domenica 7 maggio 2023

Sguardo cristiano su notizie di attualità

DI UOMINI, DONNE E COMPLICITÀ
Vera mascolinità e femminilità a partire dalla Scrittura










 


C’è qualcosa di negativo fra i vari significati della parola “complice”.
Qualcosa di così pesante che il termine ci appare spesso solo nella sua accezione oscura, facendoci pensare immediatamente a un’azione cattiva come un reato, un delitto, un furto; tutte cose in cui si opera il male perché due persone si alleano assieme per compierlo, in diversa misura. Siamo abituati, insomma, più a una complicità di cattiveria che a una di buoni propositi.
Forse, nella nostra innata tendenza all’egoismo e al disordine interiore, abbiamo dimenticato che l’essere complici ha anche un altro, e ben diverso, ventaglio di sfaccettature, comprensibili ritornando all’origine della parola, alla sua etimologia. Quella di un vocabolo che deriva dal lat. tardo complex -plĭcis, composto di con- e della radice *plek- presente in plectĕre-allacciare e anche in plicare-piegare 
Piegato, allacciato insieme, dunque. Non c’è, nella natura linguistica della complicità, l’ombra del male. Il termine è completamente svestito di connotazioni etiche, morali, legali. A noi la scelta di riempire questa neutralità di bontà o di malvagità, di giustizia o di ingiustizia, di correttezza o di scorrettezza.
Che tutto dipenda dalla nostra libertà è la Scrittura stessa a rammentarlo, squadernandoci davanti agli occhi queste due possibilità come facce di una stessa medaglia.
Nella Genesi Dio crea l’uomo e la donna, in una ricchezza semantica che solo l’ebraico biblico disvela (diversamente dalla nostra traduzione italiana), laddove  ish è l’uomo e ishàh la donna tratta dalla sua costola, con somiglianze ad altre parole quali ishiut-individualità, e ishut-matrimonio-unione. Un complesso di rimandi che completa l’idea della donna compagna che sta di fronte all’uomo come aiuto (secondo la traduzione letterale del testo originario).
L’idea dello stare “di fronte” fa pensare certamente a uno specchio, in cui, in un certo senso, l’altro possa riflettersi per vedere e costruire meglio la propria identità, la propria pienezza. Piegandosi assieme “con”, allora, si ritorna “al centro”, a quella completezza di corpo e di spirito voluta dal Creatore (i due che tornano a essere un’unica carne), ma questo è, più in profondità, il piegarsi verso Qualcuno che sta “in mezzo” a questa unità, se è vero che l’uomo è inizialmente creato a immagine e somiglianza di Dio. 
La vera complicità è allora in sé (rimanendo su un piano strettamente scritturistico) intrinsecamente positiva, orientata a un bene superiore: il piegarsi verso l’altro per raggiungere insieme l’Altro per eccellenza.
Il problema scaturisce quando (e la Bibbia lo dimostra subito dopo) il confronto speculare si spezza, e ci si piega verso altro che non è né l’altro né Dio. La tentazione di Eva immette un “quarto elemento” in questa relazione, cui consegue quanto già noto sul peccato originale e la cacciata dall’Eden.
Il problema è che il “quarto elemento”, in diversa misura, permea quotidianamente il nostro mondo di relazioni uomo-donna, e ne sentiamo echi diversi, spesso sottilmente rintracciabili anche nelle idee fuorvianti sull’idea di eros, mascolinità e femminilità.
Dimenticando le cose principali ci si ferma su quelle accessorie, e diventano preponderanti le questioni sui ruoli “istituzionali” all’interno della coppia, quelle linguistiche sulle desinenze di professioni e competenze, quelle ideologiche sulla libertà di sperimentare “nella mente”. I gossip di quest'ultima settimana hanno prodotto materiale abbondante su questi versanti della questione.
Il punto è che il femminismo sembra tradursi in una rivalsa strampalata di antiquariato della nonna, in elucubrazioni grammaticali trite e ritrite, o in una sorta di futurismo déjà vu che fa cassa (perché l’immagine aumenta le vendite!).
Sono lotte pseudosindacali che lasciano il tempo che trovano, ma che danno adito a teatrini (radiofonici, televisivi e giornalistici) rasentanti il ridicolo in quanto fluttuanti fra le questioni ormai alla moda della fluidità di genere, dell'emancipazione (in quale senso?) femminile, della parità uomo-donna (che però sembra essere poi contraddetta), e dunque non in grado di affrontare l'argomento dal punto di vista che conta, antropologicamente prima ancora che spiritualmente: quello della vera diversità fra uomo e donna che serve a costruire la vera identità maschile e femminile. E, per dirla poi su un piano cristiano, quella che serve a rendere la donna più donna nel rapporto con l’uomo e l’uomo più uomo nel rapporto con la donna, come papa Francesco sottolineava nel 2018: « Questo è l’amore. E qual è il compito, dell’uomo nell’amore? Rendere più donna la moglie, o la fidanzata. E qual è il compito della donna nel matrimonio? Rendere più uomo il marito, o il fidanzato. È un lavoro a due, che crescono insieme; ma l’uomo non può crescere da solo, nel matrimonio, se non lo fa crescere sua moglie e la donna non può crescere nel matrimonio se non la fa crescere suo marito. E questa è l’unità, e questo vuol dire “una sola carne”: diventano “uno”, perché uno fa crescere l’altro. Questo è l’ideale dell’amore e del matrimonio» (Veglia di preghiera con i giovani italiani, 11 agosto 2018). 
Non è, allora, questione di “divisioni di compiti” o di desinenze linguistiche, né tantomeno di sperimentazioni mentali, ma di tirare fuori la vera essenza del maschile e del femminile, della grazia e della virilità, della dolcezza e della forza, con l’apporto unico che ciascuno dei due sessi può dare alla società in ogni sua struttura.
Eravamo forse più avanti 30 anni fa, col famoso spot Fiat “Buonasera” (se non lo ricordate andate a rivederlo!). Ed eravamo più avanti finanche nei secoli passati, quando san Giuseppe veniva ritratto intento a cullare Gesù, mentre Maria riposa nella lettura della Scrittura dopo le fatiche del parto, oppure tutto preso dall'asciugarne al fuoco i panni mentre la Madonna si concentra nella preghiera e nell'adorazione.
Proprio lui, quell’uomo giusto del Vangelo che di sdolcinato non aveva nulla, ma che a ben guardarlo appare così profondamente uomo da affrontare le critiche di un intero villaggio per sposare la donna che ama – una ragazza che agli occhi del mondo era incinta di un altro – e così profondamente virile e coraggioso da lasciare tutto, e più volte, per proteggere la propria famiglia. Insomma, un uomo vero accanto a una donna vera, un uomo moderno accanto a una (Ma)donna moderna; due che sono affiatati e complici nella ricerca del bene.
Perché di questo ci parla, in fondo, anche la storia della Salvezza: di uomini, donne e complicità.
Di modelli da imitare, ancora oggi, per diventare veri uomini e vere donne in un mondo che ci propone delle mere contraffazioni, imitazioni interscambiabili a basso costo, sperimentazioni del maschile e del femminile che vanno e vengono come le mode sulle passerelle... o come le notizie sui giornali.

Natività dal Libro delle Ore di Besançon (XV sec.), Ms 69 f.48r, Cambridge, Fitzwilliam Museum - Fonte: Wikipedia 

Cerchia di Antoine Le Moiturier, Natività (1450 c.), New York, Metropolitan Museum of Art Fonte: Metropolitan Museum of Art