che, senza tanto rumore con il mantello di copertura della riforma, volevano costruire una Chiesa completamente diversa, di loro gusto, che però non potevano iniziare per non scoprire troppo presto le loro intenzioni.

Il pubblico ottimismo era una specie di tranquillante per i fedeli, allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire il dominio su di essa.

Il fenomeno dell'ottimismo avrebbe perciò due facce: da una parte suppone la beatitudine della fiducia, anzi la cecità dei fedeli, che si lasciano calmare da buone parole; consiste dall'altra in una consapevole strategia per un cambiamento della Chiesa in cui nessun'altra volontà superiore -volontà di Dio- ci disturba più, né inquieta più la coscienza, mentre la nostra propria volontà ha l'ultima parola.

L'ottimismo
sarebbe alla fine 
la maniera di liberarci della pretesa,
fattasi ormai ostica,
del Dio vivente sulla nostra vita.

Altra ipotesi: che un simile ottimismo fosse semplicemente una variante della fede liberale nel progresso perenne: il surrogato borghese della speranza perduta della fede.

Giunsi infine al risultato che queste componenti agivano insieme, senza che si potesse facilmente decidere quale di esse, e quanto e dove, avesse il peso prevalente.

L'ottimismo ideologico, questo surrogato della speranza cristiana, dev'essere distinto da un ottimismo di temperamento e di disposizione.

L'ottimismo di temperamento è una cosa bella e utile nelle angosce della vita.
Deve essere sviluppato e coltivato per formare positivamente la fisionomia morale di una persona. 
Allora esso può crescere mediante la speranza cristiana e diventare ancoa più puro e più profondo; viceversa in un'esistenza vuota e falsa esso può decadere e divenire pura facciata.

IMPORTANTE E' NON CONFONDERLO CON L'OTTIMISMO IDEOLOGICO, MA ANCHE NON IDENTIFICARLO CON LA SPERANZA CRISTIANA, la quale può crescere su di esso, ma come virtù teologica è una qualità umana di profondità di gran lunga maggiore e di altro rango.

L'OTTIMISMO IDEOLOGICO PUO' REGGERSI SU BASE SIA LIBERALE CHE MARXISTA.
In entrambi i casi, la sua specie di ottimismo è una SECOLARIZZAZIONE
DELLA SPERANZA CRISTIANA.

IL FINE DELLA SPERANZA CRISTIANA E' IL REGNO DI DIO, cioè l'unione di uomo e mondo con Dio mediante un atto di divino potere e amore.

L'OTIMISMO IDEOLOGICO
E' PURA FACCIATA
DI UN MONDO SENZA SPERANZA,
UN MONDO CHE CON QUESTA ILLUSORIA FACCIATA
VUOLE NASCONDERE
LA SUA PROPRIA DISPERAZIONE".


Se si vuole essere cattolici che sanno usare "fides et ratio" si deve constatare che oggi -anche nella Chiesa- sussitono correnti di pensiero fortemente impregnate da queste forme di ottimismo descritte da Benedetto XVI.
Si passa dall'ottimismo di certi mass-media a quello un po' "ingenuo" di molti fedeli, così come pure a quello più pericoloso di chi nella stessa istituzione religiosa pronuncia parole in palese contrasto col Vangelo, con la dottrina ed il Magistero.

E' l'ottimismo a mio avviso più pernicioso, perché rischia di ingenerare ancora maggiore "cecità dei fedeli", da un lato conquistandosi le simpatie di chi vive in palese contrasto con il contenuto della nostra fede; dall'altro ingenerando una sorta di "rabbonimento" dei costumi in altre persone, più facilmente plasmabili per la loro scarsa formazione teologica, dottrinale, biblica.

A fronte di queste riflessioni, è facile allora comprendere la preoccupazione che agita anche Papa Francesco, che pochi giorni fa, nell'omelia mattutina in Santa Marta, ci ha messi in guardia proprio da queste correnti "ideologiche" e dal "moralismo".


Credo che il piccolo excursus della situazione presente al tempo di Cristo ed anche il pensiero di Benedetto XVI possano aiutare a calarci meglio, con grande concretezza, nelle parole del Papa:



"La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. 


Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi.

E anche quella della bellezza.

Quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla.

Sono quelli che camminano solo “sulla strada del dovere”: è il moralismo di quanti pretendono realizzare del Vangelo solo quello che capiscono con la testa.
Non sono “sulla strada della conversione, quella conversione a cui ci invita Gesù.

E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. 




Gli ideologi falsificano il Vangelo.
Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo.

E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà.
E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla. 

Invece, la strada dell’amore, la strada del Vangelo è semplice: è quella strada che hanno capito i Santi.

I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! 
La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza …"

Uniamoci alla preghiera del Santo Padre Francesco, affinché la Chiesa venga liberata da queste interpretazioni ideologiche che creano confusione, che distolgono dalla vera bellezza, dal vero Amore.  
Che seminano solo relativismo e moralismo.
Combattiamo in prima persona, con la coerenza della vita, che è la migliore testimonianza che possiamo offrire alla Verità.

sabato 20 aprile 2013

IL PASTORE CON L'ODORE DELLE PECORE: da Papa Francesco e Benedetto XVI all'episodio di Maria di Betania







"Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale.

Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore.
Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. 



Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini".




Ripensando a queste parole, stamattina, mi veniva in mente un paragone: una donna che cucina e non "profuma" di cucina, sembrerà una brava cuoca o una di quelle "perfettine" tutto fare che compra un bel surgelato e lo sforna dopo averlo cotto al microonde per pochi minuti?
Credo che a tutti faccia piacere -quasi istintivamente- arrivare in un palazzo e, varcando la soglia del portone, essere avvolti da una buon "odore": quello del cibo -sapientemente scelto, preparato e cotto, che qualche brava massaia sta preparando, con amore e competenza, con passione e buona volontà.

La stessa cosa è del presbitero: a volte i laici si lamentano di come molti sacerdoti abbiano "rovesciato" il contenuto del Vaticano II, affidando proprio ad altri -non consacrati- troppi compiti (anche "pseudo-pastorali") e finendo con l'isolarsi da quello che è il vero fulcro del loro ministero (i Sacramenti...).
Altre volte, l'accusa che viene loro mossa è di essere "manager" che non si rimboccano le maniche per lavorare, ma si limitano a svolgere attività d'ufficio.
Come la cuoca non cuoca, che prepara un cibo precotto e scaldato: un cibo che non ha il sapore dell'alimento genuino, delle mani sapienti che hanno mescolato gli ingredienti giusti, dei tempi di cottura esatti e dei piccoli segreti che fanno la differenza tra un "prefabbricato" e una "gourmandise".


Quante volte, già Benedetto XVI, aveva invitato i sacerdoti a non essere soltanto "amministratori" e  -peggio ancora- "burocrati"?


Proviamo a ripassare quello che disse nell'incontro con il clero delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso (24 luglio 2007) e per farlo, credo sia opportuno riportare anche la domanda del presbitero che diede l'occasione per questa risposta a braccio dell'allora Papa Ratzinger:

D. –Santo Padre, esigenze pastorali e di ministero, oltre al diminuito numero di sacerdoti, sollecitano i nostri vescovi a rivedere la distribuzione del clero, spesso accumulando impegni e più parrocchie nella stessa persona. 
Ciò tocca la sensibilità di tante comunità di battezzati e la disponibilità di noi sacerdoti a vivere insieme – preti e laici – il ministero pastorale.
Come vivere questo cambiamento di organizzazione pastorale, privilegiando la spiritualità del buon Pastore? 

R. Il problema si pone in generale, che il parroco nonostante nuove situazioni e nuove forme di responsabilità non perda la vicinanza con la gente, l’essere realmente in persona il pastore di questo gregge affidatogli dal Signore. 

Le situazioni sono diverse: penso ai vescovi nelle loro diocesi con situazioni molto diverse; essi devono vedere bene come assicurare che il parroco rimanga pastore e non diventi un burocrate sacro.

In ogni caso mi sembra che una prima opportunità nella quale possiamo essere presenti alle persone affidateci sia proprio la vita sacramentale: nell’Eucaristia siamo insieme e possiamo e dobbiamo incontrarci; il Sacramento della penitenza e della riconciliazione è un incontro personalissimo; così come lo è il Battesimo che è un incontro personale e non solo il momento del conferimento del Sacramento.
Questi Sacramenti direi che hanno tutti un contesto: battezzare vuole dire prima catechizzare un po’ questa giovane famiglia, parlare con loro così che il Battesimo sia anche un incontro personale ed un’occasione per una catechesi molto concreta.
Così come la preparazione alla Prima Comunione, alla Cresima e al Matrimonio sono sempre occasioni dove realmente il parroco, il sacerdote, in persona incontra le persone; è il predicatore ed è l’amministratore dei Sacramenti in un senso che implica sempre la dimensione umana.
Il Sacramento non è mai soltanto un atto rituale, ma l’atto rituale e sacramentale è il condensamento di un contesto umano nel quale si muove il sacerdote, il parroco.

Mi sembra poi molto importante trovare dei sistemi giusti di delega.
Non è giusto che il parroco debba fare solo il coordinatore di organismi; egli deve piuttosto delegare in modi diversi e certamente nei Sinodi – e qui in diocesi avete avuto il Sinodo – si trova il modo per poter liberare sufficientemente il parroco, affinché da una parte conservi la responsabilità di questa totalità dell’unità pastorale affidatagli, ma non si riduca sostanzialmente e soprattutto il burocrate che coordina, ma uno che tiene in mano i fili essenziali, ma ha poi dei collaboratori.
Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia.
Direi quindi che - da una parte - questo coordinamento e questa responsabilità vitale di tutta la parrocchia e – dall’altra parte – la vita sacramentale e di annuncio come centro della vita parrocchiale potrebbero consentire anche oggi, in circostanze certamente più difficili, di essere il parroco che non conosce forse tutti per nome, come il Signore ci dice del Buon Pastore, ma conosce realmente le sue pecorelle ed è realmente il pastore che le chiama e che le guida.


Papa Bergoglio ha parlato di "pastore che ha l'odore delle pecore".
Un pastore che sappia attivare il nucleo centrale, profondo, del suo "cuore presbiterale", che sappia "ungere", o meglio, sfruttare l'unzione ricevuta il giorno dell'ordinazione.

A me piace collegare il pensiero del Santo Padre Francesco a quello del Papa emerito e farne un unicum, in quella bellissima continuità che la ricchezza del magistero ci offre attraverso la successione dei Sommi Pontefici.

Avere l'odore delle pecore, per il pastore è "stare" fra la sue pecore, non guardarle da lontano, da una sedia dietro una scrivania;
è "ascoltare" la gente con i suoi problemi e -come un buon medico- dare la giusta medicina dei vari Sacramenti:
è anche imparare a prendere su di sé le sofferenze della pecora malata, come ha fatto il Buon Pastore Gesù, che ha sofferto e Si è offerto per tutto il gregge;

è fasciare la ferita della pecora che non è morta, ma ha bisogno di guarire da qualche malattia di gravita non eccessiva, come fa con pazienza misericordiosa Gesù, che ci attende nel confessionale anche per i peccati veniali;
è rinunciare, nella Sacra Liturgia, a voler essere il protagonista, lo show-man di turno, per dare spazio a Lui, che è il Vero e Unico Protagonista, ed in questo atto sublime di culto, adorazione, impetrazione di grazie, pregare e offrire con e per il gregge...

In questo senso, quello che diceva nel 2007 Benedetto XVI, Papa Francesco oggi lo riassume nel concetto di "avere l'odore delle pecore" e "ungere".
L'unzione -con la quale il carattere sacerdotale viene impresso PER SEMPRE nel presbitero, è quello che rende possibile questo esercizio di potere divino al sacerdote: celebrare, consacrare, rimettere i peccati.
Ma con l'unzione avviene qualcosa di "superiore" da cui deriva tutto questo: il sacerdote, diventando "tutto di Gesù" viene invitato ad essere veramente un "rappresentante" di Gesù.

Allora il Sacerdote deve essere in tutto un Alter Christus.
Di più: il Cardinale Albino Luciani, Patriarca di Venezia, -poi Papa Giovanni Paolo I- scriveva: "Siamo sacramento di Cristo".

E così si legge nelle opere di San Josemaria Escrivà:

"La vocazione sacerdotale si presenta rivestita di una dignità e di una grandezza tali che null'altro sulla terra può superare.
Santa Caterina da Siena pone sulle labbra di Gesù queste parole:
«Io non volevo che la riverenzia verso di loro diminuisse...
perché ogni riverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtù del Sangue che io l'ho dato a ministrare.
Unde, se non fusse questo, tanta riverenzia avareste a loro quanta agli altri uomini del mondo, e non più... E così non debbono essere offesi, però che, offendendo loro, offendono me e non loro. E già l'ho vetato, e detto che i miei Cristi non voglio che sieno toccati per le loro mani» [SANTA CATERINA DA SIENA, Il Dialogo della divina Provvidenza, cap. 116; cfr Sal 104, 15].

Taluni si affannano a cercare quella che chiamano l'identità del sacerdote.
Quanto sono chiare le parole della santa di Siena!
Qual è l'identità del sacerdote?
Quella di Cristo.
Tutti noi cristiani possiamo e dobbiamo essere non soltanto alter Christus, ma anche ipse Christus: un altro Cristo; lo stesso Cristo!
Ma il sacerdote lo è in modo immediato, in forma sacramentale".

Gesù Sommo Sacerdote, Buon Pastore non ha esercitato il Suo ministero stando seduto in un ufficio da burocrate: si è fatto Uomo per venire in mezzo agli uomini;
si è caricato delle colpe (non del peccato!) per scontarle al posto loro;
si è messo in ricerca delle pecore perdute ed anche in ascolto...
si è fatto pedagogo e pedagogista...è "entrato" nella psicologia -a volte contorta- di quanti ha incontrato.

In questo senso non ha disprezzato lasciare i "profumi soavi" del Paradiso per venire in mezzo al "fetore" della Terra.
Il punto è che camminare tra i peccatori non significa assumere su di sè il "lezzo", il cattivo odore di quel peccato.
Significa invece rendersi capaci di "annusarlo", identificarlo e capire che lì c'è qualcuno che ha bisogno di essere sanato..."profumato".

Se un sacerdote perde la capacità "olfattiva" sarà come quei preti "tristi" di cui ha parlato Papa Francesco: un presbitero che non sa più comprendere il bisogno inespresso di Dio che si cela in tante anime, che non sa più andare incontro alla gente per trascinarla verso il Signore!

Avere l'odore delle pecore, in certi casi, può implicare anche una cosa ulteriore e bellissima, quel "farsi rubare l'unzione" di cui parlava Papa Francesco e che in Benedetto XVI abbiamo visto esprimersi nel concetto di "collaborazione" tra fedeli e sacerdoti.

"Odore", di per sè, è un termine neutro: può rimandare al "fetore" da cui la persona va purificata, ma anche al "profumo" che sarebbe bello prendere anche su di sè.

Ecco, pensiamo a quante pecore cariche di buon profumo spesso sono vicine ai sacerdoti e con questo profumo di virtù, di santità, di buona volontà, di carità, riescono ad arricchire una parrocchia o semplicemente a far "crescere" anche il sacerdote nel suo sacerdozio ordinato al servizio di quello comune dei battezzati!

Gli esempi alti di questo "assumere" il profumo buono della pecora non mancano: quanti santi, collaborando assieme, hanno saputo creare opere meravigliose nella Santa Chiesa?
San Francesco di Sales creò dal nulla l'Ordine della Visitazione assieme a Santa Giovanna di Chantal, nobile, vedova e madre di molti figli, nonché sua figlia spirituale.
I frutti di questa opera trovarono il culmine quando una delle suore visitandine, Santa Margherita Maria Alacoque, fu la destinataria delle "apparizioni" e rivelazioni del Sacro Cuore di Gesù.

E che dire di un esempio tutto "evangelico": il profumo di Maria Santissima, la donna più pura e virtuosa, la creatura più perfetta. Di questo "profumo" parla espressamente San Luigi Grignon de Monfort, descrivendolo come un soave odore che oggi la Vergine diffonde su quanti si consacrano a lei.
Ma, oserei dire: anche Gesù, standole accanto come Figlio, ha "assunto" su di Sè il profumo dolcissimo di Sua Madre!

C'è anche un episodio, tutto evangelico, che meglio descrive questo passaggio del pastore che -umilmente- accetta il buon profumo della pecora.
E' quello descritto sia in Mc 14,3-9 che in Gv 12,1-11. 
I due brani presentano delle differenze e preferisco soffermarmi sul più dettagliato dei due, il racconto giovanneo.

E' l'episodio in cui Maria di Betania unge i piedi di Gesù con il contenuto (ben trecento libbre!) di un vasetto...:nardo purissimo, un profumo costosissimo!



 
Hans Urs Von Balthasar scrive:   "Una sola cosa è necessaria.
Maria dà questa sola cosa, il tutto che possiede, se stessa; sotto la figura del nardo vi è anche tutto quello che lei ha, è qualcosa di prezioso, simboleggia tutto il possesso".


C'è di più: l'evangelista conclude dicendo che dopo che Maria ebbe asciugato con i propri capelli i piedi di Cristo,  "tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento".

Qui mi piace avvalermi di una considerazione "scientifica": nessun profumo è mai identico su persone diverse.

Cambia in base a tre fattori (ph cutaneo, traspirazione, tasso lipidico), per cui una stessa fragranza, su pelli diverse, sarà diverso. 

Unico.

Ecco, mi piace pensare questo, meditando sull'unzione di Betania: Maria cosparge Gesù con il profumo che rappresenta sè stessa, e quel profumo, che su di lei era "tipicamente suo", diventa un profumo nuovo una volta riversato sulla Sacra Umanità di Cristo, che "migliora", trasforma la fragranza.
Di più: Gesù non vuole che quel profumo "nuovo" rimanga solo di Lui.
Ecco la meraviglia di un vero Pastore, del Buon Pastore: il profumo nuovo ritorna alla donatrice.
Cristo le dice: Tu hai messo il tuo profumo di virtù, di donazione su di Me, io te lo restituisco arricchito. Fa' che porti ancora frutto, che si spanda su tutti quelli che incontrerai.


"Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce".
(Benedetto XVI - omelia 29 marzo 2010)

Allora, sì, è bello che il pastore, in questi termini voglia avere l'odore delle pecore, che voglia essere completamente modellato su Cristo Buon Pastore che ha saputo trasformare il fetore di alcune in profumo, e che ha arricchito la fragranza soave di altre, perché portassero "più frutto". (Gv 15,2)

mercoledì 17 aprile 2013

LA CALUNNIA: riflessioni a margine dell'omelia di Papa Francesco (15 aprile, cappella di Santa Marta)


"Il giusto odia la parola falsa,

l'empio calunnia e disonora".

(Pro 13,5)


Nella vita di San Filippo Neri, accanto ad estasi e birboni canterini, oratori e udienze papali, ci sono anche storie di "ordinarie confessioni": spesso quelle di penitenti un po'...impenitenti, che a furia di ripetere lo stesso peccato, si erano incalliti in brutti vizi.

In questa enciclopedia di "duroni dell'anima" non mancò neanche quello della calunnia.
Un giorno arrivò dal santo la solita incallita di turno: una donna di Roma, ben nota fra i suoi compaesani, per la sua arte di chiacchericcio.
La signora ricevette, per penitenza alla sua confessione, l'ordine insolito di spennare una gallina e spargerne in seguito -per le strade della città- le penne e le piume. 
Per poi ritornare dal confessore.

Detto, fatto.
Alché la donna sentì pronunciare dal santo una richiesta ancor più strana della prima:

 “La penitenza non è finita!
Ora devi andare per tutta Roma a raccogliere le penne e le piume che hai sparso!”. 

Immediata la protesta della chiaccherona: non si può, non è possibile!

E il confessore le rispose così: “Anche le chiacchiere che hai sparso per tutta Roma non si possono più raccogliere!
Sono come le piume e le penne di questa gallina che hai sparso dappertutto!
Non c’è rimedio per il danno che hai fatto con le tue chiacchiere!”.


Ho ripensato a quest'episodio, quando qualche giorno fa ho letto le parole pronunciate da Papa Francesco nell'omelia della Messa mattutina in Santa Marta:



"La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone.

Noi tutti siamo peccatori: tutti.

Abbiamo peccati.

Ma la calunnia è un’altra cosa. 

E’ un peccato, sicuro, ma è un’altra cosa.



La calunnia vuole distruggere l’opera di Dio; la calunnia nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio.

E chi fa l’odio è Satana.

La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime.
La calunnia utilizza la menzogna per andare avanti.

E non dubitiamo, eh?: dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui”.


Non ci tragga in inganno l'apparente contraddizione delle parole del Papa: "la calunnia è un peccato, ma è un'altra cosa".
Usiamo -per un attimo- un ragionamento sottile, ma in realtà molto semplice, alla luce della Bibbia e della teologia morale cattolica.

La teologia morale ci dice che il peccato si distingue in veniale e mortale.
Solo il secondo "rompe" l'amicizia con Dio, ci priva della Sua Grazia.
Il primo, invece, per quanto macchi sempre la nostra anima, ci fa rimanere uniti a Lui, non ci fa perdere la Sua Presenza in noi.

Il peccato veniale di certo lo commette il 99% dei buoni cattolici.... (lasciamo l'1% ai santi consumati, che ci auguriamo ci siano ancora oggi!).
Le imperfezioni (moti primi che non si controllano, per i quali non c'è volontà) le si ritrova spesso anche nelle vite dei santi, segno che la "perfezione" o la "santità" non è completa assenza di cadute "piccole"o di imperfezioni, ma mancanza di cadute grandi e desiderio effettivo di migliorare per evitare quelle inferiori . A questo, nel "giusto" si aggiune una pratica eroica delle virtù cristiane.

Tutti, se siamo e vogliamo essere buoni cristiani, dovremmo tendere alla perfezione e alla santità, in questi termini.

Non dimentichiamo che, infatti, proprio la Bibbia ci rammenta che  se  "il giusto cade sette volte, egli si rialza,ma gli empi soccombono nella sventura" (Pro 24,16)

L'esempio di San Filippo Neri mi fa pensare: una persona che abitualmente vive in una condizione continua di "calunniatore" si può definire giusta o empia?

Il libro dei Proverbi sembra venirci in aiuto: 

"Il giusto odia la parola falsa,

l'empio calunnia e disonora".

(Pro 13,5)

Ecco, in questo senso "la calunnia distrugge l'opera di Dio" come ci ha rammentato Papa Francesco: la distrugge principalmente nell'animo di chi la pratica, perchè il vizio, diventato abitudine, finisce con lo scaturire da un odio radicato, un sentimento così forte e negativo, che scaccia via dal cuore l'amore del prossimo, l'amore per la Verità che è Dio, e lascia che in esso alberghi soltanto la maldicenza.

"Guardatevi pertanto da un vano mormorare,
preservate la lingua dalla maldicenza,
perché neppure una parola segreta sarà senza effetto,
una bocca menzognera uccide l'anima".

(Sap 1,11)

Se vogliamo essere santi, se vogliamo essere "giusti" nel senso più bello che la Bibbia attribuisce a questo termine, allora facciamo nostro l'invito di San Paolo:

"Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità". (Ef 4,31)

E quando toccherà a noi subire la diffamazione, comportiamoci da veri cattolici, sull'esempio di martiri come Stefano (l'omelia del Papa era proprio a commento del brano degli Atti sulla lapidazione del protomartire!), e prima ancora di Cristo stesso!

"calunniati, confortiamo" (1 Cor, 413)

Santo Stefano ci ha lasciato un esempio splendido, in tal senso: prima di morire sotto i colpi delle pietre dei suoi uccisori, chiede a Gesù di non imputare loro quel peccato!
Non aveva forse fatto allo stesso modo Cristo morente sulla Croce, chiedendo perdono per i Suoi carnefici?

Papa Francesco ci esorta moltissimo a fare ricorso alla Misericordia di Dio: dimostriamo anche noi di essere "misericordiosi come il Padre" nostro "che è nei cieli".

Asteniamoci dai falsi giudizi sugli altri e imploriamo il perdono del Padre per quanti ci calunniano, senza ergerci a giudici dei nostri stessi fratelli.