domenica 29 agosto 2010

Apostolato: banchetto di nozze con tavola rotonda...senza capotavola!




Il Vangelo di questa Domenica ((Lc14,1.7-14), potrebbe essere un interessante punto di "partenza" per analizzare il nostro modo di fare apostolato....leggendolo, per così dire, in modo "alternativo", ma non contrapposto a quello che ne è il significato di fondo che Gesù ci offre in esso.

Il punto di partenza -ce lo avranno di certo ribadito anche i nostri sacerdoti nelle loro omelie- è dato dal binomio: umiltà-generosità.
Ed è l'elemento di avvio anche per queste mie riflessioni!

Nella prima parte del Vangelo di ieri, nostro Signore ci invita a non essere "superbi", cosa che facciamo invece quando riteniamo di primeggiare in qualcosa e pretendiamo di dover  occupare  i primi posti...in qualsiasi settore della nostra vita!
Il discorso evangelico, non è , infatti, limitabile al solo ambito materiale, né al solo campo spirituale.
In verità, li "contempla" entrambi, presupponendo però che noi comprendiamo una cosa, per poter ragionare come Gesù ci invita a fare: niente di quello che abbiamo è "nostro"...

Tutto è dono di Dio: sia che si parli di intelligenza, che di ricchezza, di simpatia, di bellezza...e via dicendo.
Solo comprendendo questo, è possibile veramente contemperare umiltà e generosità: quando io capisco che il mio "possedere" qualcosa (dote materiale o spirituale che sia), non è altro che riconoscere di aver ricevuto un dono di Dio, allora posso capire anche che il mio agire, il mio dare, il mio stesso dire, il mio "essere", sono, in un certo senso, un dovere, un "compito" che mi è stato affidato. 
Io devo far fruttificare ciò che ho ricevuto gratuitamente, per farmi "sale della terra" e per offrire un concreto esempio del mio essere autenticamente cristiano!

Gesù, nella parabola dei talenti, proprio a questo ci invita: abbiamo ricevuto dei doni, facciamo in modo che portino frutto, altrimenti, saremo come il servo infedele, che andò a nascondere il talento sotto terra, per paura di perderlo.
Possiamo allora estendere e applicare il Vangelo di ieri sera, al nostro modo di fare apostolato, ricordandoci che il nostro compito è di "donare" ciò che abbiamo gratuitamente ricevuto, senza per questo doverci ritenere migliori a chi è ancora lontano da Gesù o non lo conosce affatto.

Ecco che allora diventa "immediato" collegare la Parola ascoltata oggi, con quella dei talenti , e anche con le parole di Gesù: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date"...
Avremo allora svariati elementi su cui riflettere....

Prima di tutto: noi siamo il sale della Terra!
Gesù dona a noi, affinché noi doniamo agli altri: con l'esempio, con la preghiera, con l'insegnamento....ciascuno in base ai propri talenti, alle proprie capacità e alle circostanze! 
(Si, anche in base alle circostanze, perché ci saranno casi in cui occorrerà "valutare" cosa sia meglio "offrire": se un invito alla preghiera, la Parola di Dio o un pensiero del Papa... e via dicendo...)

I carismi, come ci insegna San Paolo, sono diversi, ma tutti facciamo parte del corpo, che è la Chiesa, quindi, ognuno dà secondo ciò che ha ricevuto, e nel complesso, questo nostro dare singolarmente cose diverse, fa "agire", alimenta, sostiene, tutto il corpo...

Pensiamo ai Santi: ognuno è stato differente dall'altro, ciascuno ha dato ciò che aveva ricevuto, tutti hanno contribuito ad "arricchire", migliorare la Chiesa militante e tutti, oggi, fanno parte di quella trionfante, rimanendo dei modelli per noi!

Potremmo fare degli esempi concreti: Sant'Agostino ha "dato" attraverso i suoi scritti, coniugando intelligenza, capacità "letteraria", vita interiore.

Il curato d'Ars, ha donato principalmente, attraverso l'esempio concreto di preghiera davanti a Gesù Sacramentato, dimostrando che, realmente, nel Tabernacolo, è presente Colui che è degno di ogni onore e di ogni lode.

Santi come Don Bosco, San Cottolengo, il beato Don Gnocchi, hanno messo a frutto la propria "capacità operativa" traducendola  in opere di assistenza e supporto ai giovani, agli ammalati, agli emarginati... 

Questi, sono solo alcuni esempi della diversità di ciò che ciascuno di noi è chiamato ad offrire, per comporre -come in un mosaico- un "quadro" armonico, in cui il Signore dispensa doni diversi, che, se ben riversati sugli altri, possono diventare un insieme sinfonico di frutti che animano l'intera società.

Noi non siamo -quindi- altro che "servi inutili": è la nostra stessa missione di cristiani che ci "invita" a portare Dio a chi ancora non lo ha conosciuto o compreso nella sua Verità.
Dunque, già questo dovrebbe spingerci a essere quelli che scelgono non i primi posti, il "capotavola", ma che decidono di "mescolarsi" (nel senso migliore del termine, inteso come "stare fra", senza distinzioni), con gli altri, agli ultimi posti (senza capotavola!), considerandosi proprio i "servi inutili", di cui Nostro Signore VUOLE servirsi, pur non essendo noi, povere creature, indispensabili, all'opera della salvezza.

Ecco che allora, le parole "poveri, storpi, zoppi, ciechi", che troviamo nella seconda parte del brano evangelico di ieri sera, possono essere riferite ai "destinatari" del nostro apostolato.

Gesù ci dice di non invitare al banchetto i nostri parenti o amici; nel campo dell'apostolato, ciò potremmo intenderlo come la necessità di non andare a fare i "sapienti" con chi è già al nostro stesso livello spirituale, o con chi, addirittura, ne sappia più di noi!
Con loro potremo e dovremo parlare di cose dello spirito e vivere secondo l'insegnamento del Vangelo, ma Gesù ci vuol fare capire che il nostro apostolato, non si può "fermare" a questo.

Testimoniare il Vangelo e parlare di Dio solo con chi già lo vive nello stesso modo, è di certo utile, ma non "esauriente": sarebbe come invitare ad un pranzo chi potrà ricambiare!
Se noi diamo a chi già possiede, si innescherà una sorta di "circolo chiuso" della vita dello spirito, una specie di "scambio di cortesie" che, alla lunga, non ci faranno crescere, non ci stimoleranno nel salire nuovi gradini della nostra vita spirituale....e non saranno di aiuto a quanti non vivono ancora (o non lo fanno in pienezza), la fede!

Ecco che allora, il Signore ci parla di ciechi: coloro che non conoscono ancora Gesù;
di storpi: quelli che vivono la Parola....storpiandola, quindi "interpretandola" a modo loro, in difformità magari dal magistero, dall'insegnamento della Chiesa;
di zoppi: quelli che hanno ancora bisogno di aiuto per perseverare, per rafforzare la propria "fiducia" in Gesù;
di poveri: colo che non hanno particolari conoscenze "teologiche", "dottrinarie", o che non sono dotati di intelligenza brillantissima, ma -non per questo-  di minore capacità di amare il Signore!

Dunque, quando facciamo apostolato...andiamo incontro a queste persone, con cui condividere il nostro "banchetto", ossia quello che il Signore ci ha donato.
Potremo mettere in comune varie "pietanze": il Vangelo per chi ha bisogno di incontrare Gesù nelle Sue stesse parole; il magistero della Chiesa (purtroppo sconosciuto a tanti!), la preghiera, non solo alimento necessario alle nostre anime, ma anche e spesso, "arma" poco diffusa; l'esperienza dei Santi che abbiamo imparato a conoscere attraverso i loro scritti....e poi, anche la carità concreta, che si manifesta in molti modi... (con attenzioni piccole e grandi).

Questa condivisione, realizzata senza sedere "a capotavola", ci porterà a "crescere" nel dare, anche quando ci sembrerà di non ricevere nulla in cambio. 
Ci farà amare disinteressatamente il prossimo, a fare tutto solo per amore di Gesù e non  per essere lodati dagli uomini, ci renderà capaci di correre il rischio di non vedere crescere negli altri quello che abbiamo seminato.

Ma il Signore ci invita, a questo punto, a non fare come il servo pauroso, che preferisce nascondere il talento, per non correre questo rischio: Gesù ci assicura che, anche quando non avremo un "contraccambio" visibile, non perderemo per questo i doni che Lui ci ha fatto (a partire dalla fede, se sapremo mantenerla viva!).
Sarà a quel punto che, pur senza avere apparentemente ricavato niente dal nostro operare, sarà il Signore stesso che ricompenserà il nostro apostolato, riservandoci un posto...in prima fila!



Buona Domenica a tutti!

venerdì 27 agosto 2010

Festa di Santa Monica

(A. Sheffer, Sant'Agostino e la madre Santa Monica)

"Nelle Confessioni, al Libro nono, il nostro Santo riporta un colloquio con la madre, santa Monica.
 È una scena molto bella: lui e la madre stanno a Ostia, in un albergo, e dalla finestra vedono il cielo e il mare, e trascendono cielo e mare, e per un momento toccano il cuore di Dio nel silenzio delle creature. 
E qui appare un’idea fondamentale nel cammino verso la Verità: le creature debbono tacere se deve subentrare il silenzio in cui Dio può parlare. 
Questo è vero sempre anche nel nostro tempo: a volte si ha una sorta di timore del silenzio, del raccoglimento, del pensare alle proprie azioni, al senso profondo della propria vita, spesso si preferisce vivere solo l’attimo fuggente, illudendosi che porti felicità duratura; si preferisce vivere, perché sembra più facile, con superficialità, senza pensare; si ha paura di cercare la Verità o forse si ha paura che la Verità ci trovi, ci afferri e cambi la vita, come è avvenuto per sant’Agostino".
(Benedetto XVI, catechesi del 25 agosto 2010)


Dalle "Confessioni" di Sant'Agostino:

"All'avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare.

Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza.

Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi, cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse in cuore d'uomo.
Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te, per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà così alta.

Condotto il discorso a questa conclusione: che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione; elevandoci con più ardente impeto d'amore verso l'Eterno stesso, percorremmo su su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole e la luna e le stelle brillano sulla terra.

E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l'esaltazione, l'ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch'esse superammo per attingere la plaga dell'abbondanza inesauribile, ove pasci Istraele in eterno col pascolo della verità, ove la vita è la Sapienza  per cui si fanno tutte le cose presente e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l'essere passato e l'essere futuro non sono in lei, ma solo l'essere, in quanto eterna, poiché l'essere passato e l'essere futuro non è l'eterno.

E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito, per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine".


Invochiamo l'aiuto di Santa Monica, con l'orazione della liturgia delle ore:

O Dio, consolatore degli afflitti, che hai esaudito le pie lacrime di santa Monica con la conversione del figlio Agostino, 
per la loro comune preghiera, 
concedi a noi tuoi fedeli una viva contrizione dei nostri peccati, 
per gustare la dolcezza del tuo perdono.
Amen

giovedì 26 agosto 2010

MEDITIAMO IL SANTO ROSARIO. I misteri della gioia

Qui potete leggere la meditazione del terzo mistero


4° mistero
 La presentazione di Gesù al Tempio

         (Domenico Torti, Presentazione di Gesù Bambino al Tempio)

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.


Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore.


Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:


"Ora lascia, o Signore, che il tuo servo


vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele".
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione
perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima". (Lc 1, 22-35)

Il cantico di Simeone, il “Nunc Dimittis”, dovrebbe essere il cantico gioioso di ciascuno di noi, di ogni cristiano che, ad un certo punto della propria vita, per “Grazia” (non di certo per merito), sperimenta l'esperienza dell'incontro con Dio. 
Un Dio magari cercato consapevolmente...oppure fino ad allora rinnegato...un Dio accantonato, o-al contrario- anelato con forza, ma senza una meta precisa...finché non cade il velo dagli occhi....e finalmente, si vede la VERITA'.

Da quel momento, la nostra vita, dovrebbe essere animata dallo stesso stupore gioioso con cui Simeone accoglie il dono della vista del Messia, quel “regalo” di infinito valore, che fa dire al vecchio nel Tempio: “Lascia che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola”.

Che “vada in pace” richiama alla mente la formula conclusiva della Santa Messa: “La Messa è finita, andate in pace”, a cui si risponde: “Rendiamo grazie a Dio”.

Ecco, il nostro incontro con Gesù, che ci deve colmare di gioia stupita e spingerci all'annuncio ed alla vita pienamente cristiana, non deve fare abbondare in noi questi sentimenti solo ed esclusivamente nel momento della conversione, del “primo” incontro consapevole. 
No, deve permearci in maniera completa, totale, giorno dopo giorno...cosi' come siamo invitati a fare proprio nell' a tu per Tu eucaristico. 
Lo scopo dell'incontro con Gesù è camminare sulla Sua strada dell'amore, e questo dono che ci viene concesso, gratuitamente, deve sempre riempirci di gioia e di stupore, pensando alla nostra piccolezza rispetto ad un Dio che da sempre ci ama e che ci consente, oggi, in questo tempo, nel nostro tempo personale, di vedere la “salvezza” da Lui preparata per ogni popolo, per tutte le genti, per tutti i tempi.

Che Maria Santissima, che  accolse con immensa gioia e con stupore, le parole rivolte da Simeone al suo Bambino, aiuti anche noi a fare della nostra esperienza cristiana, un continuo canto di gioia, in cui lo scoraggiamento per le “spade” che ci feriranno, non "superi" mai  la felicità colma di gratitudine, per il dono della fede, che abbiamo il compito di testimoniare.

sabato 21 agosto 2010

La musica sacra. Pensieri di Benedetto XVI e San Pio X



"Quale importanza ha la musica per la religione della Bibbia lo si può dedurre facilmente dal fatto che la parola cantare (con i suoi derivati) è una delle parole più usate della Bibbia. [...] Dove Dio entra in contatto con l'uomo, la semplice parola non basta più. Vengono toccati punti dell'esistenza che diventano spontaneamente canto: ciò che è proprio dell'uomo non basta più per ciò che egli deve esprimere, tanto che egli invita tutta la creazione a divenire canto insieme con lui.
(Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia)

Ascoltare il canto gregoriano, produce sempre una forte "emozione", si tratta di un tipo di "musica", che, per tutta una serie di sue connotazioni, riesce a immergere nel mistero: il Mistero per eccellenza, quello di Dio, della sua grandezza, magnificenza, degno di lode.

Proviamo a comparare un canto che tanti conosciamo, come ad es. il Magnificat, cantato in lingua volgare, magari con melodia moderna, e quello cantano in gregoriano.
La differenza sarà notevole!
Nulla volendo togliere alla musica sacra moderna, indubbiamente, il canto in gregoriano "stimola" il nostro orecchio spirituale, calandoci in un clima di maggiore raccoglimento e preghiera. 

Dice sempre il Papa, nel volume sopra citato: "nella storia della musica liturgica è dato osservare un ampio parallelismo con gli sviluppi della questione delle immagini. 
In Occidente il canto dei salmi dei cori gregoriani è stato sviluppato a un'altezza e a una purezza nuova, che costituiscono un criterio permanente per la musica sacra, vale a dire, per la musica che accompagna le celebrazioni liturgiche della Chiesa. 
Nel tardo medioevo si sviluppa da qui la polifonia e gli strumenti entrano di nuovo a far parte della liturgia.
Due nuovi fattori operano ora nella musica della Chiesa: la libertà artistica rivendica sempre più spazio anche nel servizio liturgico; la musica ecclesiastica e quella profana si compenetrano a vicenda.
E' chiaro che, aprendo alla creatività artistica e ai motivi secolari, non si poteva evitare un'insidia pericolosa: la musica sacra non si sviluppa più dalla preghiera, ma si stacca dalla liturgia proprio in forza della pretesa autonomia dell'elemento artistico, diventa fine a se stessa o spalanca le porte a forme di esperienza e di sensibilità completamente differenti; essa finisce per sottrarre alla liturgia la sua vera essenza.
Su questo punto il Concilio di Treno è intervenuto nel conflitto culturale allora in atto e ha ristabilito la norma secondo la quale nella musica liturgica l'aderenza alla parola è prioritaria [...] e indicando una chiara differenza tra la musica progana e la musica sacra.
Un secondo intervento vi è stato all'inizio del Novecento con il Papa Pio X.
Il barocco aveva riportato una sorprendente unità tra musica secolare e musica nelle celebrazione liturgica.
In chiesa possiamo ascoltare Bach oppure Mozart, in ambedue i casi sperimentiamo in maniera sorprendente che cosa significa Gloria Dei, Gloria di Dio.
Ci troviamo di fronte al mistero della bellezza infinita che ci fa sperimentare la presenza di Dio in maniera più vera e più viva di quel che potrebbe accadere attraverso molte prediche.
Ma già si annunciano dei pericoli: la dimensione soggettiva e la sua passionalità sono ancora contenute dall'ordinamento del cosmo musicale, in cui si riflette l'ordine stesso della creazione divina. Ma già minaccia di farsi strada il virtuosismo, la vanità della propria abilità, che non si pone più al servizio del tutto , ma vuole spingere se stessa in primo piano". 

Sono questi, infatti, i fattori che condussero ad un massiccio prevalere della musica operistica nella liturgia, conto i cui "pericoli" aveva già preso provvedimenti il Concilio di Trento e contro cui intervenne anche Pio X, "indicando il canto gregoriano e la grande polifonia dell'epoca del rinnovamento cattolico, come criterio della musica liturgica, che deve essere chiaramente distinta dalla musica religiosa in generale, analogamente a quello che accade per l'arte figurativa, che nella liturgia deve seguire criteri diversi da quelli dell'arte religiosa in generale.
Nella liturgia, l'arte ha una responsabilità del tutto particolare e proprio in questo modo viene a essere di continuo scaturigine di cultura".

Quello dell' "inventiva" è un problema quanto mai presente anche ai nostri giorni.
La liturgia non sempre viene animata con canti che, pur moderni, siano adeguati all'insuperabile valore infinito della Messa che viene celebrata.
Tanto più, ormai, il canto gregoriano è sempre meno frequentemente utilizzato nelle Chiese, anche nel corso di celebrazioni "ufficiali" o particolarmente importanti.
Peccato, un vero peccato, anche perché si tratta di un canto che, ancora oggi, piace a molti, come dimostrano  i dati sugli acquisti dei cd di musica sacra "gregoriana".
Evidentemente, l'orecchio allenato "al bello", riconosce quel quid pluris che il gregoriano reca in sè, un patrimonio da tutelare, dunque, non da far scomparire!
Discorso che, a maggior ragione, varrebbe nell'ambito dell'animazione musicale della Sacra Liturgia.

Papa Pio X, che si festeggia quest'oggi, nel Motu Proprio "Tra le sollecitudini del Sommo Pontefice Pio X sulla musica sacra", affermava: "la musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli.
 Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, e siccome suo officio principale è dì rivestire con acconcia melodia il testo liturgico che viene proposto all’intelligenza dei fedeli, così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli con tale mezzo siano più facilmente eccitati alla devozione e meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri.
 La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è l’universalità.
Deve essere santa, e quindi escludere ogni profanità, non solo in se medesima, ma anche nel modo onde viene proposta per parte degli esecutori.
Deve essere arte vera, non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia, che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni.
Ma dovrà insieme essere universale in questo senso, che pur concedendosi ad ogni nazione di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra nazione all’udirle debba provarne impressione non buona.


Queste qualità si riscontrano in grado sommo nel canto gregoriano, che è per conseguenza il canto proprio della Chiesa Romana, il solo canto ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e purezza.
Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.
L’antico canto gregoriano tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto, tenendosi da tutti per fermo, che una funzione ecclesiastica nulla perde della sua solennità, quando pure non venga accompagnata da altra musica che da questo Soltanto.


In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi.
 Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto".


Non si trattava all'epoca (come oggi), di "negare" ogni progresso dell'arte, in questo caso della musica, ma di rammentare che la Liturgia ha così grande valore (e che valore!), da far si che non tutti si confaccia allo splendore, alla cura, con cui deve essere animata.


Lo stesso San Pio X, infatti, sanciva che: "la Chiesa ha sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti, ammettendo a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo trovare di buono e di bello nel corso dei secoli, salve però sempre le leggi liturgiche. Per conseguenza la musica più moderna è pure ammessa in chiesa, offrendo anch’essa composizioni di tale bontà, serietà e gravità, che non sono per nulla indegne delle funzioni liturgiche.
Nondimeno, siccome la musica moderna è sorta precipuamente a servigio profano, si dovrà attendere con maggior cura, perché le composizioni musicali di stile moderno, che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano, non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro, e non siano foggiate neppure nelle loro forme esterne sull’andamento dei pezzi profani".


Il problema del "giusto" decoro liturgico, non è legato solo al passato.
Anzi, il Concilio di Trento, Papa Pio X, Benedetto XVI, ci rammentano che si tratta di un'argomentazione sempre attuale, perché altrettanto attuale è il rischio che l'uomo, pur nella produzione di "arte" vera, finisca con il confondere ciò che sia più consono alle diverse situazioni, ai diversi riti, in particolare al "Rito" per eccellenza.


Sostanzialmente, è quello a cui siamo portati anche in occasioni "spicciole", come ad es. recarci in un certo posto piuttosto che in un altro: se andiamo in spiaggia a passeggiare, indosseremo una tenuta sportiva, comoda; ma se decideremo di andare a teatro, sfoggeremo il nostro miglior vestito da sera, i nostri gioielli più belli e il nostro trucco più raffinato.
Non necessariamente dovrà essere un "trucco e parrucco" antico (il vecchio vestito anni 20 della bisnonna!), ma di certo, sceglieremo, nel caso in cui non avessimo a nostra disposizione un guardaroba "retrò", qualcosa che, pur se moderno, rispetti determinati canoni di "eleganza".

Il discorso, è, per analogia, identicamente applicabile alla Liturgia e alla musica sacra: se si tratterà di musica moderna, andranno evitati determinati "eccessi", ma sarà cosa buona non dimenticare neanche il canto gregoriano, mantenendolo in vita, come patrimonio musicale della nostra tradizione liturgica, e come massima espressione di quelle qualità descritte da Papa Pio X!

giovedì 19 agosto 2010

L'anima di ogni apostolato...



"Cari fratelli e sorelle, san Pio X insegna a noi tutti che alla base della nostra azione apostolica, nei vari campi in cui operiamo, ci deve essere sempre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. 
Questo è il nucleo di tutto il suo insegnamento, di tutto il suo impegno pastorale. 
Solo se siamo innamorati del Signore, saremo capaci di portare gli uomini a Dio ed aprirli al Suo amore misericordioso, e così aprire il mondo alla misericordia di Dio".

Sono le parole conclusive della catechesi di ieri del Santo Padre: parole che hanno portato alla mia mente il pensiero di Dom Chautard (monaco trappista), espresso nel libro "L'anima di ogni apostolato".





Si, l'apostolato lo si può intraprendere dandogli o meno un'anima, ma solo nel caso in cui l'anima sia quella giusta, quella "vera", esso produrrà frutti.

Quest'anima è proprio Gesù, con cui ci rapportiamo continuamente, in una conoscenza affettuosa, amichevole, riconoscente e sempre pronta all'ascolto, che si svolge nella vita interiore.

"Un'anima di apostolo! Essa dev'essere per prima inondata di luce e infiammata di amore, affinché, riflettendo questa luce e questo calore, possa poi illuminare e riscaldare e altre anime"! scrive Dom Chautard.

Apparentemente, l'apostolato e la vita interiore (fatta di preghiera, orazione, lettura e meditazione della Parola di Dio, partecipazione attiva e consapevole ai Sacramenti), parrebbero due realtà difficilmente conciliabili.
Ma è proprio la vita spirituale che, avvicinandoci a Gesù, ci darà la giusta misura nel compiere le opere d'apostolato...evitando quella che l'autore chiama: eresia dell'azione.

Se infatti riusciremo a ritagliare sempre il giusto spazio da dedicare alla vita interiore, allora non correremo il rischio di svolgere un apostolato eccessivo, che si trasformi quasi solo in attività sociale, e, soprattutto, sapremo imprimere al nostro agire apostolico, non la nostra volontà, i nostri desideri, ma quelli di Gesù, che sa cosa sia meglio per ciascuno di noi!





Ecco che allora, nella vita attiva, sapremo agire con prudenza, discrezione in alcuni casi...o con maggiore "audacia" in altri, in base alle circostanze, ai tempi, alle persone con cui avremo a che fare: "l'azione deve essere soltanto il traboccamento della vita interiore".

Infatti "la vita contemplativa ci fa entrare nel dominio delle verità più alte, senza distogliere lo sguardo dal principio stesso di ogni vita. Trovandosi più in alto, questa vita ha un orizzonte ed un campo di azione molto più esteso". 

Inoltre, la vita attiva può condurre (e molto spesso conduce), ad una situazione di maggior pericolo; in essa "l'anima si agita, s'appassiona, dissipa le sue energie e si indebolisce".
Al contrario, "con la contemplazione si ricevono tutti i beni, in essa affluiscono più meriti, perché aumenta al tempo stesso lo slancio della volontà e il grado di grazia santificante, e fa agire l'anima in virtù di un principio di carità. L'anima veramente interiore s'abbandona al divino beneplacito, accetta con animo sempre paziente sia le cose gradevoli che quelle penose".
E...non da ultimo: "per quanto intensa possa essere, la vita attiva ha il suo termine quaggiù".

Quest'ultima affermazione non va intensa in senso "apatico": non è un invito al fare meno perché l'agire sia destinato ad avere un termine, ma ad un fare "meglio", perché l'azione non è fine a stessa, ma orientata alla maggiore gloria di Dio, alla conversione delle anime, al nostro essere "sale della terra"!

E si può fare meglio alimentando il nostro rapporto con il Signore, tramite la vita spirituale: solo conoscendo Gesù, come ci dice anche il Papa, potremo essere in grado di portarlo agli altri!





La vera unione fra gli uomini, si può realizzare solo rimanendo realmente uniti al Cuore di Gesù; ce lo ricorda anche San Giovanni Eudes (che si festeggia oggi), in una sua preghiera:


CUORE

Signore Dio, Padre delle misercordie nella tua smisurata bontà ci hai dato il Cuore amatissimo del Tuo diletto Figlio.
Accorda ai nostri cuori di essere strettamente uniti tra di loro come con Lui, affinché il nostro amore per Te sia perfetto.
O Cuore amabilissimo e amorosissimo del mio Salvatore, sii il Cuore del mio cuore, l'anima dela mia anima, lo spirito del mio spirito, la vita dela mia vita.
Gesù, poiché il Padre Tuo m'ha dato tutto dandosi a me, tutti i cuori dell'universo mi appartengono, io prendo quindi tutti i cuori e voglio amarTi con tutto l'amore di cui sono capaci quando li hai creati.

lunedì 16 agosto 2010

MEDITIAMO IL SANTO ROSARIO. I misteri della gioia

Qui potete leggere la meditazione del secondo mistero




3° mistero 
La nascita di Gesù


(Gherardo delle Notti- Adorazione dei Pastori)

Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”. (Lc 1, 6-7)

Gesù è vero Dio e vero Uomo; proprio in quanto VERO uomo, non ha voluto nascere sotto le spoglie di un “supereroe”, capace di parlare, capire, conoscere e applicare le scienze umane fin dal primo momento della sua esistenza terrena.
 Egli era pienamente consapevole di tutto ciò che riguardava il suo essere Dio e ne ha avuto cognizione da sempre, ma, come uomo, ha deciso di seguire il naturale percorso di ogni creatura umana, che nasce "piccolo", impara poi a parlare, a camminare, a leggere, scrivere...e così via.
Mentre la sua scienza divina era fin dall'inizio pienamente in Lui, le conoscenze delle cose umane, si formano secondo il corso naturale che tutti noi seguiamo, sebbene al massimo grado di perfezione, essendo Gesù dotato della massima intelligenza (quindi anche della massima attenzione, capacità di apprendere, di memorizzare e via dicendo).
Se dunque, come uomo, il suo è un cammino comune a quello di ognuno di noi, quale “stupore” pieno di gioia, nell'incontrare (come essere umano!) per la prima volta, lo sguardo e il volto dolcissimi della sua Mamma. 
E pensiamo anche allo stupore gioioso e colmo di riconoscenza di Maria Santissima, che per la prima volta vedeva, ascoltava, teneva fra le braccia, il suo amatissimo Figlio! IL FIGLIO DI DIO, NATO DA UNA DONNA, NATO DA UNA VERGINE CONCEPITA SENZA PECCATO ORIGINALE!
 In quel momento, i cuori di Gesù e di Maria, si saranno riempiti di sentimenti dolcissimi, di una gratitudine indicibile, per il completo e gratuito dono che ciascuno dei due aveva fatto all'altro: la Vergine, gratuitamente aveva detto SI e Gesù, gratuitamente, aveva a sua volta dato il suo assenso al Padre, incarnandosi in Maria Santissima.

E noi, siamo in grado di guardare, ogni giorno, con gli stessi occhi commossi e riconoscenti, tutto ciò che il Signore non smette di donarci, a partire dall'aria che respiriamo e che rende possibile un atto a noi essenziale per vivere, quale è il respiro?

venerdì 13 agosto 2010

Preghiera da recitarsi come Triduo per la Madonna Assunta (concludendo il giorno della festa!)

(Murillo- Assunta)

O Maria immacolata assunta in cielo, tu che vivi beatissima nella visione di Dio:
di Dio Padre che fece di te alta creatura,
di Dio Figlio che volle da te essere generato uomo e averti sua madre,
di Dio Spirito Santo che in te compì la concezione umana del Salvatore.

O Maria assunta nella gloria di Cristo nella perfezione completa e trasfigurata
 della nostra natura umana.
O Maria porta del cielo, specchio della luce divina, santuario dell'alleanza tra 
Dio e gli uomini, lascia che le
nostre anime volino dietro a te, lascia che salgano dietro il tuo radioso cammino
 trasportate da una 
speranza che il mondo non ha, quella della beatitudine eterna.
Confortaci dal cielo o Madre pietosa e per le tue vie della purezza e della 
speranza guidaci un giorno
all'incontro beato con te e con il tuo divin Figlio, il nostro Salvatore Gesù. 

Amen