lunedì 26 agosto 2013

IPOCRISIA: STATO PATOLOGICO DI "CARENZA DI..." - Riflessioni sul Vangelo di oggi


Il vangelo di oggi (Mt 23,13-22) mi ha colpita soprattutto per una parola: "ipocriti".
Riflettevo sul senso di questo  termine, che nell'intero paragrafo da cui è tratto il brano della Liturgia odierna compare sei volte (sei...su sette maledizioni!), pensando a quei vocaboli in cui -normalmente- si fa uso del suffisso -ipo: "ipoteso, ipotiroideo,ipoglicemico" etc etc...

In tutti questi termini, ipo indica una "carenza", qualcosa che il nostro organismo produce in meno rispetto al quantitativo normale che abbisognerebbe per vivere bene, per essere in condizione di salute fisiologica. 
La situazione dell' -ipo è quella di un uomo  afflitto da una patologia, con insufficiente produzione di un qualcosa, o insufficiente attività svolta da un organo specifico, se non completa assenza di un certo organo.

L'ipocrita, mi sono detta allora -portando le mie considierazioni sul piano della vita spirituale- è una persona che versa in una condizione di "patologia da carenza": manca di qualcosa che pure dovrebbe essere in grado di produrre o manca dell'organo addetto a tale produzione; l'ipocrita è qualcuno che non gode di buona salute e Gesù stesso, nel Vangelo, ci dice quale sia la "mancanza" che affligge l'ammalato di ipocrisia e con quale "alternativa" cerchi di colmare la propria carenza.



"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini" : l'ipocrita chiude la porta, anzi all'ipocrita manca la Porta, che è Gesù stesso (Gv 10,7)! 
Non riconoscendo Gesù come Dio, si nega la possibilità di salvezza e insegna dottrine false! In un certo senso, l'ipocrita è ammalato di iperlesionismo. ("così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci" (Mt 23,13) 

"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi" (Mt 23,15) : l'ipocrita manca del "fine", all'ipocrita non interessa la "maggior gloria di Dio e la salvezza dell'uomo", si potrebbe dire che è accecato dall' ansia dei numeri. 
Il maggior profitto, per l'ammalato di ipocrisia, è "fare numero", avere più proseliti delle altre religioni, per far vedere -a Gesù per primo- di essere più bravo di Lu!
L'ipocrita è un iperprotagonista cronico.

"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà"  (Mt 23,23) : l'ipocrita è incapace di tracciare una scala di valori, comprendendo le cose più importanti da assolvere insieme a quelle meno rilevanti. 
Così facendo, manca della cosa principale: l'amore del prossimo e sovrabbonda di iperegoismo!

"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza"(Mt 23,25): l'ipocrita manca di...pulizia spirituale, è come quella persona che pur abbigliato con vesti finissime, non ha mai fatto un bagno in vita sua! 
E' afflitto da "iperesteriorità"...ma non ha amore per l'interiorità! 
E' un essere ipersuperficiale!

Il concetto ritorna, in forma diversa, ai versetti 27 e 28:  
"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 
Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità", ma assume qui una valenza spirituale ancora più forte: l'ipocrita crede di scoppiare di vita, mentre è un iperdefunto!


"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32Ebbene, colmate la misura dei vostri padri  (Mt 23, 29-32): l'ipocrita è afflitto dalla sindrome dell'iperbugiardo, vuole giustificarsi a tutti costi in nome di una presunta verità, ma Gesù sentenzia chiaramente che all'ipocrita è sempre mancata la Verità!

Infine, un piccolo aiuto ci viene anche dall'etimologia, che così traccia l'origine del termine "Iprocrita":

Immagine tratta dal sito www.etimo.it



Viene da dire: l'ipocrita è una persona che è al di sotto delle spiegazioni, che è carente di spiegazioni coerenti,di spiegazioni "vere"!
Cerca di giustificare il proprio modo di agire, di ragionare, di vivere, ma messo alle strette di fronte alla Verità crolla il castello di false teorie che ha archittetato.
Tante volte, nel Vangelo, assistiamo al mutismo di scribi e farisei, che non riescono ad obiettar nulla perché una falsa teoria (la loro!) non si può reggere su sé stessa, qualunque risposta si provi a dare!
E' il caso del loro silenzio alla domanda di Gesù sul "battesimo di Giovanni" (Mc 11,27-33) -cui fa da sfondo l'architrave di ragionamenti simil-logici-, o dei mutismi voluti e inquietanti davanti a tanti malati guariti in giorno di sabato, allorché il Maestro chiedeva: "E' lecito, o no"? (Lc 6,9)

Eppure, scribi e farisei, in teoria avrebbero gli "organi", gli strumenti per produrre ciò che loro manca: hanno la dottrina, hanno la Legge... ma non sanno usarla perché hanno tolto dal loro stesso essere l'organo più importante: IL CUORE.

Anche a noi, oggi, Gesù chiede: siamo uomini di CUORE? sappiamo unire ragione e fede, sappiamo riconoscere la Verità prima che con la ragione, con l'amore, per poi coniugare entrambe le cose? 
Viviamo una religione di soli precetti esteriori, o di vera conversione interiore?

A ciascuno di noi, la risposta, in un a tu per Tu con Lui, il Cuore di tutti i cuori. 

giovedì 22 agosto 2013

MOLTO VALE LA PREGHIERA DEL GIUSTO... Riflessioni sul ruolo orante di San Giuseppe, nella Sacra Famiglia


Quando penso alla "preghiera" nella (e della!) Santa Famiglia, non riesco a fare a meno di tratteggiarla come una preghiera....ESPLOSIVA!

Pensate a cosa accade quando vengono posti -l'uno accanto all'altro- dei fuochi d'artificio, o delle cataste di legna che ardono: le fiamme, le scintille gli uni degli altri si attirano e creano un fuoco unico, più intenso del precedente, risplendente e molto, molto luminoso.
Normalmente è il fuoco più intenso che attira gli altri, fungendo da catalizzatore.

L'orazione della Santa Famiglia mi pare essere proprio di questo tipo: tre fuochi ardenti che formano un unico fuoco, catalizzato dal Fuoco Divino che arde nel Sacratissimo Cuore di Gesù.

Se la preghiera è come "fuoco", allora si può dire -continuando a ricorrere al paragone delle fiamme- che più la fiamma è alta e brillante, più ha la capacità di ottenere il suo scopo: fare luce, dare calore, bruciare quello che vi si getta dentro.

La capacità della preghiera dei tre membri della Santa Famiglia è quella di consumare in noi quello che c'è di contrario a Dio, ottenerci i lumi spirituali per progredire nella vita di fede (o per avviarla!), impetrarci le grazie materiali e spirituali che ci occorrono.

L'immagine dei tre fuochi ardenti, delle tre fiamme oranti, ultimamente la sintetizzo spesso così:

GESU' ONNIPOTENZA DIVINA

MARIA ONNIPOTENZA PER GRAZIA

GIUSEPPE ONNIPOTENZA PER FEDE


Che la preghiera del Figlio al Padre sia "Onnipotente" è cosa....ovvia: Gesù è Dio, è l'Onnipotenza stessa!
E' tanto onnipotente in quanto Verbo Incarnato, poi, per i Suoi meriti infiniti, quelli della Sua Passione e Morte, tanto che nel Santo Vangelo Egli stesso ci dice:
 "Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò" (Gv 14,13)

L'Onnipotenza di Maria è una "onnipotenza per grazia", come ci insegnano moltissimi santi, da Sant'Agostino ("O Vergine, quello che Dio può per la Sua Volontà, Tu lo puoi per la Tua preghiera") al beato Bartolo Longo; da San Pier Damiani ("Avvicinati, o Vergine, all'altare del perdono, non già per supplicare, ma per comandare come Regina, poiché nelle Tue mani sono tutti i Tesori della Misericordia di Dio") a Sant'Antonio ("La preghiera della Madre di Dio ha carattere di comando, e non è che non sia esaudita"); da San Bernardino da Siena ("Al comando di Maria tutti obbediscono, anche lo stesso Dio! Basta che la Vergine voglia e tutto sarà  fatto") a San Massimiliano Maria Kolbe e a San Pio da Pietralcina, che pagine e pagine di memorie di confratelli e penitenti ci presentano come convintissimo assertore dell'Onnipotenza per Grazia di Maria Vergine.

E San Giuseppe?

La sua è la preghiera...del "giusto" (Mt 1,19) che è così pieno di fede da credere ad una storia che rasenta l'inverosimile: la sua promessa sposa aspetta il Figlio di Dio! Ed è una Vergine!

La preghiera di Giuseppe è la preghiera del giusto che vive di fede tanto da lasciarsi guidare dalla Sapiente Provvidenza Divina che gli indica mosse, percorsi, strategie attraverso i sogni.
Giuseppe ha compreso che nell'economia divina, tutto può celare la Mano di un Dio che ama i Suoi Figli e vuole condurli al Bene.

La preghiera di Giuseppe è l'orazione del giusto che -al pari di Maria- medita tutto nel cuore e conserva gelosamente ogni particolare.
Il Santo Patriaca è così impregnato di fede che non ha bisogno di parlare: si muove nel silenzio, è arrivato al nocciolo della preghiera, al suo succo, all'essenza: LA CONTEMPLAZIONE AMOROSA DI DIO.
Di quel Dio che ogni giorno vede, in Carne ed Ossa, invisibile Bimbo nel grembo verginale di Maria, Neonato fra le braccia della Sua Sposa; Bambino che muove i primi passi, che lo chiama "papà".... Fanciullo che cresce in età, sapienza e grazia (Cfr Lc 2,52), nella sua casa, la casa del falegname di Nazareth.

Ora, se San Giacomo ci dice che "molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza" (Gc 5,16), che cosa mai si potrà dire della preghiera dell'uomo considerato talmente giusto da essere elevato all'onore di "Padre putativo" di Nostro Signore?

Farà bene rimeditare sulle parole scritte da Santa Teresa d'Avila, nel Libro della Vita:

"E' cosa che riempie di stupore pensare alle straordinarie grazie elargitemi da Dio e ai pericoli da cui mi ha liberato, sia materiali sia spirituali, per l'intercessione di questo santo benedetto.

Mentre ad altri santi sembra che il Signore abbia concesso di soccorrerci in una singola necessità, ho sperimentato che il glorioso San Giuseppe ci soccorre in tutte.

Pertanto, il Signore vuol farci capire che allo stesso modo in cui fu a lui soggetto in terra- dove San Giuseppe, che gli faceva le veci di padre, avendone la custodia, poteva dargli ordini- anche in cielo fa quanto gli chiede".

 E Origene scriveva: “Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. 
 Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. 
Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe

Non diremmo allora un'eresia se affermassimo che quanto detto dai santi con riferimento a Maria (Dio obbedisce a lei!) possa valere anche per San Giuseppe! Santa Teresa ce lo manifesta espressamente!
Naturalmente, è un concetto che va compreso nella sua "sottigliezza teologica":questo avviene perché Maria e Giuseppe desiderano solo il Volere di Dio, cioè la Sua Maggior Gloria e la salvezza delle anime! La loro volontà coincide con quella divina. La loro preghiera "smuove" le montagne per ottenere quanto Dio stesso desidera, anche quando l'uomo è ostinato!
 
D'altronde...non è forse questo uno dei tanti "privilegi" che al Santo Patriarca deriva dall'essere sposo della Santa Vergine?
Sposo e Sposa diventano "comproprietari" di tutto ciò che sono e che è loro: così come Gesù -Figlio di Dio e di Maria- divenne "Figlio" di San Giuseppe, così pure quell'Onnipotenza per Grazia che a Maria deriva dall'essere Madre di Dio e Sposa dello Spirito Santo, diviene per San Giuseppe un'onnipotenza per fede.
Naturalmente, ciascuno degli sposi riceve in "grado" diverso: Maria come creatura immacolata, quindi in grado più elevato e più perfetto!

Allora, perché non affermare, anche di Giuseppe: "E beato colui che ha creduto"! ? (cfr Lc 1,45)

Giuseppe ebbe quella fede che smuove le montagne, la sua preghiera fu fiamma ardente di carità, unita al fuoco di carità del Cuore Immacolato di Maria e a quello della Fornace Ardente per eccellenza, che è il Cuore di Cristo.
Giuseppe pregò nel Nome Infallibile del Figlio di Dio! 
Che sarà mai stato l'incontro di Gesù, Giuseppe e Maria, su questa terra, per la preghiera di lode e di intercessione al Padre?

Chissà quante grazie, già su questa terra, ottenne all'umanità intera, questa preghiera "esplosiva della Sacra Famiglia...chissà quante ancora, dal Cielo, essa riversa su di noi!

Rivolgiamoci, allora, nei nostri bisogni, ala Santa Famiglia di Nazareth: Gesù, Giuseppe e Maria vegliano su di noi con amore indicibile, desiderandoci ogni bene e specialmente il Bene Unico e Sommo che è il possesso eterno di Dio!

lunedì 19 agosto 2013

LA PACE DI GESU'....riflessioni sul Vangelo


Troppo tempo ho abitato
con chi detesta la pace.

Io sono per la pace,
ma essi, appena parlo,
sono per la guerra.

(Sal 120,6-7)


Il salmo 120 compare nella Liturgia delle Ore di quest'oggi.
Nel recitarlo ho immediatamente ripensato alle parole pronunciate ieri da Gesù, nel Vangelo della XX Domenica del T.O. (anno C):

"Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? 
No, io vi dico, ma divisione. 
D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera»." 
(Lc 12,51-53)


Le affermazioni di Cristo Signore sulla pace e sulla guerra, di primo acchito lasciano qualcuno un po' perplesso.
Che novità è mai questa, di un Dio che dice di portare la guerra, la divisione?



A scandagliare la Bibbia -Antico Testamento in primis- ci si accorge che in realtà non c'è..."niente di nuovo sotto il sole" (Qo 1,9).
Lo Shemà Israel ("Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente"  Dt 6,5) è fin dall'inizio della storia della salvezza un comando esigente, che costringe a mettere un po' l'uomo con le spalle al muro: Dio o...ciò che non è Dio.
Siamo davanti ad un "imperativo" così decisivo che proprio il Signore dice al Suo Popolo : 
"Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. 
Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte".  (Dt 7-9)

C'è una chiave di lettura per comprendere la connessione fra questi versetti del Vecchio Testamento e il Nuovo, un concetto che nel Deuteronomio troviamo in "il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo" (Dt 6,4), ma che rimanda alla "novità" manifestata per la prima volta, attraverso le Tavole della Legge:
 "Non avrai altri dei di fronte a me. 
Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 
 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai".  
(Es 20,3-5) 


Se davvero si vuole adorare Dio al di sopra di tutto e tutti, occorre evitare di "idolatrare" tutti gli altri e tutto il resto.
Mettere il Signore -e la Sua Legge- davanti a chiunque, a volte è difficile, perché tocca affetti, aspirazioni, bisogni profondi dell'uomo.
Questo è però quello che ci insegna Gesù: la radicalità evangelica che viene richiesta ai primi discepoli -gli apostoli- (lasciare le barche, lasciare i genitori, fare che i morti seppelliscano i loro morti...), e poi a tutti i chiamati (non voltarsi indietro dopo aver messo mano all'aratro, abbandonare padre, madre, fratelli, sorelle) è un' opzione decisiva, alla quale non si può rispondere con tentennamento.

Questa radicalità evangelica non è -e occorre notarlo!- una prerogativa impegnativa solo nella vita consacrata.
No: Gesù parla di nuore, suocere, figli, marito e mogli!
La "radicalità" del "Dio al primo posto" vale per tutti i cristiani!
Il rischio di fare del marito, della moglie, dei figli o delle cose (come non pensare al giovane ricco, che disdegna la sequela per via dei suoi molti beni?) un "altro dio" fuori dall'Unico Dio è sempre alto. Questo vuole dirci il Vangelo.
Vivere secondo la Legge di Dio è un ribadire la propria sequela giorno dopo giorno:
anche contrapponendosi a diverse ideologie o pareri delle persone più care; anche rinunciando a dei beni che ci tengono attaccati ad essi come se fossero "dei"; anche sapendo che dire "SI" a Cristo è a volte dire un "no" a quelli che ci circondano.
Anche lottando contro sentimenti profondi (ma non sempre....retti) che toccano le corde più intime del cuore dell'uomo (come non pensare a Davide, che per avere Betsabea trasgredisce la Legge Divina, uccidendo il marito di lei?)

La pace di Cristo scatena dunque una guerra: con gli altri, con noi stessi, "dentro" noi stessi.
La guerra è questa, ma è una guerra che può essere foriera di pace: lo è sicuramente per la coscienza di chi sa di agire secondo i comandamenti di Dio, può diventarlo per chi, mosso dal buon esempio del cattolico fedele, è spinto ad una ricerca più profonda delle...ragioni della fede .
Nel corso dell'Ultima Cena, Gesù dona questo testamento ai Suoi discepoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Non come la dà il mondo, io la do a voi. 
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore". 
(Gv 14,27)

La pace di Gesù è una pace diversa da quella mondana.
Non accetta il compromesso per quieto vivere, per tornaconto personale, per bisogno.
No.
La pace di Gesù è il coraggio della Verità.
Di  credere sempre nella Verità, di professare la Verità, di opporre la Verità alla menzogna.

Questo può scatenare una guerra, provocare la derisione, l'isolamento, in alcuni casi portare al martirio.

Ma a ciascuno di noi, quest'oggi, il Signore ripete: Non temere...Io sono con te!

venerdì 16 agosto 2013

TERZO ANNO DI PREPARAZIONE AL BICENTENARIO DELLA NASCITA DI DON BOSCO


Quest'oggi don Bosco "compie" 198 anni.
Quasi due secoli di freschezza, simpatia, energia, amore per i giovani. 

Fra poco, per festeggiare l'evento, il Rettor Maggiore dei salesiani, don Pascual Chavez, presiederà la Santa Messa celebrata nel piazzale della Basilica di Colle don Bosco.
Sarà anche il momento dell'inizio del terzo anno in preparazione al bicentenario della nascita del "padre, maestro e amico" dei giovani".

Potete seguire la diretta su telepace o sul sito di missionidonboscotv .


Intanto, cominciamo a riflettere sul tema di questo terzo anno, rileggendo le parole del Rettor Maggiore, contenute nella lettera di indizione alla preparazione del bicentenario.

Preghiamo, poi, per i tutti i salesiani che, in questi giorni, come da consuetudine di "famiglia" hanno emesso la professione religiosa o ne festeggiano l'anniversario.


DON BOSCO VIENI IN MEZZO A NOI!



 
Spiritualità di Don Bosco
 
16 agosto 2013 - 15 agosto 2014
 
"Urge infine conoscere e vivere la spiritualità di Don Bosco.
 La conoscenza della sua vita e azione e del suo metodo educativo non basta. 
A fondamento della fecondità della sua azione e della sua attualità, c’è la sua profonda esperienza spirituale. 

«Pervenire ad una precisa identificazione dell’esperienza spirituale di Don Bosco non è un’impresa facile. 
Questo è forse l’ambito di Don Bosco meno approfondito. 
Don Bosco è un uomo tutto teso al lavoro, non ci offre descrizioni delle sue evoluzioni interiori, né ci lascia riflessioni esplicite sulla sua vita spirituale; non scrive diari spirituali; non dà interpretazioni; preferisce trasmettere uno spirito, descrivendo le vicende della sua vita
 oppure attraverso le biografie dei suoi giovani. 
 Non basta certo dire che la sua è spiritualità di chi svolge una pastorale attiva, non contemplativa, una pastorale di mediazione fra spiritualità dotta e spiritualità popolare»" .

(Don Pascual Chavez, RM)

giovedì 15 agosto 2013

SOLENNITA' DELL'ASSUNZIONE DI MARIA VERGINE



Rubens, Assunzione della Vergine


O Dio onnipotente ed eterno, che hai innalzato alla gloria del cielo in corpo e anima l'immacolata Vergine Maria, madre di Cristo tuo Figlio, fa' che viviamo in questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni, per condividere la sua stessa gloria



Da uno scritto di P.Pio:

"I grandi avvenimenti meritano di essere grandemente commemorati.
Questo è quanto vediamo farsi costantemente.
Per i figli più affezionati le più belle date sono quelle che ricordano i trionfi, le glorie della loro madre.

Noi cattolici che veneriamo in Maria santissima la madre più tenera ed affettuosa che dir si possa, non possiamo far a meno di esultare di gioia in questo giorno sacro alla memoria del suo maggior tronfo, voglio dire la sua assunzione al cielo e la sua incoronazione a regina degli angeli e di tutti i santi.
Tratteniamoci dunque a considerare la potenza e la gloria di Maria santissima assunta in cielo, per infervorarci maggiormente alla devozione ed alla fiducia verso di lei.

Quale lingua potrà degnamente descrivere l'ingresso trionfante di Maria nel cielo?
Se i trionfi che si preparano quaggiù destano tanta ammirazione e così grande entusiasmo da commuovere e attirare a contemplarsi numerosi popoli, che cosa si potrà mai dire del trionfo preparato da Dio medesimo alla madre sua?
S. Anselmo afferma che il Redentore volle salire al cielo prima della madre non solo per apparecchiarle un trono degno di lei nella sua reggia, ma anche per rendere più degno di lei nella sua reggia, ma anche per rendere più tronfale e glorioso il suo ingresso in cielo, andandola ad incontrare egli stesso con tutti gli angeli ed i beati del paradiso.
Percoò s. Pier Damiani non dubita di dire che l'assunzione di Maria al cielo fu più gloriosa dell'ascensione di Gesù Cristo, perchè, mentre a Lui vennero incontro soltanto gli angeli, a Maria santissima mossero incontro non solo gli angeli, ma ancora i santi e Gesù Cristo medesimo a capo di tutti.

Le porte esterne si schiudono, e la madre di Dio vi entra.
Non appena i beati comprensori la vedono, compresi dallo splendore della sua bellezza, le muovono tutti giulivi e festanti incontro, la salutano e la onorano coi titoli più eccelsi, si prostrano ai suoi pied, le presentano i loro omaggi, la proclamano concordemente loro regina.

Alla festa degli angeli si unisce la Triade sacrosanta.
Il Padre accoglie in lei la sua prediletta  e la invita a prendere parte alla sua potenza".

martedì 13 agosto 2013

I BAMBINI AL SICURO E QUELLI SMARRITI -riflessioni sul Vangelo di oggi


Il Vangelo di oggi (Mt 18,1-5; 12-14) si presenta apparentemente come spezzato in due parti: 
  • nella prima Gesù parla dei "convertiti" che si fanno "come bambini" e accogliendo in tal modo il Regno dei Cieli, ricevono veramente l'eredità promessa.
  • nella seconda  il Maestro sembra virare -cambiare discorso- mettendosi a parlare della pecora smarrita, ma sempre attraverso la metafora del fanciullo.

Evidentemente, il nesso c'è, anche se ad una prima lettura sfugge.

Basilica di M.Ausiliatrice , Torino

Può venire in aiuto una parabola, quella del figlio prodigo (Lc 15,11-32) parla di un... bambino che si smarrisce, quello che il padre, ad un certo punto della storia, sembra "perdere".
Ed è una storia che ci viene narrata dopo altre due parabole (Lv 15,4-10), quella della pecora perduta e della dramma perduta. Ad indicarci che il concetto è lo stesso, anche se la "pecora" che si perde può essere identificata ricorrendo a varie metafore.

Può tornare utile alla riflessione anche il tema affrontato  da Ezechiele (al capitolo 34) particolarmente ai versetti 15-16. 
Il Signore riconduce all'ovile la pecora perduta, ma che fare anche distinzione fra "pecora grassa e pecora magra".

Facilita la meditazione sul Vangelo odierno anche Gv 10,16: Gesù ha altre pecore, di altri ovili...e anche queste vanno ricondotte all'ovile vero, all'unico BUON PASTORE.

Facendo un po' una sintesi riflessiva su questi spaccati biblici è facile notare come solo una volta si parli di "lontani", di pecore di altri ovili. 
In tutti gli altri casi le pecore, i "bambini" sono -almeno esteriormente- in casa propria, nel recinto del Pastore, ma decidono (più o meno consapevolmente) di allontanarsene.

La responsabilità maggiore, insomma, non grava tanto su quelli che stanno "fuori", quanto piuttosto su quelli che sono "dentro" e che  -teoricamente- dovrebbero godere delle sicurezze maggiori.

Il punto allora è: il cattolico si sa fare "bambino", affidarsi a Dio, lasciarsi prendere per mano da Colui che ama con cuore di padre e di madre, per non scappare verso spiagge solo apparentemente più attraenti?

Il Figlio prodigo dimostra che non sempre l'uomo -fatto veramente "padrone" quasi egli stesso nella casa del Padre- riesce a godere santamente di questa fiogliolanza divina.
Per inseguire le chimere dell'autonomia e della gestione in proprio delle ricchezze che gli spettano, il figlio minore si stacca dalla mano del Padre.
Non si rende conto che rimanere con lui non era un'amputazione della sua crescita, ma sinonimo di una garanzia: quella di farsi accompagnare, guidare dalla mano sapiente, esperta, saggia del Padre.
Dall'altra crede di avere mezzi materiali e umani sufficienti per reggersi in piedi da solo.

Il figlio minore ha male interpretato il concetto di "adulto".

La stessa cosa ha fatto il popolo di cui parla Ezechiele, ma qui la Parola del Signore è forte, quasi dura finanche nei confronti dei Pastori: con la loro disattenzione ai veri bisogni delle pecore, ne hanno causato lo smarrimento.

Il rimprovero è pesante: da un lato Gesù, oggi, ci dice che se vogliamo seguirLo dobbiamo essere docili come fanciulli, fare di noi stessi non "adulti senza Padre", ma "bambini che per un padre, pur crescendo, rimangono sempre figli da accompagnare" e quindi porre la nostra mano nella Mano di Dio.
Dio non è un Papà che vuole imprigionarci in un'età di ignoranza: ci manda come pecore in mezzo ai lupi, invia i Suoi ad ammaestrare tutte le genti, fino ai confini della terra, ci esorta ad essere sale della terra.
Però, con una "clausola" per la buona riuscita: NON DISTACCARCI DAL PALO DELLA VITE...perché niente si può fare senza Dio (cfr Gv 15,5).

D'altro canto, il Signore, vuole spingere i Suoi Ministri ad essere realmente paterni nei confronti dei "Suoi bimbi", delle Sue pecorelle.

Insomma, il primo invito all' UNITA' è rivolto a quelli che già abitano nella casa del Padre, affinché non si lasciano sviare da false chimere, ma rimangano saldamente ancorati alla SORGENTE ETERNA DELLA VITA.

Qui si può inserire quell' "Ut unum sint" richiamato in Giovanni 10,16, in cui torna il tema della "pecora" da condurre all'ovile.
Questo passaggio permette una rilettura molto più ampia della Parola di oggi e fa allargare i nostri orizzonti in termini di responsabilità, di testimonianza, di impegno, non solo verso i nostri fratelli cattolici, ma anche verso i cristiani di altre confessioni.

 Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica "UT UNUM SINT" parla di preghiera e dialogo come mezzi di unità fra i cristiani.

Aggiunge anche un altro fattore, la cooperazione ecumentica al n.40: 
"Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani"


C'è poi un ulteriore elemento, che viene richiesto a noi, singolarmente e collettivamente: dimostrare -con la nostra vita di "bambini sempre fra le braccia del Padre", la nostra "fedeltà:
 
"Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena, che sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. 
Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa.  (n 82)

E al n. 102 ci viene detto come ottenere quello che ci preme:

"Come ottenerlo? In primo luogo con la preghiera. 
La preghiera dovrebbe sempre farsi carico di quell'inquietudine che è anelito verso l'unità, e perciò una delle forme necessarie dell'amore che nutriamo per Cristo e per il Padre ricco di misericordia.
 La preghiera deve avere la priorità in questo cammino che intraprendiamo con gli altri cristiani verso il nuovo millennio. Come ottenerlo? Con l'azione di grazie, perché non ci presentiamo a mani vuote a questo appuntamento: "Anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza [...] e intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26), per disporci a chiedere a Dio quello di cui abbiamo bisogno. 

Come ottenerlo? 
Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico.

E se volessimo chiederci se tutto ciò è possibile, la risposta sarebbe sempre: sì. La stessa risposta udita da Maria di Nazaret, perché nulla è impossibile a Dio.

Mi tornano alla mente le parole con le quali san Cipriano commenta il Padre Nostro, la preghiera di tutti i cristiani: "Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. 
Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"
Che il Signore ci aiuti ad essere sempre "piccoli" fra le Sue braccia e ci dia la forza necessaria per collaborare -con Lui, in Lui, per Lui- all'unità fra tutti  cristiani.

lunedì 12 agosto 2013

Preghiera da recitarsi come Triduo per la Madonna Assunta

 
 
(Murillo- Assunta)
 
 
O Maria immacolata assunta in cielo, tu che vivi beatissima nella visione di Dio:
di Dio Padre che fece di te alta creatura,
di Dio Figlio che volle da te essere generato uomo e averti sua madre,
di Dio Spirito Santo che in te compì la concezione umana del Salvatore.

O Maria assunta nella gloria di Cristo nella perfezione completa e trasfigurata
 della nostra natura umana.
O Maria porta del cielo, specchio della luce divina, santuario dell'alleanza tra 
Dio e gli uomini, lascia che le
nostre anime volino dietro a te, lascia che salgano dietro il tuo radioso cammino
 trasportate da una 
speranza che il mondo non ha, quella della beatitudine eterna.
Confortaci dal cielo o Madre pietosa e per le tue vie della purezza e della 
speranza guidaci un giorno
all'incontro beato con te e con il tuo divin Figlio, il nostro Salvatore Gesù. 

Amen

sabato 10 agosto 2013

"E IL SEMINATORE USCI' A SEMINARE".... Riflessioni sulla Parola di oggi


Il Vangelo di oggi (Gv 12,24-26) ci presenta una scena legata all'attività dei campi, secondo il linguaggio tipico di Gesù che -esprimendosi in parabole- non disdegnava di ricorrere a schemi ben conosciuti anche dai meno dotti del tempo.

In realtà siamo davanti ad un codice linguistico che permea un po' tutta la Bibbia, nella quale non è difficile imbattersi in scene di agricoltori, vigne, falci e altri elementi della vita rurale che -nei loro meccanismi regolati da leggi della natura- si fanno "analogie" della vita spirituale.

Meditando su questo breve episodio giovanneo, questa mattina, si sono spalancate nella mia mente -e nel mio cuore- tante finestre: pagine di Parola che raccontano di seminatori, covoni, campi d'uva, e raccoglitori.
Pagine che vorrei condividere con voi.


La prima finestra che si è aperta è la parabola del seminatore riportata in Mc 4,1-20, in Mt 13,3b-9 e in Lc 8, 4-15.

Cristo, Seminatore di Parola e di Vita, semina i chicchi...ma,dove cadranno?
La parabola ci parla di terreni differenti (per nessuno di essi  - ad una lettura attenta- sembra chiudersi completamente la porta della speranza) tuttavia, è solo "sulla terra buona" che il seme produce frutto, seppure in percentuale differente.
Il seme -che è la Parola- facendo morire l'uomo a sé stesso, per conformarLo a Cristo- porta il frutto di una vita nuova nello e dello spirito.
Sequela, significa, se volessimo dirlo in termini altrettanto agricoli, quasi una "trasformazione, un'ibridazione" del chicco seminato: fare di esso non semplicemente quello che potrebbe essere per sua inclinazione naturale, ma quello che il Seminatore sa che potrà diventare per aspirazione e ascesi SPIRITUALE.
Tirare fuori il meglio del semino e "mortificare" il peggio...
Modificare il chicco impiantando in esso le buone qualità di un Chicco di natura superiore...


A questo punto, quasi come in una sequenza, la riflessione mi ha portato alla scena di un'altra parabola (che non a caso, in Matteo, compare in successione a quella del seminatore!): la parabola della zizzania (Mt 13,24-30)

Il seme cade nella terra, anche in quella buona, dove il Seminatore ha faticato per avere del buon grano.
Arriva un seminatore cattivo e sparge, fra le spighe, anche delle erbacce: la zizzania.
Questo imprevisto nella scena della semina, apre -attraverso questa seconda finestra di Parola- uno spiraglio negativo sulla storia del campo coltivato.
Offre lo spunto per pensare che non ci sia solo la morte "a sè stessi", quella che lega il chicco al desiderio di farsi come il Chicco di Grano per eccellenza.
C'è anche la "morte" legata alla presenza della zizzania nel campo.
Una morte quasi da "soffocamento" in certi casi, da "sopportazione" in altri, da "convivenza" nella maggior parte delle situazioni.

Gramigna, detta anche zizzania
La zizzania preme per soffocare il grano, pare assorbire tutto il terreno e il nutrimento per sé.
A volte sembra riuscirci: ed ecco allora tanti martiri nella carne e nello spirito.
Più frequentemente tende a prendere molto spazio nel campo ed è il caso di vivere sopportando con pazienza le continue ingerenze dell'erbaccia...
Più frequentemente ancora, occorre imparare a convivere con il male che non tange direttamente e da vicino il grano, ma che in ogni caso si ritrova nell'immenso campo di grano che è la storia umana.
Vivere da buon chicco di grano, cadere e morire nel terreno è anche questo: accettare e sopportare pazientemente quel male che -nel mondo- non è mai opera di Dio, ma che Egli permette, per saggiare i buoni come l'oro nel crogiuolo (Sap 3,6), nella certezza che, alla fine dei tempi, il grano sarà separato dall'erba cattiva.

I frutti di una "resistenza" al male, saranno di certo ben più rigogliosi (più meritori!) di quelli di una pianta cresciuta in mezzo ad un campo sgombro da erbacce.
Il grano che sopporta avrà la vita, la zizzania sarà l'ultima ad essere estirpata e perirà.
Non a caso, l'etimologia della parola zizzania ci riporta a "nuoccio" e "vado in malora, perisco".
Ecco, la gramignia cerca di far del male ai buoni, di nuocere agli altri, ma come dice il suo stesso nome, finisce con il determinare da sola la propria fine!
Grano, invece, etimologicamente rimanda a "macerarsi" (quindi al morire), ma anche al "crescere, disseminarsi" cioè a produrre VITA!

Il terzo passaggio evangelico che a questo punto ha catturato la mia attenzione è il versetto di Gv 4,37: 

"Uno semina e uno miete"



A prima vista, questa terza finestra sulla Parola sembra spalancarsi senza apparente nesso con il Vangelo di oggi e con le altre due finestrelle...ma se provassimo a fare una lettura continuata dei capitoli 4 di Mc e 13 di Mt troveremmo altre parabole come quelle del Grano di senapa e del Lievito (Mc 4,26-32 e Mt 13,31-33).

E' come se -ad un certo punto- qualcosa cambiasse nel normale ordine delle cose: il Seminatore ha seminato; accanto al grano è cresciuta anche la zizzania, ma il seme caduto e morto in terra è divenuto SEMINATORE A SUA VOLTA!  
E' nuovamente proprio il linguaggio agricolo -della natura- che ci viene incontro: le piante producono altre piante e i frutti altri frutti, spesso senza l'intervento umano, attraverso la "disseminazione" ad esempio ad opera del vento, dell'acqua, o degli stessi frutti che, cadendo in terra, marciscono e lasciano che il seme interno venga riassorbito e germogli.

Da questa morte del chicco deriva lo spettacolo di una nuova semina.
Sembra allora potersi dire, con San Giovanni: anche noi seminiamo, ma non sappiamo dove cadrà questo seme, su quanti e quali terreni arriverà (sul terreno buono, sassoso, sulla strada, fra i rovi), né saremo sempre noi a raccogliere i frutti di quella semina.

Ma il nostro "morire" per vivere e dare vita ad altri avrà la sua ricompensa:

 "E chi miete 
riceve salario e raccoglie frutto 
per la vita eterna, 
perché ne goda insieme chi semina e chi miete".

(Gv  4,36)

La morte del seme -con la sua sofferenza iniziale- e la vittoria finale nel godimento eterno,  rimandano al Salmo 126,6 :
  
                                               
                                                          "Nell'andare, se ne va e piange,
                                                         portando la semente da gettare,
                                                        ma nel tornare, viene con giubilo,
                                                               portando i suoi covoni"

Il nostro piccolo seme diventa un grande albero sotto i cui rami tanti trovano ristoro (cfr Mt 13, 31-32) sia che dormiamo, sia che vegliamo dopo esserci "spesi" per gli altri (cfr Mc 4,26-28); quel seme diventa un impasto che lievita e si gonfia sempre di più (Mt 13,33).

Paradossalmente, quasi Gesù, il Primo e Unico Seminatore, ci chiede soltanto di non farci domande, di di non interessarci sul dove cadrà il nostro seme, di non chiederci se e quanto raccoglieremo, perché, come dice l'Ecclesiaste:

 
"Chi bada al vento non semina mai
e chi osserva le nuvole non miete".

(Qo 11,4) 



Allora, così come la finestra si era spalancata sulla Parola, allo stesso modo si conclude, passando da Cristo a me stessa, a ciascuno di noi: 


"Ecco, il seminatore uscì a seminare"  

(Mt 13,b)
Van Gogh, Seminatore col sole al tramonto.
Il titolo dell'opera fa pensare ad un inno che si recita a Vespro: "Tu al sorger della luce ci chiamasti al lavoro nella mistica vigna. Or che il sole tramonta, largisci agli operai la mercede promessa"