E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male»".
(Mc 5,25-34)
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La Parola di oggi ci porta in modo sottile ad analizzare il mistero dell'Uomo-Dio, di un Uomo vero, con i limiti fisici propri di ogni corpo, e di un Dio vero, con le infinità proprie della divinità. E ci porta anche dinanzi all'altro grande mistero (per noi uomini) di un Dio che ci vede "sempre".
Ritroviamo tutto questo nel passaggio - dal sapore quasi squisitamente cinematografico - di un Gesù che sente di essere toccato sul mantello, percepisce una forza uscita da Lui e chiede: "Chi mi ha toccato?".
Il dettaglio sembra privo di messaggi particolari, apparirebbe solo una messa in scena azionata dal Maestro per portare la donna a svelarsi apertamente dinanzi a Lui e vivere la propria fede senza timore.
Certamente è anche questo l'intento di Gesù, ma possiamo scoprire qualcos'altro, degli elementi più profondi che si annidano in ciò che accade.
- GESÙ VERO UOMO
Gesù ci dimostra con grande naturalezza la Sua Umanità: come uomo non può sapere chi è stato a toccarlo, perché, al pari di ogni creatura umana, non ha che due soli occhi, capaci di vedere solo nella direzione verso cui sono proiettati.
Questa umanità di Gesù è talmente a Lui connaturale che Egli non ha vergogna di chiedere (come avrebbe fatto chiunque altro al posto Suo!) chi sia stato a toccarlo.
La domanda suscita la risposta di stupore, a metà strada tra l'ironico e il seccato, dei suoi stessi discepoli, ma il motivo che spinge Gesù a porla ci rivela un altro dettaglio...
- GESÙ VERO DIO
Gesù ha sentito che una forza è uscita da Lui. E' una forza divina, non umana.
Così divina che ha potuto guarire all'istante l'emorroissa, una donna che aveva perdite ininterrotte di sangue da ben dodici anni e che nessun medico era stato in grado di aiutare.
In questo passaggio tra il tocco della donna e la forza che promana da Gesù ritroviamo la correlazione tra la fede e l'amore di Dio, tra la domanda dell'uomo e la risposta di Dio.
- LA FEDE E' AMORE E CHIAMA AMORE
Gesù, che opera un miracolo prima ancora di vedere, prima ancora di parlare con la donna emorroissa, vuole farci comprendere che la nostra fede è una chiamata d'amore che arriva dritta al cuore di Dio e ne ottiene risposta.
L'amore, in sostanza, chiama amore.
Dio percepisce la nostra fede come un atto fiducioso di amore e risponde con altrettanto amore, con la generosità del miracolo.
Oggi noi non possiamo guardare negli occhi il Gesù Incarnato, ma possiamo accedere, con la fede, al suo Cuore divino e in questo incontro tra i nostri cuori, tra le nostre anime (di cui gli occhi sono lo specchio!), innescare questa scintilla chiamata "amore" che genera i miracoli.
Non svalutiamo l'importanza che Dio ha voluto attribuire all'uomo: senza la fede non si ottengono miracoli! La nostra fede attrae l'amore creativo e rigenerativo di Dio, come una calamita attira il ferro. La nostra fede vera (cioè il nostro amore) diviene una forza irresistibile per il cuore innamorato del nostro Creatore. La nostra forza fiduciosa attrae la forza risanatrice.
- GESÙ VERO UOMO
Gesù ci dimostra con grande naturalezza la Sua Umanità: come uomo non può sapere chi è stato a toccarlo, perché, al pari di ogni creatura umana, non ha che due soli occhi, capaci di vedere solo nella direzione verso cui sono proiettati.
Questa umanità di Gesù è talmente a Lui connaturale che Egli non ha vergogna di chiedere (come avrebbe fatto chiunque altro al posto Suo!) chi sia stato a toccarlo.
La domanda suscita la risposta di stupore, a metà strada tra l'ironico e il seccato, dei suoi stessi discepoli, ma il motivo che spinge Gesù a porla ci rivela un altro dettaglio...
- GESÙ VERO DIO
Gesù ha sentito che una forza è uscita da Lui. E' una forza divina, non umana.
Così divina che ha potuto guarire all'istante l'emorroissa, una donna che aveva perdite ininterrotte di sangue da ben dodici anni e che nessun medico era stato in grado di aiutare.
In questo passaggio tra il tocco della donna e la forza che promana da Gesù ritroviamo la correlazione tra la fede e l'amore di Dio, tra la domanda dell'uomo e la risposta di Dio.
- LA FEDE E' AMORE E CHIAMA AMORE
Gesù, che opera un miracolo prima ancora di vedere, prima ancora di parlare con la donna emorroissa, vuole farci comprendere che la nostra fede è una chiamata d'amore che arriva dritta al cuore di Dio e ne ottiene risposta.
L'amore, in sostanza, chiama amore.
Dio percepisce la nostra fede come un atto fiducioso di amore e risponde con altrettanto amore, con la generosità del miracolo.
Oggi noi non possiamo guardare negli occhi il Gesù Incarnato, ma possiamo accedere, con la fede, al suo Cuore divino e in questo incontro tra i nostri cuori, tra le nostre anime (di cui gli occhi sono lo specchio!), innescare questa scintilla chiamata "amore" che genera i miracoli.
Non svalutiamo l'importanza che Dio ha voluto attribuire all'uomo: senza la fede non si ottengono miracoli! La nostra fede attrae l'amore creativo e rigenerativo di Dio, come una calamita attira il ferro. La nostra fede vera (cioè il nostro amore) diviene una forza irresistibile per il cuore innamorato del nostro Creatore. La nostra forza fiduciosa attrae la forza risanatrice.
- IL CORPO COME PONTE: GESÙ VERO DIO E VERO UOMO
La forza divina che promana da Gesù passa attraverso il Suo Corpo. Egli stesso la percepisce attraverso questa "cassa di risonanza" che è la Sua umanità.
Allo stesso modo, anche la donna arriva a Cristo Uomo-Dio attraverso il proprio corpo: con la mano che tocca il mantello di Gesù.
Dal momento in cui Dio ha deciso di prendere un corpo e di abitare in mezzo a noi l'umanità è diventata uno "strumento" capace di trasmettere l'amore e di riceverlo in modo totalmente nuovo, vincendo la concupiscenza della carne e facendo uso "santo" della nostra corporeità.
Penso al "miracolo" della tenerezza di un abbraccio a chi soffre;
di una madre che allatta il suo bambino;
di due sposi che si donano vicendevolmente nella mutua appartenenza matrimoniale;
di un medico che cura le ferite di un malato...
Noi possiamo "guardare" con occhi nuovi il nostro corpo e farne l'uso che ne ha fatto Gesù: usarlo come strumento non di peccato e di morte, ma di guarigione e di vita, con i piccoli e grandi gesti di ogni giorno.
- LA COMUNIONE COME PONTE ALLA DIVINITÀ DI GESÙ
Nel nostro personale rapporto con Gesù siamo chiamati, come l'emorroissa, a compiere il gesto di avvicinarci a Lui. L'Eucaristia è il nostro "ponte" alla Divinità di Gesù.
La Sua Umanità che si cela sotto le Specie del Pane ci conduce alla Sua Divinità.
Il momento eucaristico dovrebbe essere per noi quello di maggiore intimità con il Signore, momento in cui ci presentiamo dinanzi a Lui, come l'emorroissa, e con fede, anche senza dirgli nulla, gli offriamo i nostri bisogni, le nostre miserie, perché Egli le converta in qualcosa di positivo, arricchendoci della sua ricchezza.
- DIO VEDE SEMPRE
Gli occhi di Dio sono umani e divini.
Quando è vissuto sulla terra come Vero Uomo, gli occhi di Gesù hanno visto con i limiti propri di ogni vista umana, ma la sua "visione" in quanto Dio era da sempre illimitata.
La guarigione dell'emorroissa ci fa comprendere questo: Dio ci vede sempre, è sempre chinato su di noi, come i Salmi spesso ci ricordano.
Da quando Gesù è risorto, Egli ci vede con occhi umani "glorificati": neppure umanamente, oggi gli sfugge nulla, se così potessimo dire.
«Dio è Occhio, Dio è Vista» – scriveva J. Ratzinger -. «Qui si cela anche una sensazione originaria dell’uomo, quella del sentirsi conosciuto .
Egli sa che una segretezza assoluta non esiste, che la sua vita è sempre esposta allo sguardo di Qualcuno, che il suo vivere è un esser-visto. Questa sensazione di esser-visti può suscitare nell'uomo due reazioni opposte. Questo essere-esposto può turbarlo, farlo sentire in pericolo, un essere limitato nel suo stesso ambito vitale. Sensazione che può tramutarsi in irritazione e intensificarsi fino al punto da ingaggiare una lotta appassionata contro il testimone invidioso della sua libertà, della capacità illimitata del suo volere e agire. Ma può anche dare origine a un atteggiamento contrario: l'uomo che si apre all'amore, in questa presenza che continuamente lo circonda può scorgere il mistero cui aspira tutto il suo essere. Qui egli potrà cogliere il superamento della propria solitudine, che nessuna creatura umana riuscirà mai a eliminare e che costituisce comunque una vera e propria contraddizione per l'essere che tende al Tu, a essere con l'altro. In questa presenza misteriosa egli può trovare il fondamento di quella fiducia che gli consente di vivere. E' questo il luogo in cui trovare risposta al problema di Dio. Essa dipende dal modo in cui l'uomo considera originariamente la propria vita: se vuole rimanere non-visto, se preferisce restare da solo, oppure se egli, nonostante le sue inadeguatezze, anzi proprio perché essere inadeguato, è invece riconoscente a Colui che riempie e sostiene tutte le sue solitudini. Dipende dalle esperienze di fondo che si fanno con il Tu: se in esso si scorge l'amore o, invece, una minaccia. E dipende anche dalla figura in cui Dio incontra l'uomo: se nelle vesti di un terribile sorvegliante che medita il momento della condanna, o come l'amore creatore che ci aspetta».
Quando è vissuto sulla terra come Vero Uomo, gli occhi di Gesù hanno visto con i limiti propri di ogni vista umana, ma la sua "visione" in quanto Dio era da sempre illimitata.
La guarigione dell'emorroissa ci fa comprendere questo: Dio ci vede sempre, è sempre chinato su di noi, come i Salmi spesso ci ricordano.
Da quando Gesù è risorto, Egli ci vede con occhi umani "glorificati": neppure umanamente, oggi gli sfugge nulla, se così potessimo dire.
«Dio è Occhio, Dio è Vista» – scriveva J. Ratzinger -. «Qui si cela anche una sensazione originaria dell’uomo, quella del sentirsi conosciuto .
Egli sa che una segretezza assoluta non esiste, che la sua vita è sempre esposta allo sguardo di Qualcuno, che il suo vivere è un esser-visto. Questa sensazione di esser-visti può suscitare nell'uomo due reazioni opposte. Questo essere-esposto può turbarlo, farlo sentire in pericolo, un essere limitato nel suo stesso ambito vitale. Sensazione che può tramutarsi in irritazione e intensificarsi fino al punto da ingaggiare una lotta appassionata contro il testimone invidioso della sua libertà, della capacità illimitata del suo volere e agire. Ma può anche dare origine a un atteggiamento contrario: l'uomo che si apre all'amore, in questa presenza che continuamente lo circonda può scorgere il mistero cui aspira tutto il suo essere. Qui egli potrà cogliere il superamento della propria solitudine, che nessuna creatura umana riuscirà mai a eliminare e che costituisce comunque una vera e propria contraddizione per l'essere che tende al Tu, a essere con l'altro. In questa presenza misteriosa egli può trovare il fondamento di quella fiducia che gli consente di vivere. E' questo il luogo in cui trovare risposta al problema di Dio. Essa dipende dal modo in cui l'uomo considera originariamente la propria vita: se vuole rimanere non-visto, se preferisce restare da solo, oppure se egli, nonostante le sue inadeguatezze, anzi proprio perché essere inadeguato, è invece riconoscente a Colui che riempie e sostiene tutte le sue solitudini. Dipende dalle esperienze di fondo che si fanno con il Tu: se in esso si scorge l'amore o, invece, una minaccia. E dipende anche dalla figura in cui Dio incontra l'uomo: se nelle vesti di un terribile sorvegliante che medita il momento della condanna, o come l'amore creatore che ci aspetta».
(Benedetto XVI – J. Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, 2011, pp.11-13)