martedì 5 ottobre 2010

Vocazione alla vita. I ritiri di "La vigna di Rachele"


Qualche tempo fa, si è avviato, su questo blog, un percorso di riflessione sul tema della "vocazione", da intendersi non solo come quella religiosa, ma, più in generale, come un richiamo a tutto un insieme di scelte che, nella nostra esistenza, possono avvicinarci maggiormente a Dio, conducendoci alla santità.


La prima esperienza, se così possiamo dire, cui siamo chiamati, è la vita stessa: sembrerebbe banale affermarlo, ma non tutti se ne rendono conto.
Alcuni vivono, ma come se non vivessero, non colgono l'essenziale e l'importante del vivere, ma si soffermano solo sul superficiale, sul passeggero, sulla moda del momento.
In poche parole, chi vive così, altro non fa che passare da un'esperienza all'altra senza costruire nulla, se non una sorta di vuoto interiore.

Scriveva Kierkegaard, in "Aut Aut": "tu hai pur sempre in tuo potere tutte le condizioni per una vita estetica, hai una sostanza, sei indipendente, la tua salute è perfetta, il tuo spirito è rigoglioso e non hai ancora sofferto perché una fanciulla non ti ha voluto amare.
Eppure sei disperato. Non è una disperazione attuale, per una realtà, ma una disperazione potenziale, per ogni possibilità della vita.
All'occasione ti sprofondi nella vita, e mentre in un momento ti abbandoni al godimento, nello stesso tempo ti rendi consapevole che ogni cosa è vana.
Così sei costantemente al di fuori di te stesso, cioè nella disperazione. 

Questo fa sì che la tua vita sta tra due enormi contraddizioni: a volte hai una straordinaria energia, a volte una indolenza altrettanto grande".

Il personaggio ideale a cui si rivolge il filosofo, non è solo l'uomo "estetico" del passato, ma è anche l'uomo estetico di oggi, è la persona bella, ricca, giovane, in salute, a cui non dovrebbe mancare nulla, ma che poi, puntualmente, vediamo sfilare, di giornale in giornale, per storie di droga, di sesso, a volte anche per vicende penali, in altre occasioni, per la ricerca dell'ebrezza nello sport estremo.
E' il vicino di casa che, apparentemente, affronta spavaldo il quotidiano, ma che poi appare fragile, senza vera solidità interiore, sempre alla ricerca del fugace, del nuovo....
E proprio questo "continuo desiderio di mutevolezza" diventa la spia, il sintomo di un'infelicità di fondo....quella per la quale, se non si cambia continuamente, se non si riversano le proprie energie in cose sempre nuove e spregiudicate, non si riesce ad essere felici.
Così facendo, non si realizza veramente la vocazione alla vita e basta infatti un nulla, un imprevisto  per mettere ko ogni "certezza" presunta e distruggere la "serenità" interiore.

La persona che, invece, si rende conto, in un qualsiasi momento della propria esistenza, di avere ricevuto il DONO della vita, cambia completamente il proprio modo di porsi verso il vivere.
Intuisce che la chiamata esige una risposta, e questa risposta, se la vogliamo dare a Colui che chiama, cioè Dio, altro non comporta se non un vivere nel pieno equilibrio di cuore e mente, di fede e ragione.
Vivere con consapevolezza ci rende capaci dell'impegno di "crescita" interiore e personale, di rinuncia a quello che è "estremo", mondano, inutile.
Ci consente di trovare una pace interiore anche fra le difficoltà, proprio perché comprendiamo la "bellezza" del regalo che il Signore ci ha fatto: la vita è il tempo storico, terreno, che abbiamo già qui, a disposizione per conoscerLo ed amarLo, anche nelle Sue creature e nella Sua creazione!

Comprendere di essere chiamati alla vita, ci spinge anche a mettere al primo posto il Signore, con tutto quello che ne consegue, in termini di "morire a sè stessi", per fare posto alla Verità!
Rispondere alla chiamata alla vita, ci chiede, a volte, il sacrificio della rinuncia alle nostre aspettative, o al nostro "io", quando, ad esempio, decidiamo di mettere un altro al primo posto, come fa un genitore con un figlio.

Eppure sappiamo che, con intensità crescente, le cifre dell'aborto sono vertiginosamente in aumento e che, sebbene tanto si pensi a creare strutture, consultori e reparti ospedalieri in cui "abortire", poche sono invece le organizzazioni o le attività rivolte a quanti (single o coppie), ad un certo punto del proprio percorso, hanno deciso di ricorrere all'aborto come scelta, ma che, in seguito, hanno capito di non aver preso la "decisione" migliore e lottano con sensi di colpa, disagi psicologi e spirituali.
In una parola: persone che hanno bisogno di comprensione e di aiuto per "metabolizzare" una perdita di cui hanno preso coscienza (come accade con l'elaborazione del lutto "ordinario") e per vivere non nel "rimpianto", ma nella speranza!

Qualche tempo fa, ho ricevuto la mail di una cara amica, grazie alla quale ho scoperto che esiste una realtà di supporto per le coppie o le single, che hanno abortito, si chiama "La vigna di Rachele", "aperta a tutti, ma radicata in una spiritualità cristiana", come si legge sul sito ufficiale.
La Vigna di Rachele offre una serie di "incontri", di "ritiri", ha ottenuto il nulla costa della  Chiesa Cattolica e, proprio nel periodo dal 5 al 7 novembre, avrà luogo un nuovo ritiro, a Bologna (per informazioni, pre-iscrizione entro il 20 ottobre, contattare la sede nazionale, chiedendo di Monika, al numero 099.7724.518 )

Sulle pagine del sito, ricche di spunti per riflettere su molti aspetti, ho particolarmente apprezzato i link di rimando al "Progetto Rachele" (l'attività di apostolato diocesano, nata e sviluppata in America), e, nello specifico, quelli che affrontano, con estrema delicatezza e chiarezza, la posizione della Chiesa rispetto all'aborto.
Non è una tematica "semplice" da affrontare, ma le pagine a cui vi rimando, sono state scritte con grande sensibilità, rispetto, amore, pur senza sottrarre nulla alla Verità.
Penso che possano essere oggetto di riflessione per tutti, anche per chi non ha vissuto l'esperienza di cui, direttamente, si parla nel sito.

Nessun commento:

Posta un commento