«Due uomini salirono al tempio a pregare:
uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé:
“O Dio, ti ringrazio
perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e
neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte alla settimana
e pago
le decime di tutto quello che possiedo”».
(Lc 18, 11-12)
L'etimologia della parola "umiltà" riconduce fino a "humus" - "terra" e così, già nella sua radice, rammenta di cosa è fatto l'uomo e da dove è venuto Adamo, il nostro progenitore.
La Genesi narra di come Dio lo plasmò impastando del fango e questo - spaziando fino al "nuovo Adamo" che è Gesù Cristo - dovrebbe aiutare l'essere umano a rimanere veramente "basso", come dice in prima battuta la derivazione etimologica di "umile".
Dio si fa Uomo per fare dell'uomo una creatura "divina", ma in questo mondo nessuno può dirsi già arrivato: "la carne ha desideri contrari allo Spirito" (Gal 5,17) e la lotta che si ingaggia per la vittoria spirituale dura quanto dura tutta la vita.
Il primo Adamo e la sua caduta, la misericordia di Dio Padre che invia il nuovo Adamo per redimerci, stanno a significare che il cammino terreno dell'uomo è sempre intriso di questa lotta tra l'uomo vecchio e l'uomo nuovo che è in noi.
Solo l'umiltà consente di trovare il giusto equilibrio per non vivere sui due estremismi dell'autosufficienza e della disperazione.
La prima porterebbe la creatra a credere di non aver bisogno di Dio, dunque di essere già sulle vette delle perfezione; la seconda abbatterebbe l'uomo in una totale sfiducia nella capacità di salvarsi, riducendo Dio ad un Padre che non tenga conto, nel suo giudizio misericordioso, anche della naturale debolezza umana.
Ed è proprio davanti ad un caso di "autosufficienza" che ci pone il Vangelo di oggi : il fariseo che prega contento di non essere "come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano" vive una spiritualità autoreferenzialista.
Crede di essere "sufficientemente" giusto da potersi concedere il lusso di sostituirsi a Dio: disprezzare gli altri, criticare in cuor proprio il pubblicano, è sostituirsi al giudizio divino, l'unico che "vede" il cuore dell'uomo.
Ma chi è l'uomo veramente giusto?
La Bibbia non disdegna di ricorrere a questa terminolgia, indicando in tal modo che sì, possono esserci, ci sono anzi, degli uomini giusti.
Leggiamo infatti espressioni come:
"se il giusto cade cade sette volte, egli si rialza" (Pro 24,16)
"Davvero sterminerai il giusto con l'empio"? (Gn 18,23)
"Giuseppe, poichè era uomo giusto" (Mt 1,19)
Il Papa Emerito Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, nel suo libro "L'infanzia di Gesù" con riferimento all'ultima pericope, scriveva:
"Se si può dire che la forma di religiosità presente nel Nuovo Testamento si riassume nella parola «fedele», l'insieme di una vita secondo la Scrittura si compendia, nell'Antico Testamento, nel termine «giusto».
Il Salmo 1 offre l'immagine classica del «giusto».
Quindi possiamo considerarlo quasi come un ritratto della figura spirituale di san Giuseppe.
Giusto, secondo questo Salmo, è un uomo che vive in internso contatto con la Parola di Dio; che «nella Legge del Signore trova la sua gioia» (v.2).
E' come un albero che, piantato lungo corsi d'acqua, porta costantemente il suo frutto.
Con
l'immagine dei corsi d'acqua, dei quali esso si nutre, s'intende
naturalmente la Parola viva di Dio, in cui il giusto fa calare le radici
della sua esistenza.
La volontà di Dio per lui non è una legge imposta dall'esterno, ma «gioia».
La Legge gli diventa spontaneamente «vangelo»,
buona novella, perché egli la interpreta in atteggiamento di apertura
personale e piena di amore verso Dio, e così impara a comprenderla e a
viverla dal di dentro.
Se il Salmo 1 considera come caratteristica dell' «uomo beato» il suo dimorare nella Torà, nella Parola di Dio, il testo parallelo in Gemeria 17,7 chiama «benedetto» colui che «confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia».
Qui
emerge, in modo più forte che non nel salmo, il carattere personale
della giustizia -il fidarsi di Dio, un atteggiamento che dà speranza
all'uomo.
Questa
immagine dell'uomo, che ha le sue radici nelle acque vive della Parola
di Dio, sta sempre nel dialogo con Dio e perciò porta costantemente
frutto, questa immagine diventa concreta nell'evento descritto, come
pure in tutto ciò che, inseguito, si racconta di Giuseppe di Nazaret.
Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di interpretare ed applicare la legge in modo giusto.
Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all'ignominia.
Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata che Gesù denuncia in Matteo 23 e contro la quale lotta san Paolo.
Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell'unità tra diritto e amore.
E così è interiormente preparato al messaggio nuovo, inatteso e umanamente incredibile, che gli verrà da Dio".
L'uomo giusto è dunque l'uomo che vive ed applica la Legge di Dio con Amore.
Non a caso, l'etimologia di "giusto" riporta a Justus, da Jus, Legge.
Giusto è chi applica la Legge.
Ma Dio, che è la Giustizia Stessa, il Giusto per eccellenza (e la Bibbia lo sottolinea molte volte!), come esercita il Suo Diritto?
Una bella risposta viene dal profeta Geremia (Ger 23,5-6):
"Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia".
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia".
Spostiamo lo sguardo fin sulla Croce, trono su cui Dio Figlio viene innalzato: la Sua Giustizia viene esercitata come Giustizia di Misericordia!
Il ladrone pentito viene perdonato e per tutti gli altri, si squarcia un velo di Misericordia che non toglie al Padre il giudizio finale, ma lascia aperta una speranza, nel giudizio di un Dio che tiene conto anche delle debolezze umane e che è pronto ad accogliere anche un pentimento dell'ultimo minuto: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". (Lc 23,34)
Questa è l'applicazione della Legge con Amore di cui ha scritto Papa Benedetto XVI, è quella che ci esorta ad applicare anche Papa Francesco, allorché ci invita a riconoscerci peccatori, ma a non essere corrotti: è la corruzione che veramente ci impedisce la salvezza perché allontana completamente il nostro cuore da Dio e dai fratelli.
L'errore del fariseo è proprio questo: ragiona, agisce, "prega" non da uomo veramente giusto - come uno che ritenga di essere impegnato nella pratica della Legge, ma di poter e dover fare di meglio con l'aiuto di Dio - non come uomo veramente misericordioso verso gli altri e fiducioso nella Misericordia di Dio.
Il fariseo prega una preghiera "corrotta", con cuore corrotto e con parole corrotte.
Ancora una volta ci viene in aiuto l'etimologia: corrotto rimanda ad "alterato, guastato".
Scriveva Papa Francesco-Jeorge Bergoglio in "Guarire dalla corruzione":
«I farisei elaborano la dottrina del compimento della Legge fino ad un nominalismo esacerbato che li porta a disprezzare i peccatori.
..."e neppure come questo":
il corrotto ha sempre bisogno di paragonarsi ad altri che appaiono coerenti con la loro stessa vita (anche quando si tratta della coerenza del pubblicano per giustificare il proprio atteggiamento.
In fondo, il corrotto ha necessità di autogiustificarsi, anche se non si accorge di farlo».
Il cuore del fariseo è un cuore distorto, non segue veramente Dio.
Pensa di farlo, ma non ha compreso quel Padre che invita a non ritenersi sicuri soli delle proprie forze, ma a confidare in Lui e a non giudicare gli altri.
Il fariseo non applica la Legge: vìola il primo, facendo di sè stesso la divinità giudicante e così facendo viene meno anche al secondo, perché il suo pregare è un nominare invano il nome dell'Altissimo;
vìola il quinto che sentenzia "non uccidere" ed invece egli sta praticamente mandando all'inferno tutti gli altri uomini ed in particolar modo il pubblicano.
Vìola anche il settimo, nella sua menzogna sullo stato della propria anima (e di quello degli altri).
Potremmo dire che, metaforicamente, sta violando anche l'ultimo: il fariseo ritiene di essere cos' santo da potersi appropriare anche del Paradiso al posto di tutti gli altri esseri umani.
Desidera un Paradiso "vuoto" di fratelli e pieno solo del proprio "io".
Il fariseo vive di parole vuote, di quel "Signore, Signore" (Mt 7,21) che non conduce alla salvezza, se non si accompagna alle opere del Padre.
Oggi il Vangelo ci invita a guardare nei nostri cuori, ad interrogarci sul nostro stile di preghiera che riflette il nostro modo di vivere e di amare-non amare gli altri.
Mettiamo noi o Dio al centro del nostro pregare?
Affidiamo con misericordia i bisogni altrui?
Riconosciamo di avere ancora tanta strada da percorrere verso la santità?
Il Signore ci aiuti a realizzare questa opera di "introspezione" nel segreto del nostro cuore: Egli solo conosce veramente tutto ciò che è occulito forse finanche a noi stessi.
Egli solo può condurci alla vera umiltà che è "procedere nella verità". (Santa Teresa d'Avila, Castello Interiore cap.10, par 7)
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