lunedì 30 settembre 2013

DA RICCO CHE ERA...SI E' FATTO POVERO!


Rifletto sulla Parola di ieri (Lc 16,19-31): il ricco epulone e Lazzaro il povero.



Il ricco che non ha mai voluto dare niente ai poveri e il povero che si ritrova, adesso, a possedere una ricchezza maggiore di tutti i beni di cui, in terra, poteva godere l'anonimo di questa pagina del Vangelo.

Nell'omelia domenicale mi ha colpito un passaggio sottolineato dal mio parroco: "potremmo chiamare il ricco epulone, il povero epulone".

A quel punto, la mia mente è andata ad un'altra pagina di Vangelo, quella in cui si legge :

"Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: 
da ricco che era, si è fatto povero per voi,
 perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà".  
(2 Cor, 8-9)


Ci sono modi diversi di farsi "poveri".
L'epuilone ha scelto quello sbagliato.
Ha preferito le ricchezze in terra, perdendo quelle dei Cieli.
Ha creduto che fosse più redditizio "svendere" il bene più prezioso (la sua anima), per godere solo con il corpo, da vivo.
Ha scelto di abbandonare l'unico vero bene (Dio!) per scegliere i molti beni tterreni che non soddisfano nessun reale bisogno dell'uomo, ma appagano solo un senso fugace di consumismo, un piacere momentaneo o istinti di generi diversi.

..."e da ricco che era si fece povero", potremmo allora dire dell'epulone.
Non nella maniera in cui mostra Gesù: Cristo Si dona, Si offre per l'altro, rinuncia a manifestare alla maniera "umana" la Propria Regalità, per donare al'umanità il Suo Cuore trafitto sulla Croce;
rinuncia a vivere fra ricchezze materiali per condividere i disagi di ogni uomo povero;
accantona i Suoi privilegi di Signore del Cielo e della Terra, per passare i Suoi giorni come un bambino qualunque, che cresce sottomesso ai genitori; come un adolescete qualunque che impara a lavorare; finanche come un "malfattore" qualunque che viene sottoposto alla pena più infamante di tutte: la Crocifissione.

Questo è il modo di "farsi povero" scelto da Dio ed è la modalità che viene indicata anche a chi vuole seguirLo.
Farsi poveri per gli altri, imitanto lo stile di Cristo vuol dire non tanto e non solo rinunciare alla ricchezza materiale, ma saperla condividere con gli altri, per allieviarne i disagi, le sofferenze, per colmarne i bisogni.
Se il ricco epulone avesse "condiviso"  il proprio pane con Lazzaro, forse ora non si ritroverebbe nella parte "peggiore" dell'aldilà.
Avrebbe in un certo senso trovato, proprio in Lazzaro, un difensore.
La parabola del ricco epulone, non a caso, viene riportata in Luca dopo quella dell'amministratore disonesto (Lc 16, 1-9), la cui conclusione la rileggo spesso in questo senso: se l'uomo, pur peccatore, riesce a "perdonare" l'altro, a condonargli dei debiti -ad un altro uomo che è peccatore al suo pari! e quindi debitore verso Dio-, il Signore di certo giudicherà con misericordia, perché chi avrà ricevuto dall'altro, ne sarà un po' difensore, nel Regno dei cieli!

Il problema non è la "ricchezza", ma l'attaccamento del cuore.
Lo ripete spesso il salmista (sal 62,11) e Gesù lo dice nel Vangelo, invitando a scegliere un solo padrone da servire: o Dio o mammona (Lc 16,13).

La povertà del ricco non è solo condivisione di beni materiali, ma anche e soprattutto condivisione del cuore: capacità di "chinarsi" sulle necessità interiori, psicologiche, morali dell'altro.

Papa Francesco ci esorta moltissimo ((Veglia di pentecoste), da questo punto di vista: il dare in sè stesso può rimanere una tto materiale. 
Occorre aggiungere qualcosa di più, un sorriso, una parola, un contatto fisico.
Potrei anche non avere beni materiali da condividere con i miei fratelli, ma se mi rendessi in grado di offrire una parola di conforto, cinque minuti del mio tempo, un abbraccio, avrei vissuto in pieno quello spogliamento del Cristo che sa "COMPATIRE" ogni dolore dell'uomo.

Dice il Papa:

“Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. 
 Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”. 
Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. 

Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. 
E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione.
Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile.
 
Il Papa, nello specifico, parla di poveri in senso stretto, ma quante "povertà" umane esistono?
Ogni solitudine, ogni abbandono, ogni perdita nell'uomo può essere una povertà.
Allora possiamo vivere queste parole in riferimento a moltissime situazioni: da quella della mamma "impoverita" da un figlio sbandato, a quella di un ammalato impoverito per la perdita della salute; da quella di chi è povero di amicizie, a quella di chi è povero di fede...

Con tutti possiamo farci "ricchi capaci di donare", in maniera tale che il nostro dare non sia un impoverirci in senso stretto, ma solo figurato.
Perché nella vera donazione di sé stessi si sviluppa la ricchezza più bella: 

 "Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio"
(Lc 6,20)

 
 

giovedì 26 settembre 2013

STRADA FACENDO....riflessioni a margine dell'incontro di forania con l'Arcivescovo Bertolone


Ieri sera si è svolto uno degli incontri di forania con l'arcivescovo della diocesi di Catanzaro Squillace, Mons. Vincenzo Bertolone.
Mi ha colpita molto, fra le altre, la sua riflessione sul concetto di  "Strada facendo",  un'espressione che -ha sottolineato Sua Eccellenza- ritorna tante volte non solo nella canzone di Baglioni, ma che è  sempre presente nel Vangelo.
Un'espressione che dobbiamo fare nostra nell'essere annunciatori, testimoni, catechisti.


"Strada facendo": ascoltando queste due parole ho ripensato a passi evangelici in cui compare -innumerevoli volte- la congiunzione "mentre", proprio ad indicare il senso della continuità nel tempo, dell'evoluzione, dello scorrimento, del "cammin facendo".

"mentre Gesù sedeva";
"mentre si allontanava";
"mentre se ne andavano";
"mentre la folla rimaneva";
"mentre insegnava";
"mentre erano chiuse le porte".

Poi ho ripercorso quei brani in cui la scena viene introdotta dall'avverbio "quando":

"quando digiuni"
"quando fai l'elemosina"
"quando lo videro".

Sono tutti testi nei quali due azioni vengono collegate, sottolineando questa "evoluzione" continua della/nella vita del cristiano.

Ma è stata specialmente una pagina del Vangelo a presentarsi alla mia mente, quella che proprio la Liturgia di ieri ci ha riproposto.
Si tratta di Lc 9, 1-6: Gesù convoca i dodici e dona loro "forza e potere su tutti i demoni e di guarire le malattie" e li manda "ad annunciare il regno di Dio e guarire gli infermi".  
"In qualunque casa entriate rimanete là, poi ripartite".

Il Vangelo non ci descrive la vita del cristiano come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza,; in esso ritroviamo  quell' "andate  dunque, e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19) che Gesù rivolge a ciascuno di noi.

Nell' "ammaestrare" è possibile includere il confortare, l'esortare, il predicare, il dare l'esempio....il verbo è molto più ampio del suo semplice e primario significato di "insegnare".
Si insegna in modi diversi, tanto con la parola quando con l'esempio di vita.
"Strada facendo" è un motto che deve spronarci a "padroneggiare" meglio quelli che sono i mezzi principali per vivere da cattolici veri: la Parola di Dio, la Liturgia, la preghiera.
In un certo senso mi piace collegare il "rimanere" proprio a questi fattori: rimanere in Dio attraverso la Bibbia, i Sacramenti e l'orazione; donare agli altri quello che in essi riceviamo e poi ripartire.
Solo "rimanendo in Lui" (cfr Gv 15,4) si rende fattibile quel dialogo continuo, quel raffrontarsi costantemente con la figura di Cristo che ci arricchisce, ci interpella, ci offre le risposte, ci dona le indicazioni per essere sempre, in ogni momento, veri discepoli.
"Strada facendo" è quel modus vivendi che Gesù stesso ha adottato, come:

-  cammino di missione nella volontà del Padre;
-  itinerario di preghiera che Lui ha percorso lungo la Sua esistenza;
-  insegnamento ed annuncio che Lo hanno condotto "di villaggio in villaggio", per raggiungere più persone possibili, situazioni svariate -dalla malattia fisica a quella spirituale; dalla perdita di affetti alla rinuncia a beni materiali.;-


L'impregnarci di un Vangelo che molte volte ci pone dinanzi all'esperienza del partire (tanto che proprio il Messia si paragona al "padrone di casa partito per un lungo viaggio"  in Mc 13,33-36) ci esorta allora ad essere uomini capaci di "ristorarci" nel dimorare in Lui, di "donare" nel rimanere presso gli altri, nel "ripartire" per raggiungere vette più alte di santità nello stare in Lui e con altri fratelli.

L'anno della Fede, che stiamo ancora vivendo, ci ricorda proprio questo senso triplice della vita di testimonianza.

Che Maria, donna non solo dell'"ascolto", ma anche "della decisione e dell'azione" (Papa Francesco, parole al termine della recita del Santo Rosario-31 maggio 2013) ci sia Madre e Maestra in questo impegno per comunicare la gioia e la bellezza di essere cattolici "strada facendo".

lunedì 23 settembre 2013

MEMORIA LITURGICA DI SAN PIO DA PIETRELCINA



Tu solo sei santi, Signore, e fuori di te non c'è luce di bontà: 
per l'intercessione e l'esempio di san Pio da Pietrelcine
 fa' che viviamo una vita autenticamente cristiana,
 per non esser privati della tua visione nel cielo.

Amen

(Orazione dalla Liturgia)


Padre Pio viene ricordato soprattutto come il Santo delle Stimmate, delle confessioni particolarissime, dei carismi soprannaturali e della Sua Santa Messa in vera "compartecipazione" ai dolori di Cristo Signore, ma non va dimenticato anche un altro importante aspetto della sua spiritualità: lo spirito di preghiera.

E' un elemento importante perché, oltre ad averlo fatto "proprio" lo ha sempre anche inculcato ai suoi figli spirituali, lasciando questa preziosa eredità, che in tanti frasi si potrebbe condensare, ma che specialmente una mi piace ricordare, poiché racchiude lo spirito di preghiera e la devozione a Maria quale Madre che ci conduce a Gesù:

"Recitate e fate recitare il Santo Rosario", indicando nella corona una vera e propria arma per combattere i nemici dell'anima.

Nel libro "Testimonianze", vol.3  di Padre Marcellino Iasenzaniro (pag 550-553), si legge:

"Se vedeva poco impegno per la preghiera, il Padre diventava severo e ripeteva la sua massima:
-Ricordati che chi non prega si danna, chi prega poco si mette in pericolo di perdersi; si salva chi prega molto.

Secondo P. Pio molti sono i nemici del raccolgimento; uno di questi è l'interessarsi dei fatti della gente.
Un giorno Enedina Mori disse al Padre: -Non sono fervorosa.
E P.Pio: -Per forza, ti interessi di questo e di quello.
Dove lo vuoi trovare il fervore, fra questo cumilo di miserie?

Una delle massime importanti, dettate dai maestri dello spirito per realizzare un buon cammino di fede, rimane sempre Attende tibi: pensa a te stesso.

Un altro elemento che nuoce allo spirito di preghiera è il molto parlare.
Una figlia spirituale, che viveva da povera, ci riferisce il seguento colloquio con il Santo.
-Padre, se mi invitano a pranzo o a cena devo accettare?
P.Pio: -Accetta sempre, quando ti invitano.
-Ma si perde tempo.
P.Pio: -E tu mangia e te ne vieni.
-A casa mi sento più raccolta.
P.Pio: -Allora rimani a casa; ilr accoglimento vale di più.

Il pericolo di nuocere al raccoglimento si può nascondere anche in un'opera buona.
Ci dice un'altra figlia spirituale: -La moglie del maresciallo Russo, ammalata, chiedeva che andassi a trovarla, ed a volte mi tratteneva anche due ore, perché aveva bisogno di parlare.
Glielo dissi al Padre, il quale mi rispose:
 -Così non piace neanche a Gesù.
Il molto parlare raramente va esente da difetti e si deve ricordare che il Signore ci dice che dobbiamo rendere conto di ogni parola oziosa".


Si potrebbe obiettare un'eccessiva "puntigliosità" da parte del Padre, ma è più che fondamentale -per chi si mette alla sequela di Cristo- aspirare alla perfezione in quello che facciamo e la preghiera non è esente da questa "ricerca" di un miglioramento costante!
Non dimentichiamo che proprio Nostro Signore, nel pregare il Padre Suo, sceglieva momenti, spazi, situazioni che favorissero il raccoglimento ed il suo mantenimento.

Alla scuola di San Pio cerchiamo di fare nostro il desiderio degli apostoli, che al Maestro chiesero: "Signore, insegnaci a pregare". (Lc 11,1)

 

giovedì 19 settembre 2013

STARE "DIETRO" -Maria Maddalena e la sequela-: riflessioni sul Vangelo di oggi


"Una donna, 
una peccatrice di quella città, 
saputo che si trovava nella casa del fariseo, 
portò un vaso di profumo; 

stando dietro, presso i piedi di lui, 

piangendo, 
cominciò a bagnarli di lacrime, 
poi li asciugava con i suoi capelli, 
li baciava e li cospargeva di profumo"

 (Lc 7, 37-38)




Nel Vangelo di oggi mi copiscono principalmente questa pericope: "stando dietro".
La definisco tale (pericope) e non semplicemente "due parole", perchè in questi due termini si nasconde tutto un "modo" di vivere alla sequela di Cristo.
Di Colui che è Maestro, Signore, Dio fattoSi Carne, caricato della Croce del peccato umano.

Stare dietro a Gesù è l'atteggiamento di Maddalena, ma non è un indietreggiare negativo, come ben specificano le parole seguenti: "Presso i piedi di Lui".
Laddove, se il dietro indica un passo arretrato, il presso è sinonimo di vicinanza, di un contatto che può essere realmente molto forte sul piano spirituale, se pensiamo che è il medesimo termine utilizzato da Giovanni, nel Prologo, laddove scrive che "il Verbo era in principio presso Dio". (Gv 1,1)

Quanti modi di stare "dietro" a Gesù ci vengono descritti nel Vangelo, un po' ad esemplificazione dei nostri possibili attegiamenti e quale è -invece- quello adottato dalla Maddalena e lodato dal Maestro?

Mi viene in mente -per primo- Nicodemo, l'adoratore "notturno" di Cristo (Gv 3,1).
Nicodemo era un fariseo e, pur affascinato dal Messia, inizialmente non ha il coraggio di uscire allo scoperto, di manifestare apertamente la propria Fede nel Figlio di Dio. 
Abbozza una piccola difesa pubblica in occasione della festa delle Capanne, in Gv 7,50, ma è solo dopo la Crocifissione che palesa il proprio credo in Gesù, offrendo la mistura di mirra e aloe per la Sua sepoltura (Gv 19,39).

Penso poi a Pietro, quel Pietro che, al discorso "duro" di Gesù sulla Sua Passione oppone un netto "Dio non voglia, Signore, questo non ti accadrà mai"! (Mt 16,22) e si sente replicare: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!" (Mt 16,23).
C'è qui un elemento interessante che ci fa cogliere proprio il nodo centrale di queste riflessioni:  non sempre "stare dietro a Gesù" significhi seguirlo nel modo corretto. 
E' il Maestro stesso che qui lo sottolinea!
Penso anche al Pietro che rinnega per tre volte Gesù (Gv 18, 12-27) per paura di essere anch'egli arrestato e condotto al sinedrio.
Cefa non ha ancora imparato a "conoscere" realmente la "totalità" di Cristo, come di Colui che mostra una strada di Risurrezione che passa attraverso la Croce anche fisica.
Pietro ha "paura" dell'aspetto di dolore che comporta il professare la propria fede e non riesce a comprendere -inizialmente- l'idea di un Dio fattoSi Carne che voglia sperimentarlo per Primo.

Infine mi viene in mente Giuda, quel Giuda che si mette -chiamato da Cristo stesso- alla sequela del Messia, ma mantiene le proprie idee materialistiche.
La sua è una sequela di interesse, finalizzata ad un guadagno illecito da ricavare attraverso la cassa (Gv 12,6). 
Probabilmente, nutriva anche l'idea di un Messia rivoluzionario in termini politici, ma che avrebbe arricchito principalmente i Suoi discepoli.
E' lo stesso Giuda che tradisce Gesù per trenta denari e -posto dinanzi al rifiuto di anziani e sacerdoti di riprendersi la somma- va ad impiccarsi. (Mt 27,3-5)
Giuda non ha prima compreso che Gesù è un Messia "non politico" e non materialista e, in seguito, non ha percepito la dimensione della Misericordia di Dio che non vuole che l'uomo si tolga la vita, ma che si getti ai Suoi piedi, invocando il Suo Perdono.

A questo punto, la Maddalena diventa figura emblematica del vero stare "dietro" a Gesù.
La donna, una peccatrice pubblica, mi fa tornare alla mente queste parole del Maestro:
"Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24).


  • Maddalenna è donna: già questo la pone in condizione di svantaggio sociale, perché essere donna, al tempo di Gesù. equivale a non avere diritti.
  • Maddalena è peccatrice, per di più pubblica: fattore che la rende deprecabile agli occhi dei perbinisti farisei, dei sacerdoti e delle altre categorie religiose del tempo.
  • Maddalena è peccatrice "di quella città" in cui si svolgeva il pranzo cui era stato invitato Gesù: chissà se, fra i commensali, ci fosse anche qualcuno dei suoi vecchi "clienti"!

Maddalena SA tutto questo e pur essendo consapevole delle eventuali conseguenze, del disprezzo, delle critiche, delle incomprensioni di farisei, osservanti religiosi, peccatori mascherati dietro il velo dell'iprocrisia religiosa, decide di CARICARSI PUBBLICAMENTE DELLA PROPRIA CROCE, DEL PROPRIO PASSATO PECCAMINOSO, quasi "ammettendolo" davanti a tutti e PONENDOSI AI PIEDI DI GESU', DIETRO DI LUI, 
per CONSEGNARGLI SE' STESSA, 
il proprio passato che RINNEGA,
il proprio presente in CUI APERTAMENTE MANIFESTA LA PROPRIA FEDE, 
il proprio futuro che VUOLE ESSERE DI SEQUELA RADICALE DI CRISTO.

Che straordinaria scena è questa!
Una donna, una peccatrice pubblica arriva -quasi in via immediata, rapida, laddove gli altri -uomini di fede, discepoli- arrivano dopo molto cammino o non arrivano affatto.

Maddalena non precede gli apostoli solo nell'apparizione del Risorto, Maddalena li precede anche nella COMPRENSIONE DI "CHI" EGLI SIA E  DEL VERO STARE DIETRO DI LUI!

Maddalena ha capito che
  •  seguire Gesù è voltare pagina rispetto al passato -e in questo è più "veloce" di Nicodemo-;  
  •  è avere il coraggio di carsicarsi la propria sofferenza anche davanti agli altri, senza vergogna -ed in questo corre più di Pietro-;
  •  è non aspettarsi i beni materiali che la propria vita di peccatrice poteva fornirle, ma Dio stesso nè temere la disperazione eterna per il proprio stile di vita ormai rinnegato -ed in questo supera Giuda-. 
Guardiamo allora all'episodio del Vangelo di oggi come ad una "guida" interiore per amare e seguire realmente il Cristo, un Cristo che ci insegna la via della sofferenza nel rompere con la nostra vita "prima" di conoscerLo, che ci prospetta la strada della Croce nel seguirLo, ma che ci offre anche la prospettiva della Risurezione come dono del Suo Amore Misericordioso.



"Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato"
 (Lc 7,47) 

  "La tua fede ti ha salvata; va' in pace"!
 (Lc 7,50)

lunedì 16 settembre 2013

AVVISO CAMBIO INDIRIZZO MAIL....


Cari amici del blog,
da parecchi mesi si sta purtroppo verificando un increscioso problema con l'ormai "storico" (perchè da sempre associato al blog) indirizzo di posta elettronica.


Per tale motivo, onde evitare che le vostre mail si perdano, ho alla fine deciso di cambiare indirizzo.

Rimane attivo anche il precedente, ma il link bella barra a destra vi indirizzerà direttamente a quello su libero, al quale vi pregherei di scrivermi, perché più sicura la ricezione della posta.

Grazie e scusate per il disagio :)

 

sabato 14 settembre 2013

ESERCIZIO DI PROSPETTIVA....: riflessioni nella Festa dell'Esaltazione della Santa Croce



O Padre, che hai voluto salvare gli uomini 

con la Croce del Cristo tuo Figlio, 

concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra 

il suo mistero di amore, 

di godere in cielo i frutti della sua redenzione. 

(Colletta della Liturgia della Festa dell'Esaltazione della Santa Croce)




A guardare la Croce frontalmente o dall'alto, qualcosa -inevitabilmente- si perde.
Si smarrisce il senso del Suo essere "trampolino di lancio" verso il Cielo, verso la Gloria, verso la Risurrezione.
Ricorrere alla classica visuale prospettica non permette di percepire immediatamente il significato teologico, spirituale, escatologico -ed in una sua parola reale, totale- di questo Segno Santo che noi adoriamo.

Se ci poniamo "sopra" la Croce, facciamo del Cristo Crocifisso un Uomo affossato, che scende a strapiombo verso il basso, trascinato dallo stesso Legno. 
Trasformiamo Dio in un...fallito.

Se ci mettiamo "davanti" al Crocifisso scopriamo soltanto un Uomo inchiodato, attaccato a due Assi di Legno. 
Rendiamo Dio un... impotente.

San Paolo -nella lettera ai Colossesi- redige invece una mirabile sintesi di quello che la Croce "è", in quanto strumento che Dio stesso ha scelto e che il Figlio ha reso non diffusore di morte, ma di Vita:

"Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. 
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. 
Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo" (Col 2,12-15)

Quello che è stato "attaccato" alla Croce perché fosse distrutto è il peccato che fa morire l'uomo, come sempre San Paolo afferma, chiamandolo "il pungiglione della morte" (1Cor 15,56) , la causa dell' "inimicizia" (Ef 2,16) tra Dio e l'uomo.
La riconciliazione ci viene da questo "lasciarsi" inchiodare di Cristo, che uccide così il peccato che aveva allontanato l'uomo dal suo Creatore.

La Croce non è neanche "affossamento" di Dio: al contrario, è quell'umiltà che, come canta Maria nel Magnificat, è la virtù che fa sì che proprio il Padre innalzi l'essere umano che se ne riveste e che, con San Paolo, consideriamo come il segno dell'amore più forte tra Padre e Figlio: l'obbedienza, da cui scaturisce l'esaltazione del Verbo, la Gloria del Figlio (cfr Lc 1, 48; 52  -  Fil 2,5-11).

Cambiamo allora prospettiva: poniamoci sotto la Croce, guardiamola dal basso!
Vedremo non più un Uomo inchiodato o affossato, bensì un Uomo con una gamba quasi accavallata sull'altra come in chi ha già dato al corpo uno slancio per SPICCARE IL VOLO e le braccia spalancate, esattamente come fa, per moto istintivo, chi sta balzando in alto.
Questa immagine richiama allora il librarsi nell'aria, verso l'ALTO e rimanda a quella Gloria che il Figlio ritrova in Paradiso, dove ora siede alla destra del Padre (cfr At 2,33).

Una Gloria che attende anche noi, se sapremo porci sempre nell'atteggiamento umile del Figlio, che ha accolto la Croce non "giudicandola" -come spesso invece fa l'uomo- dall'alto di superbia e concezioni umane della giustizia-, ma dal basso, dall'obbedienza di Figlio, dalla fiducia di chi si fida dei disegni provvidenziali nell'economia della Salvezza.

Guardare la Croce dall'Alto vorrebbe dire "giudicare" malamente l'operato di Dio, cercando di farsi "Dio" nella maniera sbagliata.
E' solo l'ottica "del basso" che ci consente di ripristinare la giusta relazione tra l'uomo e il Padre.


Scrive J. Ratzinger-Benedetto XVI in "Escatologia, pag.74":

"L'uomo vole essere uguale a Dio, vuole questo e,infine non ha torto, ma lo vuole nella maniera di Prometeo, ossia arrogandosi da sé l'uguaglianza ccn Dio e impossessandosene con la forza.

Tuttavia l'uomo non è Dio; proclamandosi Dio, egli contraddice alla Verità, per cui questo esperimento si conclude inevitabilmente nel nulla dell'illusione.

Il vero Uomo-Dio si comporta in modo esattamente opposto: egli è Figlio; il che significa che egli è interamente debitore.
In realtà, la Croce non è che l'estrema radicalizzazione del gesto filiale.

Non è dall'atteggiamento di Prometeo, bensì dall'obbedienza sulla croce che nasce la divinità dell'uomo.

L'uomo può diventare 'Dio', ma non autoproclamandosi tale, bensì soltanto facendosi 'figlio".

giovedì 12 settembre 2013

Ss. NOME DI MARIA -riflessioni mariane sulla Parola di oggi


La Liturgia della Parola di quest'oggi mi pare si sposi benissimo con la memoria (facoltativa sul piano liturgico) che ricordiamo, ossia il Nome di Maria Santissima.




Le letture del primo ciclo (quello degli anni dispari), ci presentano tre brani che possono facilmente rileggersi in chiave mariana.

Il testo paolino (Col 3,12-17) si può realmente applicare alla Vergine Madre di Dio e Madre Nostra, Signora del Cielo e della Terra:

Maria è la Vergine realmente "scelta e amata da Dio"  per portare a compimento la più sublime delle missioni: dare al mondo il Verbo Incarnato e divenire la nuova Eva, la Madre di tutti i credenti, "figura ed eccellentissimo modello" della e per la Chiesa "nella fede e nella carità" (LG, 53).

San Paolo esorta a rivestirsi "di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri" ed è esattamente quello che ha fatto Maria Santissima,  facendosi dolcezza e della protezione nei confronti del Figlio Suo e armandosi di magnanimità, sopportazione e perdono verso noi tutti che ne abbiamo causato la morte in Croce.
Maria si è fatta talmente tanto in grado di "perdonare", di essere tesa verso gli altri, da accettare di essere Madre di tutto il genere umano!
E come Madre benevola e realmente magnanima, non smette di intercedere presso il Padre, per ciascuno di noi.

Maria si è rivestita "di carità", anzi, di più: ha accolto in sè la Carità fattaSi Carne.
Ce l'ha donata e continuamaente ce la dona.
La Parola di Dio ha abitato in lei e poiché una Madre non smette mai di essere tale, questa Parola che vive in Maria, Maria continuamente la offre agli uomini, affinché sappiano ascoltarLa e seguirLa.
Nella Vergine trova pieno compimento quanto scrive l'apostolo delle genti: la Madre della Sapienza -figura della Madre Chiesa "Maestra"- cerca di insegnarci ogni cosa, per condurci a Gesù; il suo cuore continua a cantare come in un perenne Magnificat e tutta la sua esistenza (prima terrena, ora eterna) è un vero esistere a maggior gloria di Dio!

Come dice anche il Salmo 150, proclamato quest'oggi, Maria dà lode al Signore con la sua stessa vita, con il suo agire pienamente conforme alla Sua Volontà.

La Vergine Santissima ha attuato completamente il Santo Vangelo: ha amato i nemici - i crocifissori del Figlio- a tutti ha fatto e fa del bene, tanto che la chiamiamo "Avvocata nostra"  nella Salve Regina.
Gesù, nel Vangelo (Lc 6,27-38) dice "benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male".
Un' Avvocata intercede per tutti (il famoso aneddoto raccontato da Padre Pio, sulla "chiave falsa" per accedere in Paradiso...è una storiella che però ben descrive l'operato di Maria!) e cerca di trovare in ognuno quel punto di bene che possa fare da "salvacondotto"...
Maria proprio su quello lavora, su quello insiste affinché la Misericordia di Dio sia più grande della Giustizia e offra al peccatore sempre nuovi tempi e modi per rispondere all'Amore Infinito del Creatore
Don Bosco diceva che in ogni ragazzo c'è un punto accessibile al bene, e se volessimo parafrasare questo concetto, potremmo a ragione dire che Maria vuole trovare in ogni anima questo punto "positivo" e favorevole su cui lavorare!

"A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro":

Maria è stata "percossa" nelle Carni del Figlio -che erano anche carne della sua carne! - e non si è sottratta a questo strazio; Maria è stata privata del mantello nel vedere il Figlio spogliato di quella tunica tutta cucita da un pezzo che lei stessa aveva preparato per Lui; a chiunque ha chiesto ha dato: ha donato il bene per lei più prezioso. 
Ha assistito alla Crocifissione dell'Amatissimo e unico Figlio.

Ha chiesto mai indietro qualcosa?
No, al contrario: è così generosa che a piene mani continua a dispensare-come una tesoriera- tutti gli "averi" di Gesù.
Maria insiste, prega, spera, ama, affinché noi possiamo prepararci a ricevere e riceviamo le mille e mille grazie che Dio vorrebbe e vuole concederci.

E' grande, immenso, l'amore di Maria verso tutti, anche quando siamo ingrati, peccatori, traditori.
Maria non condanna, non giudica: in lei vediamo solo e soltanto, l'amore di mamma che desidera -a tutti i costi- riportare i figli nella casa paterna.

Date e vi sarà dato: una misura colma, traboccante.

Maria ha dato e dona il Figlio a noi: ed è stata fatta Madre di tutti, Regina del Cielo e della Terra.
Il suo SI' ininterrotto da duemila anni fa è la porta che le spalanca la più alta delle dignità: essere Madre di Dio.

Invochiamo con fiducia il nome di questa buona Madre, così potente che San Massimiliano Maria Kolbe diceva:
"Se Lucifero potesse invocare per la propria salvezza, la santissima Vergine con la sola parola "Maria", raggiungerebbe il paradiso all' istante. 
Tanto più un uomo, anche se si trovasse nei momenti più duri e più disperati della vita".

  
Il Nome di Gesù è quel Nome in "assoluto" potente davanti cui tutti si piegano; la grandezza del Nome di Maria è quel potere "relativo", per Grazia, derivato da Dio, davanti cui -altrettanto- tutto si piega!

lunedì 9 settembre 2013

SONO FORSE IO IL CUSTODE DI MIO FRATELLO? -Riflessioni a margine della giornata di digiuno e preghiera per la pace


"Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). 
Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello?
Sì, tu sei custode di tuo fratello!
 Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri!
 E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. 
Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! "

(Papa Francesco, veglia di preghiera per la pace, 7 settembre 2013)

 
Caino uccide Abele- Duomo di Monreale


Le parole di Papa Francesco, pronunciate nel corso della veglia di preghiera per la pace, hanno trovato un'eco nel Vangelo di ieri, XXIII Domenica del T.O. (Lc 14,25-33):

"Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo". 

A prima vista sembra che i due passi non abbiano nulla a che vedere.
Gesù dice: amaMi più di quanto ami gli altri.
Questo, a volte -o spesso a seconda delle situazioni- comporta non tanto una vera e propria "armonia" fra gli esseri umani, ma quella che Cristo stesso definisce altrove "la spada" ("Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada"  Mt 10,34)


Ma, paradossalmente, questa "spada", questa apparente "divisione" è ciò che può condure alla pace vera.

Il Vangelo di ieri non fa esplicito riferimento alla chiamata vocazionale, in quel "viene a me": è vero che in altri brani evangelici si parla del lasciare tutto e tutti per seguirLo radicalmente, ma nemmeno quel "lasciare" implica un distacco "del cuore", un disinteresse dell'anima. E' piuttosto un distacco dal "disordine nell'attacamento", da quel senso di possesso quasi fisico che desidera sempre la presenza dell'affetto, la vicinanza, la possibilità di controllarlo e curarlo quasi materialmente.

Nel passo evangelico di ieri è più sottilmente comprensibile proprio questo significato del "lasciare senza lasciare", del "custodire senza posedere": in quel riferimento alla moglie, ai figli ritroviamo affetti che Dio ha sempre indicato come viscerali, paragonandosi nell'Antico Testamento ad una madre che nn può abbandonare il proprio figlio (Is 49,13-15) e poi, nel Nuovo, ha sempre difeso, ribadendo, ad esempio, l'indissolubilità del matrimonio (Mc 19,8).

Amare Dio più dei propri cari, allora, non vuol dire rendersi incuranti della loro sorte, del loro vero bene,specie in termini spirituali.

La spada che porta il Cristo è quella di una Verità che va proclamata, difesa, custodita anche davanti ad eventuali loro rifiuti o opposizioni.
E' qui che scatta l'azione del "custodire": la guerra nasce dalla necessità di non tacere la Verità (perché il Padre della Menzogna conduce alla divisione, al caos), ma determina anche la pace del sapere lavorare con pazienza, quasi come uno stratega, un diplomatico, per non distruggere quel poco di armnia che è insito per natura nei rapporti affettivi (se no, che affetti sarebbero?).

Ecco la custodia: apprendere, mettere in pratica l'arte a volte certosina di lavorare sul bene -fosse anche pochissimo- già esistente, per ottenere  "di più".

Penso a tanti luoghi di lavoro o a tanti famiglie in cui non tutti i colleghi o non tutti i familiari siano credenti o lo siano a modo loro.
La diversa prospettiva religiosa, non di rado è in grado di condurre a dissensi su molte questioni.
Lo sforzo del "custodire" è qui veramente difficile, ma doveroso: non permettere che l'altro continui a perseguire la strada dell'egoismo, dell'errore, dell'autoreferenzialità, ma poco per volta, anche a partire da punti di incontro non religiosi, cercare di condurre a quel bene prezioso che è il bene comune, al di là del Credo professato.

In questo senso, la custodia dell'altro diventa una sorta di azione segreta, nascosta, come la stessa etimologia della parola indica.
Custodire, infatti, rimanda sia a "coprire, difendere" che a "nascondere".
Dunque, custodia dell'altro per la pace in ogni campo è una doppia azione: preservare l'altro da ciò che è a lui nocivo, nasconderlo al male, ma anche svolgere quasi "segretamente" con discrezione, questa attività di protezione.

Compito non facile, ma se pensiamo a quante volte Dio stesso rimanga vicino all'uomo in un modo silenzioso e paziente, forse il compito ci diventa meno gravoso.
Il Signore si serve anche dell'angelo...custode, proprio con questo ruolo: un angelo che è sempre al nostro fianco, che ci suggerisce ispirazioni, soluzioni, che intercede per noi presso il Padre e che non ci abbandona mai, neanche quando scegliamo il male e rinneghiamo il Bene.

Proviamo ad imitare quel Dio Misericordioso e Giusto che sa con pazienza "vegliare" sul nostro cammino senza forzarci, ma sempre per condurci a ciò che è buono e giusto.

Imitiamo anche nostra Madre, Maria Santissima, che con cuore materno non abbandona i suoi figli mai, neanche quando presumano di avere raggiunto l'autonomia e la maturità per scegliere da soli. 

Anche Dio ha scelto la Croce della pazienza, della cura fedele dell'altro anche questo è causa di sofferenza per l'ostinazione dell'altro.
Anche Maria Santissima è rimasta ai piedi di quella Croce.

Rimaniamoci anche noi, certi che, nei rapporti quotidiani, a volte custodire l'altro è crocifiggere noi stessi, ma, come ci ha ricordato Papa Francesco
  :





"La mia fede cristiana mi spinge a guardare alla Croce.

 Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! 

Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. 

Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace".