sabato 30 aprile 2011

Domani si celebrerà la festa della Divina Misericordia....


La giornata di domani viene, anche giustamente, associata da molti alla beatificazione di Papa Giovanni Paolo II.
Ma la data che è stata scelta non è casuale, ma ricorda e sottolinea la grande devozione di questo Pontefice per una festa che lui stesso istituì, in base a quanto richiesto da Nostro Signore a Santa Faustina Kowalska: la FESTA DELLA DIVINA MISERICORDIA.

(Roma- Chiesa di Santo Spirito in Sassia, nella quale si cura
in modo particolare il culto alla Divina Misericordia. In questa Chiesa -vicinissima al Vaticano-
amava recarsi a pregare anche Giovanni Paolo II)


Il Signore così disse alla santa: "Il Mio Cuore è stracolmo di tanta Misericordia per le anime e soprattutto per i poveri peccatori.
Oh! Se riuscissero a capire che Io sono per loro il migliore dei Padri; che per loro è scaturito dal Mio Cuore Sangue ed Acqua, come da una sorgente strapiena di Misericordia; che per loro dimoro nel tabernacolo e come Re di Misericordia desidero colmare le anime di grazie, ma non vogliono accettarle.


Vieni almeno tu il più spesso possibile a prendere la grazie che essi non vogliono accettare e con ciò consolerai il Mio Cuore.



Oh! Quanto è grande l'indifferenza delle anime per tanta bontà, per tante prove d'amore!
Il mio Cuore è ripagato solo con ingratitudine e trascuratezza da parte delle anime che vivono nel mondo.

Hanno tempo per ogni cosa; per venire da Me a prendere le grazie non hanno tempo"!

Vogliamo essere le anime del mondo che non hanno tempo per Dio, o quelle ""che vivono nel mondo, che amano sinceramente" il Signore e delle quali Gesù disse a Santa Faustina: "dimoro nei loro cuori con delizia. Ma non sono molte" ?

Curare il culto alla Divina Misericordia, splendido attributo di Dio, non richiede necessariamente un grande lasso di tempo.
Gesù stesso, a Santa Faustina, chiese di prestare particolare attenzione a quella che Lui definì L'ORA DELLA MISERICORDIA DIVINA:
"Ogni volta che senti l’orologio battere le tre, ricordati di immergerti tutta nella Mia Misericordia, adorandola ed esaltandola ; invoca la sua onnipotenza per il mondo intero e specialmente per i poveri peccatori, poiché fu in quell’ora che venne spalancata per ogni anima. 
Figlia Mia, in quell’ora cerca di fare la Via Crucis, se i tuoi impegni lo permettono, e se non puoi fare la Via Crucis, entra almeno per un momento in cappella ed onora il Mio Cuore che nel SS.mo Sacramento è pieno di Misericordia. E se non puoi andare in cappella, raccogliti in preghiera almeno per un breve momento là dove ti trovi ".

Le possibilità di "immergerci" nella Passione del Signore e nella Sua Misericordia (che proprio nella Croce si è manifestata al culmine dello splendore d'Amore), sono tante:
la Via Crucis, come Gesù stesso chiedeva a Santa Faustina, oppure la recita della Coroncina della Divina Misericordia, o, ancora, una semplice giaculatoria che è molto semplice da imparare a memoria, per poterla recitare dovunque ci troviamo:

"O Sangue e Acqua che sgorgasti dal costato di Gesù come sorgente di Misericordia per noi, confido e spero in te"!

Buon fine settimana a tutti e ricordiamoci, se lo abbiamo in casa, di esporre domani il quadro di Gesù della Misericordia, come da Lui espressamente richiesto per il giorno della Sua festa!

Per conoscere meglio la Chiesa di Santo Spirito in Sassia, potete visitarne il sito web, contenente anche moltissime informazioni e preghiere alla Divina Misericordia, con estratti dal diario di Santa Faustina Kowalska.

domenica 24 aprile 2011

DIO CI DONO' IL FIGLIO SUO PER PURO AMORE....CON IMMENSO AMORE! Buona Pasqua!

(Raffaello- Risurrezione)

"Perché Dio ci ha donato il Figlio?

Soltanto per amore.
Pilato consegnò Gesù ai Giudei per timore umano.

Ma l'eterno Padre ci diede il Figlio suo per amore.

San Tommaso afferma che l'amore ha il carattere di primo dono.
Quando ci viene fatto un dono, riceviamo anzitutto l'amore che il donatore manifesta attraverso il dono.
Infatti, osserva l'Angelico, l'unica ragione di ogni dono gratuito è l'amore.
Se si fa un dono per un fine diverso dal puro affetto, il dono perde la caratteristica di vero dono.

Il dono di Gesù, che ci fece l'eterno Padre, fu vero dono, del tutto gratuito e senza alcun nostro merito.

Infatti è detto (nel Credo) che l'incarnazione del verbo è avvenuta per opera dello Spirito Santo, cioè per solo amore, come osserva il medesimo santo Dottore:
L'incarnazione del Figlio di Dio deriva dal sommo amore di Dio.

Dio ci donò il Figlio suo non solo per puro amore, ma anche con immenso amore.

Questo significano le parole di Gesù: Dio ha tanto amato il mondo.
Scrive san Giovanni Crisostomo: Queste parole significano la grandezza e l'intensità dell'amore con il quale Dio ci fece questo grande dono.
Condannando alla morte il Figlio innocente, per salvare noi miseri peccatori, Dio non poteva mostrarci un amore più grande.
Se l'eterno Padre fosse stato capace di soffrire, quale sofferenza non avrebbe provata nel vedersi costretto dalla sua giustizia a condannare quel Figlio, che amava come se stesso, a morire con una morte così crudele, tra tante ignominie!
Egli volle farlo morire consumato dai dolori, dice Isaia.
Immaginate dunque di vedere l'eterno padre con Gesù morto tra le braccia, il quale ci dica: Uomini, questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.
Ecco come ho voluto vederlo maltrattato per le vostre scelleratezze.
Ecco come l'ho condannato a morte sulla croce, afflitto e abbandonato perfino da me, che tanto lo amo. 
Tutto ciò l'ho fatto perché voi mi amiate".

(Sant'Alfonso Maria de Liguori)

Ringraziamo, non solo quest'oggi, ma a partire da oggi, l'Eterno Padre per il dono del Figlio Suo, morto e risorto per noi al fine di acquistarci la salvezza eterna, riscattandoci dal peccato.
Ed offriamo a Lui tutti i meriti e le sofferenze di questo Figlio "obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce", per la salvezza del mondo intero, come facciamo espressamente nella coroncina della Divina Misericordia, che stiamo recitando nella novena in corso:

Eterno Padre,
io ti offro il Corpo e il Sangue,
l'anima e la divinità 
di Nostro Signore Gesù Cristo,
in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.

BUONA PASQUA A VOI TUTTI!

sabato 23 aprile 2011

STABAT MATER DOLOROSA....adesso e nell'ora della nostra morte, una Madre ci attende e veglia su di noi!




(particolare della Madonna Addolorata-
Oratorio del Santissimo Sacramento al Trifone-Roma)

Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius. 

Quando corpus moriétur,
fac, ut ánimae donétur
paradísi glória. Amen.

Lo Stabat Mater è normalmente la preghiera che si recita in occasione della festa di Maria Ss. Addolorata, ma poiché ci rammenta le acute sofferenze di una Madre dinanzi al Figlio morente, quale preghiera migliore per ricordare, quest'oggi, l'incomparabile dolore che le trafisse il cuore?

"La Madre addolorata stava in lacrime presso la Croce, su cui pendeva il Figlio": così Maria Santissima ci viene rappresentata da questa preghiera (attribuita a Jacopone da Todi, vissuto a cavallo fra il XIII e il XIV secolo) e bene la possiamo immaginare afflitta oltre ogni misura per le immani sofferenze del Figlio: pensiamo ad una Madre che aspetta, aspetta, aspetta, senza poter far nulla....e vede il frutto del suo grembo morire fra atroci sofferenze, disprezzato e calunniato dagli uomini....
Quanta crudeltà in questo: il Figlio di Dio è stato letteralmente "appeso" ad un croce, da cui pende, trattenuto dai chiodi conficcati nei polsi e sui piedi.
Le Sue braccia si distendono sempre di più, irrigidendosi, il respiro diventa difficile, affannoso, Gesù, nudo sulla Croce, nell'agonia della morte, sente freddo...
La Madre, ai piedi di quel legno, con il cuore partecipa intimamente a quelle sofferenze: le vive quasi in simbiosi, come accade a chiunque di noi, quando soffriamo per qualcuno a noi caro che patisca grandi pene.


In tutto questo, però, rimane una speranza, quella speranza che ieri, nell' 0melia del Venerdì Santo, Padre Raniero Cantalamessa ha definito una "perla" che è "in fondo al calice amaro della Passione: la Risurrezione"!

Nello Stabat Mater, che prosegue -dopo la prima strofa- con una richiesta del fedele ad essere ammesso a "partecipare" al dolore di Maria Santissima e ad essere fortificato dalla Croce, le ultime parole sono di grande conforto anche per ciascuno di noi:

E quando il mio corpo morirà
fa che all'anima sia data
la gloria del Paradiso. Amen

Invochiamo la Madre di tutte le Madri, affinché ci spalanchi le porte del Paradiso, invochiamo colei che è la "Porta del Cielo" (come ci ricordano le litanie lauretane) affinché ci accompagni nell'ultimo viaggio da questa terra all'Eternità.
Ma quella Madre che ha vegliato sotto la Croce, veglia e attende sempre sul nostro cammino: è "Mater dolorosa" anche per ciascuno di noi e con noi soffre, spera, gioisce!
A lei fu detto, da Gesù morente: "Donna, ecco tuo figlio".
Ed in San Giovanni, che le veniva indicato come tale, è rappresentata l'umanità intera.
Di lui si dice: "Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa".
Allora, prendiamo anche noi, nelle nostre case, Maria Santissima, per realizzare quello che ci viene detto nell'Ave Maria:

"Prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen"

Questa buona Madre è sempre con noi, anche quando non ce ne ricordiamo, ma possiamo tramutare le sue lacrime di dolore in gioia, quando seguiamo fedelmente e con fiducia la Parola del Figlio suo; quando accettiamo la personale sofferenza con spirito realmente cristiano, di rassegnazione e di speranza; quando sappiamo, come San Paolo ci ricorda, che in noi si completa ciò che manca ai patimenti di Cristo.
Non siamo soli nel nostro soffrire quotidiano, c'è sempre con noi la Vergine Maria, che pur fra le lacrime, rimane sorretta dalla fede incrollabile nella Risurrezione.

Che la Santa Pasqua sia per ciascuno di noi il momento in cui diciamo anche noi "si" al calice amaro che a nessuno è risparmiato, sapendo che anche Nostro Signore lo ha bevuto, e che in fondo ad esso, vi è la perla della Risurrezione.

Buon Sabato Santo e buona Pasqua a tutti!

martedì 19 aprile 2011

AUGURI, SANTO PADRE! Sei anni di pontificato di Benedetto XVI



Oremus pro Pontifice nostro Benedicto. 
Dominus conservet eum,
 et vivificet eum,
 et beatum faciat eum in terra, 
et non tradat eum in animam inimicorum eius.

lunedì 18 aprile 2011

Settimana Santa: Stendiamoci ai piedi di Gesù come tuniche nuove....

(Benedizione delle palme- Basilica di Santa Maria Maggiore)

"Stendiamoci ai piedi di Gesù come tuniche nuove"
(Card. Law, omelia della Domenica delle Palme in Santa Maria Maggiore)


"I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 
La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 
La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?».
 E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea»".

(Liturgia della Domenica delle Palme)


Il  Vangelo di ieri introduce nella Settimana Santa ricordando l'ingresso trionfale di Nostro Signore in Gerusalemme, l'acclamazione del popolo e  l'entusiasmo dei discepoli.
Entusiasmo ed acclamazione festosa che vengono poi tragicamente "contraddetti" dal rinnegamento di Pietro, dalla fuga dei discepoli stessi, dalla cattura ed uccisione di Gesù.
Quel "Figlio dell'Uomo" osannato come un re, viene barbaramente catturato ed ucciso, appeso a quella Croce simbolo di ignominia come mai si era visto nella storia dell'umanità.

Questo contrasto fra l'ingresso trionfale in Gerusalemme e la fine "apparentemente" ingloriosa di Gesù,  riguarda anche il nostro modo di accogliere il Signore nella propria vita: spesso siamo presi, all'inizio della nostra consapevole esperienza di fede, dalla gioia di essere cristiani cattolici, ma le prime difficoltà, le prime richieste di un Dio "esigente" che ci chiede fedeltà in molte (in tutte!) le occasioni, a volte ci spaventano e ci fanno scappare come i discepoli, ci rendono rinnegatori come Pietro, crocifissori come i carnefici di Gesù.

Quei mantelli nuovi che avevamo steso, come la folla all'ingresso in Gerusalemme, vengono tolti dal nostro cammino, e ci rivestiamo dell'uomo vecchio, lasciandoci trascinare da forze contrarie a quelle della fede, della fedeltà, della fiducia.

Nell'omelia di ieri in Santa Maria Maggiore, il Card. Law ha concluso così il suo sermone: "Gettiamoci ai piedi di Gesù come tuniche nuove".
Lasciamo cioè cadere le nostre debolezze umane, consegnandole a Gesù, spogliamoci dell'uomo vecchio (come Gesù spogliò se stesso-ce lo ricorda l'epistola di San Paolo, seconda lettura di ieri-), e facciamoci mantelli nuovi, che si vogliono rendere esclusivamente dono ad un Dio amore e misericordia, incarnatosi e morto per noi.
La tunica è ciò che ci riveste e se ci facciamo "attraversare" (camminare sopra) da Gesù, allora saremo in grado di rivestirci a nuovo, non più delle nostre fragilità, ma della forza del Verbo Incarnato; non più delle nostre sofferenze, ma della sopportazione per Amore di Cristo Crocifisso; non più della nostra incredulità, ma della Fede oltre ogni limite umano che ci ha insegnato Nostro Signore.

Non solo, ma farci mantello ai piedi di Gesù, significa anche riconoscerne l'assoluta sovranità e signoria, come ci ricorda anche il Papa nel suo ultimo libo, Gesù di Nazareth:

"Anche lo stendere i mantelli ha una sua tradizione nella regalità di Israele (cfr 2 Re 9,13).
Ciò che i discepoli fanno è un gesto di intronizzazione nella tradizione della regalità davidica e così nella speranza messianica, che da questa tradizione si è sviluppata.
I pellegrini, che insieme a Gesù sono venuti a Gerusalemme, si lasciano contagiare dall'entusiasmo dei discepoli; stendono ora i loro mantelli sulla strada sulla quale Egli avanza.
Tagliano i rami dagli alberi e gridano le parole del Salmo 118- parole di preghiera nella liturgia dei pellegrini di Israele- che sulle loro labbra diventano una proclamazione messianica: Osanna! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! ".

Ci dice sempre il Papa: "Gesù rivendica, di fatto, un diritto regale.
Vuole che si comprenda il suo cammino e il suo agire in base alle promesse dell'Antico Testamento, che in Lui diventano realtà".

Gesù vuole che noi, oggi, adesso, a partire da questo momento, riconosciamo il suo essere Signore e Re (San Paolo ci ha detto: "Perché ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre"!) e che ponendoLo come Centro e Fine della nostra esistenza, camminiamo sulla Sua Vita, che spesso non è strada facile, ma Calvario, sofferenza fisica e spirituale, abbandono, incomprensione.
Ma ricordandoci che se abbiamo Lui abbiamo TUTTO e che la Sua è una PROMESSA DI VITA ETERNA, allora potremo, come ci ha ricordato ieri il profeta Isaia, dire anche noi:

"Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso".


Buona settimana Santa a tutti voi, ricordiamoci reciprocamente nella preghiera!

venerdì 8 aprile 2011

VIA CRUCIS CARMELITANA




Possibile che ogni qualvolta noi torniamo ad offendervi,
la debba sempre pagare questo innocentissimo Agnello?
(Santa Teresa di Gesù, Cammino di Perfezione, 3)

Le Carmelitane Scalze di Parma ci offrono una bellissima Via Crucis, collegatevi al loro sito, per leggerla e soprattutto per pregare e meditare sulla Passione di Nostro Signore!

mercoledì 6 aprile 2011

CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA': Fede + Speranza= Carità!


"Gli rispose uno della folla: Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.
Egli allora in risposta, disse loro: portatelo da me.
Gesù interrogò il padre: Da quanto tempo gli accade questo?
Ed egli rispose: dall'infanzia, anzi, spesso lo ha buttato persino  nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo.
 Ma se tu puoi quacosa, abbi pietà di noi e aiutaci.

Gesù gli disse: SE TU PUOI! TUTTO E POSSIBILE PER CHI CREDE.

Il padre del fanciulle disse ad alta voce:
 CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA' "

(Mc 9 17; 21-25)



Il miracolo dell'epilettico indemoniato, guarito da Gesù, è uno dei passi del Vangelo che meglio ci aiuta  a comprendere la dinamica "umana" (e non solo) delle virtù teologali, ossia FEDE, SPERANZA, CARITA'.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: "Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in colui che Egli ha mandato. 
La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa.
E' impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo.
Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano.
Non è contrario né alla libertà né all'intelligenza dell'uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate.
Nella fede, l'intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina: credere è un atto nell'intelletto che sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina."


Nel brano evangelico raccontato da Marco, la fede compare, inizialmente, nel gesto dell'uomo che, di propria iniziativa, decide di portare da Gesù il figlio posseduto dal demonio, perché ritiene che Lui possa aiutarlo, liberandolo dalla presenza demoniaca.
In questo gesto, il padre risponde all'opera della grazia, che agisce in lui, utilizzando anche la "volontà" e questo elemento apparirà ancora meglio dalle parole di Gesù e dal successivo modo di agire (a parole e a fatti) dell'uomo.

Dice sempre il CCC: "il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale.
Noi crediamo per l'autorità di Dio stesso che le rivela, nondimeno, perché l'ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua Rivelazione".

Segni certi: fra di essi rientrano anche i miracoli!

Ritoniamo alle parole del padre dell'indemonianto: CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA'.
Dal primo "passo", che è quello della fede ("Credo"), ci si porta su quello della speranza, che viene "mascherata" a prima vista in maniera contradditotoria, dall'incredulità manifestata dall'uomo.
Ma cerchiamo di capire meglio questa incredulità: essa non è un' espressione di dubbio nella potenza di Dio, che metterebbe in discussione la fede manifestata nella parola CREDO (e diventerebbe in quel caso, un peccato), è invece interpretabile come un segno della naturale fragilità umana, dell'impotenza dell'a creatura, che non può, con la scienza, o con le tecniche di cui dispone, ottenere tutto quello che vorrebbe.
Se l'uomo prende coscienza di questo, la sua "incredulità" non è un dubbio contro la fede o contro la speranza ma un'ammissione della propria impotenza umana, sebbene espressa con terminologia non del tutto corretta.
Non solo, ma la parola "incredulità", in questo contesto, la si potrebbe interpretare come un'ammissione della nostra sempre "poca" fede, poca in confronto all'immenso amore di Dio!

Solo Dio, in certi casi, può operare, eppure, l'uomo, se ha fede, ha anche quella speranza che gli fa dire: so che io non posso niente in questa circostanza, so che non posso risolvere da solo il problema, so che umanamente è impossibile che si realizzi quanto io desidero, ma CREDO CHE TU POSSA FARE TUTTO QUESTO!
Insomma, siamo alla "speranza contro ogni speranza" che caratterizzò Abrano, siamo alla stessa speranza "che non delude perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori" di cui scrive San Paolo.

Nel brano evangelico, il passaggio dalla fede alla speranza, è sottolineato anche dalla risposta che Gesù stesso offre all'uomo: "Se tu puoi! Tutto è posibile per chi crede"!
Potremmo dire che questa affermazione sia la naturale e meravigliosa conseguenza del libero arbitrio, per cui anche Dio, che è Onnipotente, decide di intervenire, sempre e comunque secondo il Suo disegno di Provvidenza e di salvezza, nella misura in cui l'uomo stesso Lo invochi e creda in Lui.

C'è quasi come un passaggio di staffetta da Dio stesso all'uomo: Dio ci dona la grazia che ci aiuta ad accogliere la fede, che, come leggiamo nel "Vademecum di Teologia morale" di Padre Gerardo Cappellutti o.p. "è una virtù soprannaturale che ci dispone, con l'aiuto della grazia, ad ammettere fermamente per vero tutto ciò che Dio ha rivelato, per l'autoridità di Dio rivelante", ma poi, dalla fede dobbiamo passare alla speranza, che in un certo senso, rende "autentica" la nostra professione di fede, la attualizza!

Se io dicessi di credere che Dio sia il celeste medico non solo dell'anima, ma anche del corpo, e poi non Lo invocassi per ottenere la mia guarigione da qualche male, o quello di una persona che mi sta a cuore,  e mi disinteressassi completamente di questo tipo di preghiera, come manifesterei la mia speranza?
La mia professione di fede sarebbe solo un atto....a parole, ma non darei testimonianza effettiva della mia FIDUCIA nell'Onnipotente!

E' sempre nel Vademecum di Teologia Morale che leggiamo: "la speranza è la virtù infusa teologale che fa desiderare il pieno possesso di Dio, Sommo Bene, e confidare di ottenere dalla sua potenza ineusaribile e liberale i soccorsi necessari per conseguire secondo le sue promesse".
Fra questi mezzi, vi potrebbe anche essere una grazia di guarigione fisica, se rientrasse nell'ottica della salvezza eterna predisposta per alcuni di noi: essa potrebbe servire come segno della potenza divina a noi, o ad altri; potrebbe essere un segno della Miseroicordia e dell'amore di Dio, potrebbe diventare uno strumento affinché, riottenendo salute, la persona si ponesse generosamente e con maggior vigore, al servizio del Signore.
Il Vangelo è pieno di questi "esempi" e luoghi come Lourdes, ce lo dimostrano ancora ai nostri giorni!

In questo passaggio per "tappe" dalla fede alla speranza, la ragione non viene meno, ma, com come spiega anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, proprio ammettendo il limite della ragione umana, in determinati casi, è possibile lasciare aperta la porta della fede e quella della speranza, riconoscendo l'esistenza di una Ragione Superiore, che può intervenire dove all'uomo non rimanga alcuna via di uscita.
Questo non è svilimento dell'essere umano, ma umiltà, di fronte alla grandezza di Dio, e capacità di contempoerare fede e ragione, come le ali che servono agli uccelli per volare, secondo un insegnamento di Papa Giovanni Paolo II.
(Nella sua lettera enciclica "Fides et Ratio" leggiamo: "La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità")

La conseguenza di questa fede, è, come dice il CCC: "Fidarsi di Dio in ogni circostanza, anche nell'avversità".

Fede e speranza, tuttavia, non sono pienamente "complete" in noi, finché rimaniamo avvolti nel buio della...paura o del timore, cioè fin quando non professiamo apertamente ciò in cui crediamo e speriamo.
Lo stesso Vangelo ci rammenta le parole di Gesù: "non c'è niente di nascosto che non debba essere rivelato".
Se noi crediamo e speriamo, ma non diamo "voce" pubblica a questi nostre virtù, siamo come una candela spenta oppure nascosta, mentre Gesù desidera che noi diventiamo una luce accesa e ben visibile, che illumini anche altre persone.

Ecco perché, nel passo evangelico che stiamo meditando, il padre dell'indemoniato risponde "a voce alta": egli mette in evidenza come il suo credere non sia solo un "pro forma" a parola, ma coinvolga la sua intera persona e la sua esistenza, tanto da dirlo apertamente, davanti a tutti coloro che lo ascoltano.
E sappiamo che fra di essi, a quei tempi, ci potevano essere (anzi, ci saranno stati di sicuro anche in quel momento) i detrattori di Gesù, i farisei e quanti, più tardi, lo avrebbero chiesto a Pilato, in cambio di Barabba!

Anche noi, in molte occasioni, abbiamo paura o timore nell'esternare la nostra fede e la nostra speranza perché pensiamo e ci curiamo troppo delle eventuali derisioni che ci potrebbero arrivare anche da persone a noi vicine.
In altre circostanze, abbiamo paura non tanto di dire che siamo cattolici, ma di dimostrare a parole e coi fatti, la "speranza contro ogni speranza", perché impauriti dall'atteggiamento di chi cerca di coniugare la fade con la "falsa ragione", ossia, di chi crede, ma non ritiene che Dio possa veramente inervenire oltre la scienza umana.

Non è invece questo quello che ci chiede Gesù: Lui vuole da noi un atto di autentica fede e di autentica speranza, perché solo da essi può scaturire la VERA CARITA'!

La carità, ci dice il Vademecum: "è la virtù teologale per eccellenza, che inclina la volontà umana non solo ad amare Dio sopra ogni altro bene e il prossimo per lui; ma inoltre ad amarlo come egli ama se stesso, partecipando al suo stesso Amore incarnato".
Da questo amore, nasce "l'amore di amicizia che fa godere della sua stessa beatitudine e si svolge in tre gradi: nel primo l'amore si rassegna alla volontà di Dio; nel secondo si conforma alla medesima; nel terzo si uniforma, in quanto l'unione si fa sempre più intima fino a raggiungere la fusione perfetta, che è appunto la santità".

Come applicare questo terzo passaggio al brano evangelico narrato da San Marco?
Se ci soffermiamo a riflettere, è facile intuire immediatamente che l'agire del padre, che conduce il proprio figlio da Gesù, scaturisce proprio dall'amore, dalla "carità": il padre ama il  figlio e lo vuole vedere guarito, per questo ricorre a Gesù!
Sappiamo bene quanto, nella Bibbia intera e a maggior ragione nei Vangeli, la figura del rapporto Padre -Figlio sia simbolo dell'amore misericordioso e a maggior ragione possiamo intenderlo qui come raffigurazione concreta della carità che deve scaturire in noi dalla fede e dalla speranza.
Infatti,  "il credente deve amare il prossimo per due ragioni fondamentali; perché il prossimo ha in comune con lui la natura umana, con quanto di grande e degno essa comporta; secondo perché il prossimo è elevato all'ordine della grazia, ossia a quello stesso della naura e della vita di Dio.

La gerarchia della carità ha quindi l'ordine seguente: 
  • amore dell'anima propria,
  • amore dell'anima e del corpo altrui,
  • amore del proprio corpo".


E' dunque carità 
  • non solo pregare per noi stessi, 
  • ma è anche dovere di carità pregare per gli altri, condurre a Dio i loro bisogni, proprio come fa il padre che porta a Gesù il figlio indemoniato; 
  • è dovere di carità, frutto di fede e speranza, anche l'apostolato della parola, che spinga gli altri a sperare contro ogni speranza,,fiduciosi nell'Amore Misericordioso ed onnipotente di Dio.


D'altronde, nelle "sette opere di misericordia", non vi è anche quella di consolare gli afflitti? E non potremmo intendere anche come un offrire una parola di conforto, di speranza contro ogni possibilità puramente umana????
La carità è preghiera, è parola, è azione.
Tutto dipende dalle circostanze, ma ciascuna di queste categorie di opere caritetevoli, rientra nel pensiero di San Giacomo, che dice che la fede non possa esistere senza carità, senza opere (di parola, pensiero, azione o preghiera che siano!) perché altrimenti, essa sarebbe come morta!
"Mostrami la tua fede senza le opere, ed io, con le opere, ti mostrerò la mia fede". (Gc 2 18)

Che il Signore ci aiuti a dire a voce alta: "CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA' " per essere testimonianza vivente del fatto che la fede e la speranza, producono frutti di carità in noi e ci rendono sale della terra.

sabato 2 aprile 2011

FESTA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA


O Dio, con la vita povera di Cristo,
 ci hai voluto arricchire dei beni 
celesti: 
concedici che, sull'esempio del nostro protettore san Francesco, 
possiamo vivere col cuore distaccato 
dai beni di quaggiù e 
rivolto sempre ai beni del tuo Regno.

AMEN




"DAL DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II  AI CITTADINI DI PAOLA
(Venerdì, 5 ottobre 1984)":


"San Francesco è stato additato al mondo come un eremita che praticava estenuanti penitenze e mortificazioni, un uomo di Dio; ma egli era anche un uomo semplice, schietto, che avvicinava i poveri, che lavorava e dava lavoro nel suo convento agli altri. 
Voi lo sentite giustamente come uno di voi, con le caratteristiche proprie di questa vostra regione: la tenacia, la laboriosità, la semplicità, l’attaccamento alla fede avita.
 Ovunque egli è stato, nelle grandi corti del tempo (a Napoli, Roma, Tours in Francia), ha portato le virtù di questo popolo ed è stato l’immagine di ciascuno di voi.
Oggi sono qui per dirvi: sappiate incarnare in voi le virtù che hanno reso grande san Francesco, in modo che con forza possiate debellare il male sociale, che agli occhi di molti talvolta oscura l’immagine di questa laboriosa regione. 
Se saprete essere tra voi aperti e sinceri, se avrete il coraggio di cancellare l’omertà, che lega tante persone in una sorta di squallida complicità dettata dalla paura, allora miglioreranno i rapporti tra le famiglie, sarà spezzata la tragica catena di vendette, tornerà a fiorire la convivenza serena, e questa generosa terra apparirà, quale essa è, la terra di san Francesco, la terra in cui fiorisce la carità e il perdono".


Per approfondire la conoscenza di San Francesco, visitate anche il sito ufficiale del Santuario di Paola ed anche questo sito, curato da alunni di una scuola calabrese e da una loro insegnante http://web.tiscalinet.it/romiovitali/index.htm

venerdì 1 aprile 2011

TRIDUO A SAN FRANCESCO DI PAOLA- Terzo giorno: la vera libertà




Il Santuario di San Francesco, a Paola (Cosenza)
O Dio, con la vita povera di Cristo,

 ci hai voluto arricchire dei beni 
celesti: 

concedici che, sull'esempio del nostro protettore san Francesco, 

possiamo vivere col cuore distaccato 
dai beni di quaggiù e 

rivolto sempre ai beni del tuo Regno.

AMEN




"In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.
Ve lo ripeto: è più facile che un cammello assi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli".
(Mt 1923-24)
"Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5, 37)


San Francesco scelse, come cardine della propria vita di fede e del proprio ordine religioso, la povertà.
Una povertà non sinonimo di trasandatezza (come abbiamo avuto modo di comprendere nel primo giorno del triduo), né di disprezzo in senso negativo delle ricchezze.
La povertà di San Francesco di Paola fu una scelta volontaria, per rendersi vicino a Gesù povero, per espiare con la penitenza, ma anche per insegnare agli altri il giusto modo di utilizzare i beni materiali ricevuti o conquistati faticosamente.
D'altronde, quello che è sbagliato nel rapporto con le ricchezze, non è il loro corretto uso, ma l'eccessivo attaccamento, che conduce l'essere umano a mettere il dio denaro al posto del Dio Amore, agendo quindi in conseguenza di questa inversione di ruoli.
Ecco perché Gesù dice che è più difficile per un ricco entrare in Paradiso, che per un cammello passare per la cruna di un ago.

Spogliato di ogni ricchezza, San Francesco seppe essere testimone coerente della LIBERTA' che viene dalla VERITA' e fu in grado di agire e parlare, in nome di questa verità, con libertà estrema e sincera anche ai ricchi e obili del suo tempo.

Ancora oggi, il suo insegnamento può essere per noi una miniera per la vita spirituale, perch* ci aiuta a comprendere come sovvertire le disordinate logiche di potere che, a volte, anche nella nostra vita prendono il sopravvento.

Ecco quello che accadde, ad esempio, quando Francesco di Paola, nel suo viaggio verso la Francia, fece tappa presso il re di Napoli, Ferrante d'Aragona.
Il re, che era ancora piuttosto scettico sulle virtù dell'eremita calabrese, tentò di farlo "cadere" in tutti i modi a lui possibili, ora con offerte di cibi, ora di preziosi suppellettili, ora di una statua d'oro massiccio della Vergine.
Escogitò infine uno stratagemma che gli pareva perfetto e adatto a farlo abboccare all'amo: offrirgli del denaro, con il vincolo di destinazione alla fondazione di un convento in Napoli.
Per far ciò, gli "fece presentare da alcuni famigliari un bel vassoio colmo di monete d'oro, da servirsene per la fabbrica.
Francesco non credette allora opportuno di pronunziarsi intorno all'affare della fondazione, ma con franca parola rifiutò recisamente quel denaro.
L'inattesa ripulsa riuscì strana per il re, il qale non seppe dissimularne il suo disappunto.
Il Santo se ne avvide, e si valse appunto di questa occasione oper proclamare al suo cospetto quelle solenni verità.
Sire, egli dice, il vostro popolo è oppresso e ammiserito da un governo, che dispiace a Dio e agli uomini.
 In tutto il regno il malcontento è vivissimo e generale, e si deve all'adulazione dei cortigiani che circondano il vostro trono, se il grido di tanti infelici non può giungere sino a voi.
Sire, ricordatevi che Dio vi ha posto lo scettro nelle mani, non per darvi comodità al mal fare, ma per offrirvi il mezzo di procurare il bene e la felicità dei vostri sudditi, con l'esercizio della giustizia e della carità.

Non pensate voi al conto strettissimo che dovrete rendere al Signore di tutte le ingiustizie, delle estorsioni e delle rapine, che i vostri ministri commettono impunemente a danno del povero popolo?

O credete forse che per i regnanti non vi sia anche l'inferno?

E che sarebbe dell'anima vostra, se in questo momento dovesse comparire dinanzi al tribunale divino?
Questo oro che mi volete offrire per fabbricare un convento ai miei frati nella capitale del vostro regno, quest'oro non è vostro: esso è sangue, che il peso di balzelli, ormai insopportabili, ha spremuto dalle vene dei vostri sudditi!
Io vi parlo, o Sire, un linguaggio che finora non avete mai udito, perché a me, vostro ultimo ma fedelissimo suddito, preme sommamente non meno il bene del popolo che la salvezza dell'anima vostra.
Ebbene, a nome di Dio, io vi torno a ripetere ciò che un'altra volta vi scrissi: se non emendate subito la vostra condotta e non migliorate il vostro governo, non passerà molto e crollerà il vostro trono, e la vostra stirpe non sarà più.
Il taumaturgo, allora, sollevando maestosamente la fronte, su cui raggiava tutta la nobiltà e la forza morale dell'anima sua, prende una moneta dal vassoio, e mentre, spezzandola senza difficoltà con le sue dita, se ne vedono stillare gocce di sangue, con voce commossa: "Ecco, esclama, il sangue dei tuoi sudditi, che grida vendetta al cospetto di Dio"!

Tanto bastò di lezione al sovrano, che finalmente comprese e promise di emendare la propria condotta.


La vera libertà, non ès olo quella che ci consente di mettere il Dio Ampre prima del dio denaro, ma anche quella che ci consente di rispondere, come Nostro Signore.
 "Date a cesare quel che è di cesare, e a Dio quel che è di Dio": ossia, riconoscete il giusto posto che spetta al Signore, nel rederGli la giusta lode.


Anche in questo, San Francesco ci offre un mirabile esempio su cui meditare: quando si trovava in Francia, morto Luigi XI che lo aveva chiamato in quella terra straniera, un giorno, il delfino di Francia venne colo fece, come al solito, mandare a chiamare nella sua cella, per poter avere un colloquio con lui.

Il Santo, che era chiuso in cella da ben 8 giorni in contemplazione, senza mangiare né ricevere alcuno, non rispose allorché venne a bussare uno dei suoi frati.
Non sentendosi alcun rumore dall'interno, il re si insospettì, e temendo che fosse capitato qualcosa al santo eremita, dandò dapprima a bussare lui stesso alla porta della cella, poi fece dare ordine di abbatterla, per potervi entrare e verificare di persona che il Santo stesse bene.
Ecco che in qul momento "fu udito il Santo tossire leggermente.
Egli era vivo, ma così profondamente immerso nella contemplazione delle verità eterne, da non patire di esserne distratto da qualsiasi persona della terra.
Carlo VIII comprese e ne fu edificato.
Rispettando la libertà del sant'Uomo non volle pià insistere e si ritirò".

Che San Francesco impetri anche a noi, la stessa libertà, che ci renda sempre meno schiavi delle logiche del denaro, del potere e del falso rispetto umano.