Nel corso del triduo a san Francesco di Paola, abbiamo avuto modo di meditare sull'ascesi tipica della sua vita quaresimale, sviluppandola nella declinazione di una "forza liberatrice" verso Dio, verso l'uomo e verso le realtà e le pesone del proprio tempo.
C'è un aspetto - nella biografia del santo paolano - che non ha solo il sapore di un dettaglio cronologico, ma che, nel suo significato più profondo, si può ricondurre alla forza liberante che proprio nella vita ascetica, "quaresimale", san Francesco aveva già imparato a fare propria.
Questo aspetto biografico è ben più che un "particolare" insignificante: per ben ventiquattro anni, gli ultimi della sua vita, san Francesco dimora in terra straniera, a Plessis-les-Tour, in Francia.
Vi fu chiamato per "capriccio" dell'allora re di Francia, Luigi XI, sovrano che aveva consolidato la monarchia e la potenza del regno ricorrendo alla violenza, al sopruso ed alla completa mancanza di scrupoli, anche nei confronti dei suoi stessi familiari.
Indebolito a seguito dell'apoplessia che lo aveva colpito e desideroso di continuare a vivere per regnare sul trono di Francia, ricorre inizalmente a medici, astrologi e maghi.
Alla fine, avuta notizia della fama di questo grande taumaturgo della Calabria, lo manda a chiamare tramite il Re di Napoli.
Inizialmente Francesco di Paola declina e solo quando Papa Sisto IV gli ingiunge di raggiungere la terra straniera, per obbedienza - e comprendendo che quello era il volere di Dio - il santo parte.
Giunto dal re, non gli promette la guarigione fisica, ma - con pazienza e sopportazione di molte prove - gli ottiene alla fine quella spirituale, dono ben più
grande, attraverso il quale lo prepara al prossimo incontro con il
Signore.
San Francesco non farà più ritorno in Calabria: un distacco radicale, preparato dalla vita ascetica, quaresimale, che fino ad allora aveva condotto.
Neanche del suo corpo rimarrà nulla: custodito per più di cinquant'anni in terra di Francia, le sue spoglie verranno ala fine bruciate dagli Ugonotti.
E' stata l'ascesi, quell' "esercizio" al distacco dal non necessario che ha reso san Francesco capace anche dello strappo forse più totale e difficile per lui: non rivedere più i suoi luoghi natii, non poter rimettere piede nei suoi conventi, non incontrare più la maggior parte dei suoi amici e dei suoi familiari, passare da una vita "semplice" in un mondo semplice, ad una vita da ricostruire "semplice" all'interno di una realtà di corte complessa e aristocratica, infine - ma non da ultimo - essere costretto a ritrovarsi in una terra in cui, come ben vent'anni prima della sua partenza, aveva predetto ad un amico: "è necessario andare" pur se "non capiremo la lingua, nè loro la nostra, ma è volontà di Dio".
San Francesco ci insegna dunque la capacità di saper leggere - dopo opportuno discerimento - nei segni della storia, negli eventi concreti, nella parola di chi è al di sopra di noi, le indicazioni che ci vengono da Dio ed alle quali Egli ci chiede di aderire liberamente.
Possiamo infati scegliere se compiere la Sua volontà o meno: a volte alcuni passi sono dolorosi, ma si rendono necessari nel nostro percorso verso la santità e per il bene di molte anime.
Impariamo dal Santo di Paola a non opporre resistenza alla voce di Dio che si manifesta in molti modi, impariamo da lui a saper dire "sì" anche quando questa libera accettazione delle Sue richieste è per noi risposta sofferta, disponibilità costosa.
Un augurio sentito a quanti - come me - quest'oggi festeggiano il santo Patrono della propria regione (la Calabria), alla gente di mare che lo ha per protettore, a tutto l'Ordine dei Minimi e a chi porta il nome di questo santo.
SAN FRANCESCO DI PAOLA, IL SANTO DELLA QUARESIMA
L'ascetica come forza liberante...fino al distacco dalla terra natia
ci hai voluto arricchire dei beni
celesti:
concedici che,
sull'esempio del nostro protettore
san Francesco,
possiamo vivere col cuore distaccato
dai beni di quaggiù
AMEN
Dal libro "Scritti su San Francesco di Paola" di Mons. Giuseppe Morosini:
«Quando gli ambasciatori del re di Francia giunsero da Francesco a Paterno, ove allora egli si trovava, e consegnarono l'invito del loro re Luigi XI, Francesco subito lo declinò.
Egli non lesse o non intravide in tale invito la vlontà di Dio.
Certamente seppe dagli inviati del re che il motivo della richiesta del sovrano era il desiderio di ottenere un miracolo.
Ma lui tante volte aveva insegnato che il miracolo esige un contesto di fede e un progetto di Dio, che nessun uomo può forzare.
Rifiutò ancora quando intervenne il re di Napoli a sollecitare la partenza.
Si arrese solo dinanzi all'obbedienza formale impostagli d papa Sisto IV.
Il rifiuto iniziale può apparirci molto strano, se pensiamo che proprio lui nel passato, aveva già predetto questo viaggio.
Partire per andare a compiere un miracolo su commissione, non era certo un segnale di Dio per Francesco: chi era lui per decidere di compiere un miracolo?
Ogni volta che li aveva operati, ea sempre nella preghiera che aveva colto il volere di Dio e non nelle trame politiche dei grandi della terra.
Già nel rifiuto di S. Francesco a partire si possono rilevare alcuni elementi utili a tracciare il suo identikit come emigrante, che non è quello consueto dell'emigrante, che lascia la sua terra per i motivi più disparati e sogna di ricreare altrove quelle condizioni di vita, che non a conosciuto nellasua terra di origine, alla quale rimae comunque legato.
S. Francesco di Paola non lascia la sua tera deliberatamente.
Sappiamo che egli aveva intrapreso questo viaggio all'insegna della sottomissione alla volontà di Dio.
Per nulla avrebbe lasciato la Calabria e soprattutto la sua famiglia religiosa che stava muovendo i primi passi, se non ci fosse stato un iscernimento di fede, fatto alla luce dell'obbedienza impostagli dal papa Sisto IV.
Il trasferimento in Francia avvenne all'insegna della fede, come quello di Abramo.
Sappiamo che egli aveva intrapreso questo viaggio all'insegna della sottomissione alla volontà di Dio.
Per nulla avrebbe lasciato la Calabria e soprattutto la sua famiglia religiosa che stava muovendo i primi passi, se non ci fosse stato un iscernimento di fede, fatto alla luce dell'obbedienza impostagli dal papa Sisto IV.
Il trasferimento in Francia avvenne all'insegna della fede, come quello di Abramo.
Quando partì, al'età di 67 anni, egli era impegnato nel progetto di consolidamento organizzativo e giuridico del suo movimento religioso e di espansione del medesimo nei confini del regno di Napoli.
Ma non parte per espandere il suo Ordine.
Egli decide di partire solaente per obbedire al papa, senza alcun progetto su di un futuro ce lo riguardasse, con l'interiore speranza di ritornare, anche se tale speranza era combattuta dal timore di dover chiudere i suoi giorni in terra straniera.
Egli parte portando con sé la sua umanità, il suo vigore, ma soprattutto la sua disponibilità a leggere nella storia i disegni della volontà di Dio.
Quali siano state le ripercussioni tra la gente per la partenza di S. Francesco per la Francia non le conosciamo.
Non abbiamo documenti in tal senso.
I biografi hanno enfatizzato la commozione del Santo per il distacco dalla sua terra, narrando delle impronte dei piedi lasciate su di una pietra.
Dumont le Romain, Luigi XI accoglie San Francesco di Paola a Plessis-les-Tour |
Francesco e i suoi compagni eremiti dovettero affrontare i problemi di ogni emigrante, anche se, per risolverli, erano agevolati dal re, interessanto al miracolo sperato in ogni gesto che compiva.
Francesco seppe rimanere sempre al suo posto, con la sua identità di povero eremita.
L'adattamento, però, al nuovo ambiente ceramente non fu dei più facili.
- Dovettero affrontare anzitutto la situazione logistica. Per rimanere fedeli alla loro vocazione eremitica, scelsero di alloggiare in alcune stanze preparate accanto alla capella diS. Mattia, costruita entro il recinto del castello.
Ma soffrirono parecchio nel loro desiderio di continuare la vita silenziosa e solitaria dell'eremo lasciato in Calabria.
Le loro abitazioni erano troppo vicine alla corte per non sentire il disturbo di un ambiente che certamente non favoriva la loro preghiera.
- C'era, poi, il problema della comunicazone a causa della lingua diversa.
Soprattutto Francesco aveva bisogno dell'interprete, in quano doveva trattare gli argomenti delicati, che gli avevano affidato il papa e il suo; la situazione, pertanto, non si presentava facile.
C'era da vincere poi l'ambiente ostile che si era creato in alcuni membri della corte, capeggiati dal medico personale del re.
Questi cercava di persuadere il re che l'eremita era uno dei tanti guaritori imbroglioni passati già, senza alcun esito, dal suo capezzale.
Tanta parte della corte non vedeva di buon occhio l'arrivo di un eremita da oltralpi.
Luigi XI, da una parte frequentava quotidianamente l'eremita che aveva fatto veire dalla Calabria nella speanza di ottenere il miracolo dellaguarigione, dall'altra parte, visto che il miracolo tardava a venire, sembrò cedere alle pressioni di quanti parlavano male di Francesco.
Lo fece pertanto sorvegliare di nascosto e lui stesso lo provocò con la corruzione.
Il re cedette alla fine, quando lui stesso provò la rettitudine, dopo che anche quanti erano stati incaricati a spiare l'Eremita gli riferirono del suo stile di vita, tutto preghiera e penitenza; e dopo che con la figlia Anna nel parco assistette all'estasi di Francesco.
S. Francesco visse con sofferenza o disagio interiore l'ostilità di un mondo dove, suo malgrado, era finito per obbedienza al papa.
- Francesco doveva contemporaneamente salvaguardare lo stile della sua vita, aiutare il re in un processo di ravvedimento spirituale, e svolgere la missione diplomatica affidatagli dal suo re e dal papa all'interno di una realtà che immediatamente si mostrò ostile.
- Bisognava, inoltre, sottoporsi ad un duplice adattamento riguardo al cibo, sia per a diversità culturale tra Francia e Italia, sia soprattutto per far accettare la sua rigorosa penitenza quaresimale, non più capita in Francia dagli Ordini religiosi, che pur avrebbero dovuto osservarla, anche se non con il rigore con il quale Francescola viveva e l'aveva proposta ai suoi religiosi.
Ma Francesco non approfitta della prodigalità del re e provvede lui stesso al suo nutrimento, cotivando verdure in un pezzo di giardino messogli a disposizione dal re.
- La lontananza dalla sua terra e i problei del suo movimento religioso preoccupano il suo animo e lo tengono sempre all'erta.
Ma la fiducia in Dio e la coscienza di svolgere una missione voluta dall'alto, davano serenità a lui e ai frati che erano con lui, i quali certamente ebbero modo di ricordare spesso la profezia del loro padre:"Andremo in un paese dove non capiremo la lingua di chi l'abita, né loro la nostra".
Anche loro si disposero a compiere quella volontà di Dio, così come erano stati invitati a fare».
Grazie Mirta...ricambio di cuore! Un abbraccio e buon proseguimento di quaresima!
RispondiElimina