sabato 25 luglio 2020

Pensieri per lo spirito

IL TESORO NELLA MATRIOSKA
Riflessioni sul Vangelo della XVII Domenica del T.O.






«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». 
(Mt 13,44-52)




Campo, mercato, mare, casa: Gesù sembra dare delle precise coordinate "spaziali" che definiscano l'area in cui si trova il "Regno". Ma si tratti di "luoghi" che diventano metafora di un concetto che anche altrove il Maestro ribadisce: il Regno di Dio è in mezzo a noi, dovunque noi siamo. È nelle nostre realtà, quelle che quotidianamente abitiamo, nelle realtà concrete che ci ospitano. Gesù usa parole che parlano il linguaggio del nostro mondo reale, delle situazioni che conosciamo, dei terreni che abitiamo. Campo, mercato, mare, casa. Realtà che parlano un linguaggio a noi ben noto, il linguaggio della vita che si dipana nella crescita del seme, nello scambio che è di commercio e di culture, nelle acque che sono fonte di vita e spazio del viaggio, nella casa che è l'ambito degli affetti, della sicurezza, del riposo, della gioia.
Sembra tutto quasi organizzato come in una matrioska: il Regno è nel mondo, passa attraverso le diverse situazioni in cui noi lo "abitiamo" e così – per analogia ed estensione – si può concludere dicendo che, come il tesoro sta nel campo e la rete raccoglie i pesci solo quando è gettata nel mare, così il Regno è nella nostra anima che è nostro più intimo terreno, luogo in cui "trattare" con noi stessi per compiere il bene, mare in cui il supremo Pescatore getta la rete per raccogliere pesci buoni...
Scegliendo di incarnarsi, Gesù non ha fatto che mostrare realmente come il Cielo e la Terra siano profondamente legati; quanto questo mondo transitorio e quello futuro ed eterno siano interconnessi; come la realtà spirituale e quella materiale non siano in contrapposizione, a meno che noi non li facciamo entrare in conflitto. Il mondo e noi stessi conteniamo già il Regno, ma esso è nascosto, sepolto sotto molte cose: il male che impedisce di vederlo, gli egoismi, le difficoltà, le distrazioni...
Se sappiamo cercare e "comprare" il campo che contiene il tesoro, se sapremo ciò "padroneggiarlo" per quello che ha di buono, senza puntare a ciò che in esso e negativo e senza farci dominare da esso, allora potremo portare quel tesoro – il Regno – dovunque noi andremo e in questo modo potremo attuare la vera "rivoluzione" che ogni cristiano dovrebbe realizzare: quella di vivere da veri figli di Dio, da "buoni pesci" che alla fine saranno riconosciuti tali per aver operato animati dall'amore di Dio. Perché l'amore è quel tesoro che non si esaurisce mai, da cui si possono trarre sempre cose nuove, in cui non ci si può stancare, annoiare, perdersi... perché «l’amore» – come dice papa Francesco – «per sua natura è creativo», e, fa eco san Paolo, «la carità non avrà mai fine» (1Cor 13,8).

sabato 18 luglio 2020

Pensieri per lo Spirito

COME CRISALIDI
IN ATTESA DI DIVENTARE FARFALLE
Riflessioni sul Vangelo della XVI Domenica del T.O.





 In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme
nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, 
seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 
Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: 
“Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? 
Da dove viene la zizzania?”. 
Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. 
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 
No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, 
con essa sradichiate anche il grano. 
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura 
e al momento della mietitura dirò ai mietitori: 
Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; 
il grano invece riponètelo nel mio granaio”». 
(Mt 13,24-30)

Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli 
è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto,
è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, 
tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
(Mt 13,31-32)




La parabola del grano e della zizzania di primo acchito può trarre in inganno, facendoci sembrare che Gesù sia semplicemente preoccupato di salvaguardare il grano buono... ma una lettura più approfondita di questi versetti fa invece risaltare la grande misericordia di Dio anche e proprio nei confronti di quella che al momento presente sembra la zizzania del campo! Dio, infatti, non fa nulla anzitempo, ma lascia a ogni uomo la possibilità di "portare frutto", perché Egli è il pastore che va in cerca della pecora malata, dispersa, perduta... lasciando intanto le altre 99 «nel deserto» (Lc 15,4), finché, «pieno di gioia» non ritorna anche con la pecora smarrita, caricata sulle proprie spalle.
Si potrebbe tracciare un parallelo fra la parabola del grano e della zizzania e altre due, narrate sempre da Matteo. La prima è quella del padre che aveva due figli, raccontata in 21,28-31. I due figli vengono mandati entrambi dal padre a lavorare nella vigna di famiglia. Il primo risponde subito di sì, presentandosi agli occhi del genitore come il "buono" della situazione... perché l'altro dice invece senza mezzi termini che lui invece no, non sarebbe andato a lavorare! Com'è diversa a volte, però, la realtà, rispetto alle parole! Il primo dei due figli, rimangiando quanto detto poco prima, non mette piede nella vigna; il secondo, al contrario, rimangia anch'egli le proprie parole, ma per agire meglio rispetto a come aveva pensato di fare, e va a lavorare, diventando, di fatto, il vero "buono" della situazione. 
Se il padre della parabola avesse dovuto giudicare i due figli solo sulla base delle loro risposte, dando al migliore "un premio", certamente avrebbe fallito. Sarebbe stato tratto in inganno da una parola non corrispondente ai fatti. Dio però non è un padre di questo tipo, perché non ricompensa chi solamente dice «Signore, Signore» (Mt 7,21), ma chi fa veramente la sua volontà. 
Nel narrare la parabola dei due figli, Gesù non si addentra nella storia di quella famiglia, non si sofferma sul comportamento dei due figli fino a quel momento. Forse uno era sempre sembrato educato e obbediente e l'altro no... un po' come nella parabola del Figlio prodigo (Lc 15,11-32); ma a volte le apparenze ingannano, e nella vita lo si sperimenta molte volte: alcuni agiscono indossando una maschera di bell'aspetto, mentre dentro sono come i sepolcri imbiancati di cui parla Gesù (Cfr Mt 23,27); altre volte qualche persona buona si "perde per strada", deviando dalla via del bene a seguito di imprevisti, disgrazie, o per pigrizia che impedisce di coltivare una vera via di preghiera umile. Altre volte ancora... qualche pecora nera si tramuta in pecora bianca: è il mistero della conversione!
Sradicare la zizzania quando ancora il grano non ha portato frutto significa potenzialmente mozzare la libertà degli uomini: quella di continuare a essere grano buono; di diventare o mostrarsi zizzania; quella di convertirsi, passando dall'essere l'erba cattiva all'essere l'erba buona.
Sradicare la zizzania quando ancora il grano non ha portato frutto significa poter sbagliare nel dare "il premio": ecco che la parabola del grano e della zizzania si lega anche a quella narrata in Matteo 20,1-16. Solo alla fine della giornata il padrone della vigna pagherà gli operai chiamati a giornata, e a tutti, anche a quelli dell'ultima ora, darà la stessa ricompensa, perché si tratta di un padrone buono, che fa delle sue cose secondo il suo volere, che è un volere di bontà, di amore, di misericordia.
Noi siamo il grano e siamo la zizzania. Il tempo della nostra vita è un tempo di lotta continua, e fino alla fine siamo chiamati a dire il nostro sì... da questo dipende cosa saremo alla fine, cosa saremo "definitivamente", se grano o zizzania: felici eternamente con Dio o eternamente disperati senza di Lui.
Ed è confortante sapere che Dio ci ama e ci dona tutto il tempo necessario per scegliere cosa diventare, in cosa trasformarci momento dopo momento, rialzandoci anche dopo le inevitabili cadute. Se dunque Dio agisce così, anche i suoi figli sono chiamati a "sospendere il giudizio definitivo" su ogni creatura. Così, se da un lato a volte siamo spinti a giudicare delle azioni che sono palesemente e inequivocabilmente non buone, dall'altro dobbiamo anche lasciare aperti degli spiragli di cambiamento agli altri, pensando che tutti noi siamo come crisalidi potenzialmente in attesa di diventare delle farfalle; 
sapendo che la conversione è sempre possibile, per via di quel famoso «punto accessibile al bene» di cui parlava don Bosco, e che è presente in ogni essere umano. Quel punto che è piccolo come un seme, un seme da cui può nascere grano buono, un seme da cui può spuntare e crescere il regno di Dio... un grande albero da un piccolo seme.