domenica 31 marzo 2013

sabato 23 marzo 2013

TENEREZZA....l'incontro tra Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI




L'etimologia della parola tenerezza rimanda all'atto del "tendere" verso l'altro, del "tendersi".
Farsi quasi "sottile" per avvicinarsi a chi ci sta accanto.

Non mi viene in mente nessun'altra parola, in questo momento, per esprimere la dolcezza dell'incontro tra Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI.

Noi ne abbiamo visto solo pochi frammenti, ma significativi, colmi di delicatezza, di "tensione" verso l'altro.
Quella tensione che è appunto premura, tenerezza.

D'altronde, Papa Francesco, nella sua omelia di inizio pontificato (19 marzo 2013) ci ha esortato con questa frase:
"Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!".

E la tenerezza, la "tensione" mi fa tornare ancora una volta alla mente, la "Passione", la Croce.
L'atto supremo di un Dio fattoSi Uomo che Si tende verso la Sua creatura.

Tendersi verso l'altro è sempre saper entrare nel suo mondo fatto anche di responsabilità, di sofferenza, di "mistero".
E' un incontro di due "croci", di due pesi, che avvicinandosi, si comunicano qualcosa. 
E -forse solo per un attimo- si alleggeriscono.

Benedetto XVI, nella sua ultima catechesi del mercoledì, tornando a parlare della sua chiamata a "salire sul monte" (Angelus- 24 febbraio 2013), ci aveva detto:

"Non abbandono la Croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Non porto più l’ufficio della potestà della Chiesa, ma resto nella preghiera".
(Benedetto XVI- udienza generale 27 febbraio 2013)

Papa Francesco, parlando ai confratelli cardinali nella sua omelia in Cappella Sistina, il 14 marzo scorso, si è ben riagganciato a questo concetto:

"Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore".



Mi piace pensare che l'incontro di oggi, la tenerezza di oggi, l'umiltà che "due" papi (uno regnante, l'altro...orante!) non hanno avuto paura di mostrare al mondo intero, sia una tensione di due persone che, davanti a Dio, portano veramente un "peso", una responsabilità, una "Croce": seguire Cristo, nel modo differente che a ciascuno di essi viene richiesto in questo momento.

Il mistero della Croce è così "vasto" che non lo si può racchiudere solo e semplicemente nell'angusto e limitante spazio del dolore fisico: è come un ventaglio di note che arpeggia dai tasti della malattia a quelli di una rinuncia a qualcosa che ci è  molto caro, dai toni di una sofferenza morale a quelli di una grande responsabilità caricata sulle spalle di qualcuno....

Allora mi piace concludere -lasciandole quasi come commento di questo meraviglioso incontro- con le parole che Papa Ratzinger ebbe a pronunciare nel suo viaggio in Cameroun (2009), rivolgendosi al "mondo della sofferenza":

"Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi". 

Un grande grazie a questi due Uomini di Dio che oggi hanno saputo toccare il cuore di molti, attraverso la semplicità -disarmante e, nel migliore dei sensi, fanciullesca- di una "virtù" quasi dimenticata: la tenerezza!






lunedì 18 marzo 2013

Divagazioni sul tema della povertà.... riflessioni evangeliche e spunti dal magistero di Papa Francesco e Benedetto XVI


In questi giorni in cui Papa Francesco sta molto insistendo sul tema della povertà, il concetto è stato forse travisato da molti, con interpretazioni estremiste in un senso e nell'altro.

Interessanti, a tal proposito, le riflessioni sul sito dell' UCCR, che fanno ben comprendere come una Chiesa "povera" non voglia dire una Chiesa "senza mezzi", che non potrebbe poi neanche offrire concreto aiuto a quanti abbisognano anche di beni materiali-

Detto questo, ovvio che Dio "semini" carismi diversi fra le varie persone.
Così è anche, se vogliamo dirlo del "carisma" della povertà.

La storia dei santi e la stessa Bibbia, ci mettono in effetti davanti ad un'immagine "plurima" di povertà, offrendoci non solo il modello "finale" e per eccellenza di Cristo povero, ma anche quello di "santi" ricchi, che attraverso i loro beni, seppero servire i meno fortunati.

L'esempio eclatante, che mi viene in mente proprio mentre scrivo queste righe è Giuseppe d'Arimatea, che in Mt 27, 57-61, viene descritto come l'uomo ricco che chiede a Pilato il Corpo di Gesù per avvolgerlo in un "candido lenzuolo" e farlo deporre "nella sua tomba nuova, scavata nella roccia".
Se ben guardiamo a questo episodio, ci viene detta una cosa di estrema importanza: con la sua ricchezza, convertita in "lenzuolo" e "tomba" -cioè quelle cose materiali che abbisognavano in quel momento al Corpo povero di Cristo povero- Giuseppe d'Arimatea serve il Signore stesso!

E che dire anche di Zaccheo, il pubblicano che, una volta convertito, non decide di spogliarsi totalmente del suo (perché, fra tanto "rubato" qualcosa di guadagnato c'era anche e aveva pur famiglia da manenere!), ma compie un gesto rivoluzionario:
«Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto».  (Lc 19,8)
Zaccheo vuole restituire il frutto delle sue ruberie ("se ho frodato") e farlo anche con gli interessi: è una sorta di...riparazione postuma dell'ingiustizia!
D'altro canto, lo stesso pubblicano convertito fa un passo oltre: "Do' la meta ai poveri".
Ecco: anche la conversione di un ricco può produrre frutti di...utilità per il povero.
La ricchezza viene donata agli altri perché ora, convertendo il cuore a Cristo, non si ha più un cuore umano attaccato al denaro, ma a Lui solo. A quel "Tu" che si manifesta anche nel volto del povero!

Zaccheo, in un certo senso, nella sua esperienza di "figliol prodigo" vive -dopo il cambiamento- la dimensione del Salmo 62:

"Alla ricchezza, anche se abbonda
non attaccare il cuore"

E' lo stesso "alone" che avvolge la figura di Giuseppe d'Arimetea: avrebbe potuto, un uomo attaccato al bene materiale, "cedere"  la propria tomba ad un uomo morto della morte più infame, cioè la crocifissione?

Se Papa Francesco dice dunque: "Vorrei una Chiesa povera per i poveri"  (Incontro con i rappresentanti dei media- 16 marzo 2013), possiamo anche intendere una Chiesa che sappia programmare un taglio degli sprechi ed un sapiente impiego delle risorse, per sovvenire anche ai bisogni materiali degli indigenti.
Non per forza dobbiamo pensare ad una qualunquistica forma di "totale" spoliamento di ogni mezzo materiale di cui la Chiesa -come istituzione- dispone!
Immaginate una parrocchia senza fondi?
Non avrebbe neanche con che pagare ...le bollette della luce!

Quello che sembra evincersi è che ci sono quindi molti, tanti, diversi modi di vivere la povertà.
Un concetto di fondo è importante: a meno che non si decida di vivere da eremiti, la povertà non sarà mai una totale, assoluta mancanza di ogni bene, ma, casomai, una sua limitazione all'essenziale o una riduzione dello spreco.

Guardiamo allo stesso Gesù: sappiamo che i dodici avevano una "cassa", come attestato in Gv 12,6 e 19, 28-29.
A cosa servisse questa cassa lo si deduce dal racconto stesso dell'evangelista, il quale, attraverso la sua scelta narrativa di esporre i "pensieri" dei discepoli, ci fa scoprire quale fosse, usualmente, l'utilizzo di quel denaro. Questo accade particolarmente nella seconda pericope:
  • "Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri".
E' lecitissimo -anzi, quasi scontato e ovvio!- pensare che, se gli apostoli fecero quei ragionamenti, era perché, di norma, i soldi della cassa venivano ordinariamente impiegati sia per provvedere alle "quotidiane" necessità del Maestro e dei dodici (comprese anche le tradizionali feste giudaiche), sia per provvedere ai bisogni dei poveri.

Il concetto del povero è quello che viene infatti sottolineato da Giovanni nella prima pericope, da cui possiamo trarre due importanti elementi.
Ci troviamo a Betania, a casa di Lazzaro, Gesù è stato invitato a cena coi Suoi.
Maria, la sorella di Lazzaro, rompe un prezioso vasetto di nardo (molto costoso!) e lo sparge sui piedi di Gesù.
Giuda - colui che teneva la cassa- si lamenta.
E Giovanni fa una precisazione:
"«Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». 
Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro".

Anche da qui, dunque, sappiamo che la carità concreta verso i poveri, Gesù e i Suoi la potevano normalmente praticare non solo con i miracoli compiuti dal Cristo, non solo con la Parola di Vita, ma anche con beni materiali, che loro raccoglievano e gestivano per poi distribuirli.
Eppure, Gesù, ci fa vedere di non disdegnare un atto di omaggio che ha un costo elevato (il nardo preziosissimo sparso sui suoi piedi!) per dimostrare che in ciò che Lo riguarda (Liturgia, Chiese e la stessa figura del Pontefice in quanto Vicario di Cristo, nella Sua figura quindi spirituale e istituzionalae), è anche "giusto" sottolineare con qualcosa di esteriore l'importanza interiore di quello che si fa o che si è.

Si potrebbe anche aggiungere un dato ulteriore: povertà non significa disdegnare i doni della Provvidenza.
Esempi?
Tanti santi che, per compiere le loro opere caritative, hanno fatto sapiente uso di elargizioni -anche generose- ricevute da gente benestante del tempo, a volte ottenute in forme quasi miracolose.
A ben scadagliare il Vangelo, una considerazione simile la si potrebbe trovare anche con riguardo a Gesù, laddove in Mt 17,27 leggiamo del "miracolo" del pesce in cui Pietro, su indicazione di Cristo, trova una moneta per pagare le tasse....

Essere poveri, allora, può significare molte cose: a qualcuno viene chiesto un gesto di radicale distacco da tutto, ad altri un uso sapiente e moderato del poco che si ha (anche la vedova povera lascia quel poco che ha nel Tempio! Si può essere poveri anche da poveri!), ad altri, un utilizzo delle ricchezze a beneficio degli altri.

D'altro canto, la Chiesa ci presenta un ventaglio di santi per tutti i gusti: da un San Francesco d'Assisi a San Luigi IX, re di Francia con -fra questi due estremi- una varietà estrema di "vie di mezzo", santi borghesi, santi di classe sociale media, che hanno saputo impiegare le risorse economiche per il bene e la santificazione di molti, non solo personale.


Allora, come ci ha ricordato anche Papa Francesco, lo Spirito Santo non fa niente di "uguale", ma riesce, sapientemente, a rendere sinfonico il tutto:

"il Paraclito, è il supremo protagonista di ogni iniziativa e manifestazione di fede.
Il Paraclito fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele.
Ma dall’altra parte, è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella “ugualità”, ma nell’armonia.
Io ricordo quel Padre della Chiesa che lo definiva così: “Ipse harmonia est”.
Il Paraclito che dà a ciascuno di noi carismi diversi, ci unisce in questa comunità di Chiesa, che adora il Padre, il Figlio e Lui, lo Spirito Santo".
(udienza a tutti i cardinali 15 marzo 2013)

Farci poveri, sulle orme di San Francesco, può dunque assumere connotazioni pratiche 

Il presepe di Greccio, Giotto


Benedetto XVI nel corso dell'udienza generale del 23 dicembre 2009, delineando la figura del Santo d'Assisi, sottolineò ad esempio come la povertà umana stoa anche - e in primo luogo- nell'accogliere -nella nostra vita- un Dio che si fa "Bambino", uomo, povero, debole.
La nostra povertà è riconoscerci umilmente bisognosi dell'abbraccio di un Dio che Si è fatto Umiltà Incarnata.
Umile fino alla Croce.
Perché, ce lo ha ricordato pochi giorni fa Papa Francesco, "se non confessiamo Gesù Cristo diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore".  (omelia della Santa Messa con i Cardinali, 14 marzo 2013)

Concludo allora con le parole dell'udienza di Benedetto XVI:

"Dio si fa Bambino inerme per vincere la superbia, la violenza, la brama di possesso dell’uomo.
In Gesù Dio ha assunto questa condizione povera e disarmante per vincerci con l’amore e condurci alla nostra vera identità.
Non dobbiamo dimenticare che il titolo più grande di Gesù Cristo è proprio quello di “Figlio”, Figlio di Dio; la dignità divina viene indicata con un termine, che prolunga il riferimento all’umile condizione della mangiatoia di Betlemme, pur corrispondendo in maniera unica alla sua divinità, che è la divinità del “Figlio”.

La sua condizione di Bambino ci indica, inoltre, come possiamo incontrare Dio e godere della Sua presenza.

E’ alla luce del Natale che possiamo comprendere le parole di Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).
Chi non ha capito il mistero del Natale, non ha capito l’elemento decisivo dell’esistenza cristiana.
Chi non accoglie Gesù con cuore di bambino, non può entrare nel regno dei cieli: questo è quanto Francesco ha voluto ricordare alla cristianità del suo tempo e di tutti tempi, fino ad oggi.
Preghiamo il Padre perché conceda al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, proprio come fece Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano – riferendosi all’esperienza dei pastori nella Notte Santa (cfr Lc 2,20) - racconta a proposito di quanti furono presenti all’evento di Greccio: “ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia” (Vita prima, op. cit., n. 86, p. 479").

TRIDUO A SAN GIUSEPPE: terzo giorno


TRIDUO A SAN GIUSEPPE -terzo giorno

"San Giuseppe, uomo che non teme"


Particolare della statua di San Giuseppe con Bambino presso la Chiesa di Santa Maria in Traspontina, Roma

O Dio onnipotente, 
che hai voluto affidare
gli inizi della nostra redenzione
alla custodia premurosa di san Giuseppe,
per sua intercessione
concedi alla tua Chiesa
di cooperare fedelmente
al compimento dell'opera di salvezza.


AMEN



Da "L'infanzia di Gesù" di Benedetto XVI- Joseph Ratzinger:

"«Non temere» -questo aveva detto l'angelo dell'Annunciazione anche a Maria.
Con la stessa esortazione dell'angelo, Giuseppe ora è coinvlto nel mistero dell'Incarnazione di Dio".



Nella vita di San Giuseppe avviene qualcosa di straordinario: Maria rimane incinta per opera dello Spirito Santo.
Maria è resa Madre di Dio.
E a Giuseppe, ad un umile falegname -umile, ma discendente di Davide- viene chiesto l'altissimo compito di farsi padre di quella Creatura che è Figlio di Dio.

"Non temere", è quello che si sente dire.
E obbedisce: non teme, non ragiona sulla sproporzione tra le proprie forze e il mistero che gli viene affidato.
Fa la volontà di Dio.
Si fida di Dio.
E' sicuro che Egli provvederà a concedergli tutto il necessario per adempiere alla sua straordinaria, specialissima vocazione di padre e sposo.

Questo atteggiamento di Giuseppe sprona anche noi ad essere persone che hanno fiducia in Dio.
In quel Dio che concede a tutti la "grazia di stato", ossia quegli aiuti spirituali necessari per vivere secondo la propria vocazione, nelle varie circostanze.
Quasi per dare a tutto ciò che ci accade "ordinariamente" un orientamento "soprannaturale".

E' interessante quello che si ritrova nel Dizionario di Spiritualità:

«Occorre guardarsi dal concepire le grazie di stato come delle rivelazioni o delle illuminazioni miracolose, che verrebbero ad insegnare all’uomo ciò che non sa, o come delle forze che si sostituirebbero puramente e semplicemente alla debolezza umana, alle carenze e ai cedimenti.
La grazia, in generale, giunge all'uomo seguendo solo le vie naturali. (…) non si contesta che Dio possa, se lo vuole, creare in un soggetto delle attitudini nuove per un dato compito. 
Tuttavia, come regola ordinaria, noi non dobbiamo contare su questo miracolo. (…) 
«È ugualmente erroneo concepire le grazie di stato come dei soccorsi che verrebbero a supplire automaticamente alle insufficienze del temperamento, delle attitudini, della preparazione, come se bastasse essere incaricati di un compito per essere resi capaci di compierlo, dovendo Dio accordarci le grazie di stato compensatrici. La grazia di stato non è garanzia di infallibilità per i superiori, non è acquisizione della scienza per l’ignorante divenuto professore, e così via; essa non è una panacea. (.....)
 «Bisogna disporsi verso le grazie di stato come per ogni grazia, meritarle per quanto possibile, attraverso una completa e continua docilità agli inviti dello Spirito Santo. In effetti, sarebbe un’illusione immaginare che Dio accordi le grazie di stato per così dire meccanicamente.
Se Dio offre sempre le sue grazie, esse sono ricevute solo in misura delle disposizioni del soggetto.»  

San Giuseppe ha di certo collaborato con Dio, si è fatto docile all'azione dello Spirito Santo per essere sempre attento a cogliere e ad accogliere gli aiuti soprannaturali, per rendere attiva e fruttuosa la grazia di stato operante in lui.

Che il Santo Patriarca ci aiuti a fare altrettanto, a non temere neanche nelle circostanze più delicate e difficili della nostra vita, quelle che ci richiedono anche uno sforzo spirituale per essere affrontate da buoni cristiani.

Un grande grazie ed una preghiera costante per Benedetto XVI che ci ha aiutato in questo nostro triduo di preghiera e riflessione.




domenica 17 marzo 2013

TRIDUO A SAN GIUSEPPE: Secondo giorno


TRIDUO A SAN GIUSEPPE: secondo giorno

"San Giuseppe, uomo attento ai segnali del Divino"


Particolare della statua di San Giuseppe con Bambino presso la Chiesa di Santa Maria in Traspontina, Roma

O Dio onnipotente, 
che hai voluto affidare
gli inizi della nostra redenzione
alla custodia premurosa di san Giuseppe,
per sua intercessione
concedi alla tua Chiesa
di cooperare fedelmente
al compimento dell'opera di salvezza.


AMEN



Da "L'infanzia di Gesù" di Benedetto XVI- Joseph Ratzinger:


"Mentre l'angelo «entra» da Maria (Lc 1,28), a Giuseppe appare solo nel sogno -in un sogno, però che è realtà e rivela realtà.
Ancora una volta si mostra a noi un tratto essenziale della figura di san Giuseppe: la sua percettività per il divino e la sua capacità di discernimento.
Solo ad una persona intimamente attenta al divino, dotata di una peculiare sensibilità per Dio e per le sue vie, il messaggio di Dio può venire incontro in questa maniera".



Dio ci parla in  molti modi, parla a tutti, nella vita di ogni giorno.

Usa un linguaggio a volte insolito: incontri casuali, oggetti ritrovati, frasi lette su di un libro, luci che riceviamo mentre sfogliamo il Santo Vangelo.
I "messaggi" del Signore ci vengono spesso recapitati così, in questa maniera quasi spicciola, ordinaria, ma anche tanto...straordinaria.
Forse qualcuno di noi sognerà anche qualcosa di profetico, ma al di là di questi casi particolari, rimane un dato di fatto che non si può dimenticare: Dio è sempre presente nella nostra vita e se decide di non ricorrere ad interventi miracolosi per farci intendere il Suo volere o per darci il Suo aiuto, frequentemente ricorre a questi semplici meccanismi di comunicazione.
Quelli che, per intenderci, a volte consideriamo veri e propri "aiuti della Provvidenza", ispirazioni improvvise, incontri insperati al momento opportuno.

San Giuseppe ci insegna oggi una cosa importante: a non sminuire queste comunicazioni divine.
Al contrario, ci sprona a non considerarle "sciocchezze", ma a saperle identificare, a farci "sensibili" alle Sue vie, proprio come fece il profeta Elia, che riconobbe il Signore non nel tuono o nel vento impetuoso, ma in un leggero fruscio, in una brezza leggera. (cfr 1Re 19, 11-14)
Dio parla, parla sempre, a noi la capacità di saperLo ascoltare!

sabato 16 marzo 2013

TRIDUO A SAN GIUSEPPE - Primo giorno: San Giuseppe uomo giusto


Il triduo a San Giuseppe comincia, quest'anno, a seguiro della rinuncia da parte di Papa Benedetto XVI al ministero petrino.

In unione di preghiera con Sua Santità e come omaggio personale, quest'anno le riflessioni saranno articolate a partire da alcuni brani del suo ultimo libro "L'infanzia di Gesù", pubblicato pochi mesi fa.

Invochiamo la protezione di San Giuseppe sul nostro nuovo Papa Francesco e affidiamo al Santo Patriarca anche il nostro amato Papa Emerito Benedetto XVI, al quale rimaniamo veramente uniti e legati nella preghiera quotidiana.


TRIDUO A SAN GIUSEPPE: primo giorno

"San Giuseppe, uomo giusto"


Particolare della statua di San Giuseppe con Bambino presso la Chiesa di Santa Maria in Traspontina, Roma

O Dio onnipotente, 
che hai voluto affidare
gli inizi della nostra redenzione
alla custodia premurosa di san Giuseppe,
per sua intercessione
concedi alla tua Chiesa
di cooperare fedelmente
al compimento dell'opera di salvezza.


AMEN


















Da "L'infanzia di Gesù" di Benedetto XVI- Joseph Ratzinger:

"Giuseppe dovette constatare che Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo». 
(Mt 1,18) 

Ma ciò che Matteo anticipa qui sulla provenienza del bambino, Giuseppe ancora non lo sa.
Egli deve supporre che Maria abbia rotto il fidanzamento e-secondo la Legge- deve abbandonarla; al riguardo, egli può decidere tra un atto giuridico pubblico e una forma privata: può portare Maria davanti a un tribunale o rilasciarle una lettera privata di ripudo.
Giuseppe sceglie la seconda via, per non «accusarla pubblicamente» (1,19).
In questa decisione Matteo vede un segno che Giuseppe era «uomo giusto »


La qualificazione di Giuseppe come uomo giusto va ben al di là della decisione di quel momento: offre un quadro completo di san Giuseppe e al contempo lo inserisce tra le grandi figure dell'Antica Alleanza -a cominciare da Abramo, il giusto.

Giusto, secondo il Salmo 1, è un uomo che vive in intenso contatto con la Parola di Dio; che «nella Legge del Signore trova la sua gioia» (v.2).
E' come un albero che, piantato lungo corsi d'acqua, porta costantemente il suo frutto.
Con l'immagine dei corsi d'acqua, dei quali esso si nutre, s'intende naturalmente la Parola viva di Dio, in cui il giusto fa calare le radici della sua esistenza.
La volontà di Dio per lui non è una legge imposta dall'esterno, ma «gioia».

La Legge gli diventa spontaneamente «vangelo», buona novella, perché egli la interpreta in atteggiamento di apertura personale e piena di amore verso Dio, e così impara a comprenderla e a viverla dal di dentro.

Se il Salmo 1 considera come caratteristica dell' «uomo beato» il suo dimorare nella Torà, nella Parola di Dio, il testo parallelo in Geremia 17,7 chiama «benedetto» colui che «confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia».

Qui emerge, in modo più forte che non nel salmo, il carattere personale della giustizia -il fidarsi di Dio, un atteggiamento che dà speranza all'uomo.

Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di interpretare ed applicare la legge in modo giusto.
Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all'ignominia.
Le vuole bene, anche nel momento della grande delusione.


Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata che Gesù denuncia in Matteo 23 e contro la quale lotta san Paolo.
Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell'unità tra diritto e amore.
E così è interiormente preparato al messaggio nuovo, inatteso e umanamente incredibile, che gli verrà da Dio
".



San Giuseppe ci insegna ad agire secondo verità e carità, un connubio che deve trovare spazio anche nella nostra vita quotidiana, anche davanti a scelte meno importanti di quelle che dovette prendere il Santo, anche a fronte di situazioni meno straordinarie...
Dio è Amore, Dio è Verità...Dio, il Dio fattoSi Carne è anche VIA. (cfr Gv 14,6)
SeguirLo è seguire la Sua Strada fatta di Amore e di Verità, di Giustizia e di Carità.

Premesso che il caso di San Giuseppe è unico, perchè Maria era ovviamente senza peccato, applicare la "metodologia" giuseppina nella nostra realtà, significa che  vivere secondo la Legge di Dio non è "turarsi gli occhi" davanti agli sbagli degli altri.
Il Santo Vangelo stesso ci esorta, ad esempio, a correggere i fratelli in errore.
Tuttavia, nell'indicarci questa massima, Cristo ci insegna il "come" ammonire: prima in un a tu per tu con chi ha sbagliato, poi conducendolo davanti ad alcuni testimoni, successivamente davanti all'assemblea, infine, se non accetta la correzione, considerandolo come "un pagano e un pubblicano" (cfr Mt 18,15-18).

Non è un caso che il paragrafo di questo capitolo di San Matteo si intitoli "correzione fraterna".
Senza amore, senza misericordia, nessuna correzione sarebbe vera: la animerebbe uno spirito farisaico di superiorità e se ne perderebbe la parte migliore.
Diventerebbe quell'imporre agli altri il pesante fardello, senza muoverlo con un dito.  (cfr Mt 23,4).

San Giuseppe ci insegni, allora, l'arte del giusto equilibrio fra amore verso Dio, carità verso i fratelli e verità.
Imploriamo anche l'aiuto di Maria Santissima, che di certo accompagnò con la sua ardente preghiera proprio San Giuseppe, nel momento di difficile discernimento allorché si accorse dello stato di gravidanza della sua promessa Sposa.
Solo un'orazione costante, un colloquio perenne col Signore possono renderci capaci di non rispondere con superbia o "correzionismi" all'errore del fratello.
Solo la preghiera ci fa capaci di un ammonimento che ha finalità di riconciliazione fra noi e con Dio.



mercoledì 13 marzo 2013

HABEMUS PAPAM!



Ringraziamo il Signore per il dono del nostro nuovo Pastore, che accompagniamo con umile preghiera, "obbedienza e riverenza".





Annuntio vobis gaudium magnum;

habemus Papam:


Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,

Dominum Georgium Marium

Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem

Bergoglio

qui sibi nomen imposuit Franciscum







Benedizione Apostolica "Urbi et Orbi":

Fratelli e sorelle, buonasera!

Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma.
Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.

[Recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria al Padre]

E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!

E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.


Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.



Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!



lunedì 11 marzo 2013

IN UNIONE CON BENEDETTO XVI- Omelia del Cardinale Ratzinger nelle "giornate liturgiche"




In unione -non solo di preghiera!- con il nostro amato Benedetto XVI, propongo un testo di grande spessore spirituale, un'omelia tenuta dall'allora Card. Ratzinger presso l'Abbazia di Notre Dame di Fongombault, in occasione delle "Giornate liturgiche".

I testi sono stati pubblicati dalla casa editrice "Nova Millenium Romae".

Buona lettura




LA QUESTIONE LITURGICA

ATTI DELLE “GIORNATE LITURGICHE DI FONTGOMBAULT” 22-24 luglio 2001

Con il Cardinale Joseph Ratzinger – Benedetto XVI









MARIA E MARTA

Omelia di sua eminenza il cardinale Josef Ratzinger  

prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede





Cari fratelli e sorelle,

San Luca lega i due Vangeli, il Vangelo di domenica passata sul buon samaritano  e il Vangelo di oggi su Maria e Marta con la piccola parola greca ”poréuestai”,  essere in cammino”.


Il Vangelo del buon Samaritano finisce con la parola ”va!”: è la stessa cosa.


Il Vangelo di oggi su Maria e Marta inizia con la parola: "Gesu stava andando verso Gerusalemme”. E dunque, questi due Vangeli sono legati dall'idea dell'essere in cammino." 

E noi ci ricordiamo della grande Visione di San Luca secondo la quale tutta la vita pubblica del Signore era di essere in cammino, in marcia verso Gerusalemme, verso il mistero pasquale, il mistero redentore della Croce e della Risurrezione.

E in questo cammino, Gesù cerca il nostro amore, la nostra disponibilità, il nostro ascolto, e ci prepara per il mistero della sua presenza, il dono della sua vita.
E dopo Pasqua, ecco ancora la medesima cosa, il Vangelo ci dice: ”Gesù vi precede in Galilea”. Egli è ancora in cammino verso la Galilea, la Galilea del mondo nel quale noi dobbiamo annunciare ora - con lui, grazie a lui - il regno di Dio, preparare il mondo per la sua presenza.

In questo senso, il Signore che ci precede in Galilea è con noi in cammino verso la nuova Gerusalemme, la Gerusalemme celeste, il Cielo. E dunque in questo legame tra ì due Vangeli, il Signore ci mostra anche le diverse dimensioni dell’ amore del prossimo.



Se nel Vangelo sul samaritano appariva soprattutto l'aspetto esteriore dell'azione sociale, dell'aiuto esteriore e materiale per l'altro, nel Vangelo delle sante Maria e Marta compare un'altra dimensione, la dimensione della presenza della sua parola, la dimensione della meditazione, dell’interiorità.

 E questi due Vangeli insieme ci mostrano che l'amore del prossimo e l'amore di Dio non sono separabili, che essi devono compenetrarsi l'un l'altro, che nell'amore del prossimo ci deve essere sempre anche l'amore per Dio.
Noi dobbiamo donare all'altro non soltanto delle cose materiali, dobbiamo donargli anche Dio. Altrimenti dimentichiamo l'essenziale, ciò che è davvero necessario".

 E d'altra parte nell'amore per Dio deve essere anche presente il prossimo, perché, nel prossimo, è Gesù che viene e domanda la nostra ospitalità. Mi sembra che è un insegnamento molto importante, soprattutto per il nostro tempo.
Perché dopo il Concilio, si è diffusa l'idea che lo sviluppo sociale sarebbe il contenuto del Vangelo, che bisognerebbe fare soprattutto delle cose esteriori, materiali, e che dopo questo si potrebbe forse avere ancora tempo per Dio...


E ne vediamo le conseguenze: anche dei missionari non hanno avuto più il coraggio di annunziare il Vangelo.
Hanno pensato che il loro dovere ora era quello di contribuire allo sviluppo dei paesi sottosviluppati.
Si è dimenticato Dio, e le conseguenze sono terribili: c'è una distruzione dei fondamenti morali di queste società.
Non c'è un nuovo sviluppo verso il meglio.
Nelle grandi epidemie, sono ben visibili le conseguenze di questo oblio dell'Essenziale, del Necessario, di Dio. Un amore del prossimo che dimentica Dio, dimentica l’Essenziale.


Ma torniamo ora al Vangelo di oggi su Maria e Marta.

Ad un primo sguardo, sembra come una istruzione semplicemente umana sulle dimensioni essenziali della vera ospitalità.

Il Signore ci dice: per una vera ospitalità umana non è sufficiente donare il nutrimento, le cose esteriori.
Il vero ospite dona di più, deve donare soprattutto il suo tempo all'altro, essere aperto all'altro, donare un po’ di se stesso, essere all'ascolto dell'altro per poter rispondere ai suoi bisogni. 

Ma in questo insegnamento, a prima vista puramente umano, il quale ci dice che, anche in una ospitalità semplicemente umana, è necessario non dare solamente delle cose esteriori, vediamo brillare dentro di noi una realtà più profonda: la necessità di essere aperti soprattutto all’Essenziale, alla presenza di Dio il quale, nella sua parola, ci dona se stesso.

Ed in questo insegnamento sulla necessità di essere aperti al Signore, di essere ai piedi del Signore per entrare in comunione con lui, il Signore parla anche alla Chiesa di oggi.


Perché gli stessi problemi, diciamo della giusta proporzione tra Maria e Marta, esistono soprattutto in particolare anche oggi nella Chiesa.
Noi facciamo realmente il servizio di Marta. Si fanno tante cose esteriori: ci sono riunioni, commissioni, sinodi, discussioni, decisioni, documenti in abbondanza, ci sono programmazioni pastorali, e tutte queste cose, - si, si fanno molte cose... 

Ma forse in questa attività  permanente di Marta, che vuole preparare tutte le cose per il successo dell'azione pastorale, si dimentica troppo la dimensione di Maria, si dimentica che questa vera disponibilità per il Signore, per il suo regno esige molto di più che soltanto delle azioni esteriori, si dimentica che essa esige soprattutto la nostra disponibilità ad essere ai piedi del Signore, nella meditazione, nell’ ascolto della sua parola, nella’ quale Egli dona se stesso.



In una lettera di S. Teresa di Lisieux a sua sorella Celina c’è un bellissimo brano su questa situazione della Chiesa.
Interpretando le figure di Maria e Marta, Santa Teresa dice: “Quando Maria versa il profumo prezioso sulla testa del Signore, gli Apostoli mormorano”; e continua: “accade la stessa cosa oggi: i cristiani più ferventi, i preti e i vescovi pensano che noi esageriamo, che noi dovremmo servire oggi il Signore come Marta, e non consacrarci al Signore, consolare il Signore. Ma comunque, dai vasi in frantumi delle nostre vite proviene il profumo prezioso che purifica l'aria avvelenata di questo mondo”
(19 agosto 1894).


Questa affermazione –il profumo che purifica l’aria inquinata  di questo mondo, viene dai vasi in frantumi delle vite, da questa dimensione di Maria, - non è soltanto una profondissima teologia della vita contemplativa e della vita della Chiesa in generale, mi sembra che essa è anche una vera e profonda teologia della liturgia.
Certamente nella liturgia noi dobbiamo anche fare il servizio di Santa Marta, dobbiamo offrire al Signore l’ambiente sacro, offrire la nostra preparazione, preparare bene le cerimonie e il canto, offrire i doni di questo mondo, il pane e il vino, tutto questo è molto necessario ed è ugualmente necessario farlo bene. 

Ma comunque, se nella liturgia non c'è anche la dimensione di Maria, la dimensione contemplativa, di stare semplicemente seduti ai piedi del Signore, manca l’essenziale; e d'altra parte, se la liturgia è davvero, in questo senso, ”mariale”, cioè’ se essa ripete il gesto di Maria di stare ai piedi del Signore per ascoltare la sua parola, per ricevere il dono di lui stesso, se la liturgia è veramente contemplativa, allora è veramente il gesto dal quale viene la purificazione dell'aria inquinata di questo mondo; e io penso che soltanto da una liturgia realmente “mariale” può venire la purificazione dell'aria avvelenata,del mondo di oggi.


In questo senso, sia nella prima lettura di oggi, sull'apparizione della Trinità ad Abramo, sia nel Vangelo, io trovo una profondissima visione della liturgia con le sue due dimensioni: nella Genesi, è Abramo che offre la sua ospitalità con generosità al Signore, alla Trinità.
Offre il vitello, il pane, il formaggio, lava i piedi degli ospiti, dona del suo, ma alla fine, è il Signore che dona l'unico necessario, l'essenziale, gli dona il figlio con il figlio l'avvenire, la speranza, la vita.
E la stessa cosa nel Vangelo: Marta offre delle cose buone al Signore, offre i doni della sua casa, e Maria offre il suo ascolto, la sua disponibilità profonda, e alla fine, è il Signore che non dona soltanto la sua parola, ma che dona se stesso.

E qui sta l'essenziale della liturgia: noi offriamo  o nostri poveri doni e riceviamo dalle mani del Signore il Dono, il Necessario, il Suo Corpo e il suo Sangue; e nel suo Corpo e nel suo Sangue, la vita eterna, il regno di Dio, la Redenzione. Preghiamo il Signore che ci aiuti, che aiuti la Chiesa a ben celebrare la liturgia, ad essere davvero ai piedi del Signore, a ricevere il dono della vita vera, della realtà essenziale e necessaria, per la salvezza di tutti, per la salvezza del mondo.

Amen.