lunedì 10 marzo 2014

ANNUNCIARE CON DOLCEZZA - riflessioni a partire dall'Evangelii gaudium -


"E' vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano.
Siamo molto chiaramenti avvertiti: sia fatto con dolcezza e rispetto (1 Pt 3,16)"
(Papa Francesco, Evangelii gaudium n. 271) 

Il rischio di annunciare un cristianesimo "urlato", "aggressivo" è un pericolo sempre dietro l'angolo per ogni discepolo di Gesù.
E' il rischio che porta i discepoli a litigare per scoprire chi sia fra di loro "il più grande" o quello che li spinge a metter a tacere quanti operavano il bene senza essere dei loro, e, ancora di più in generale, quello che faceva credere a tutti gli ebrei del tempo di Gesù, che la salvezza messianica fosse solo appannaggio del loro popolo, escludendo tutti gli altri.

Gesù mostra di seguire una via differente: non fa del Suo "ministero" un posto di comando e di potere umano.
Servire è regnare, come ricorda il Santo Battesimo, che fa del cristiano un vero "alter Christus", re, sacerdote e profeta in questo ministro del "servizio".
Gesù insegna - e lo vive Lui per primo - che annunciare il Vangelo non è ricercare né ricchezze (come avrebbe voluto Giuda) né un posto di preminenza (come sono tentanti di fare i dodici, ad un certo punto, o la madre di Giacomo e Giovanni, alla ricerca del posto "alla destra e alla sinistra" del Messia per i suoi figli).
Cristo Signore dimostra che il Vangelo - la Buona Novella - è per tutti gli uomini di buona volontà: cananee, centurioni romani, pagani, samaritani, malati, poveri.

Ha uno stile inconfondibile per "conquistare" i cuori: se guardiamo alla Sua pedagogia con gli stessi dodici, è facile notare che non usa il tono del rimbrotto continuo - pur a volte rimproverandoli -, ma che accetta finanche la "caduta" di uno di essi (Pietro), lasciando che - ciascuno secondo i suoi tempi - passi dalla "durezza e stoltezza di cuore" - alla piena fiducia e alla piena adesione al progetto divino.
La verità, che il cristiano sa di raggiungere e possedere in Cristo, nel deposito della Fede della Santa Chiesa Cattolica, può trasformarsi in una sorta di potere che annebbia e dà alla testa.
Chi ha potere può essere preso dalla tentazione di diventare un "fustigatore" dei costumi altrui, tralasciando quell'aspetto divino (non umano) che in Dio stesso convive accanto alla Giustizia: la misericordia.
Quanto accade nell'Orto degli Ulivi è sintomatico: a Pietro - che stacca l'orecchio al servo del sommo sacerdote - Gesù impera di rimettere "la spada nel fodero", guarendo poi il mutilato.

Si può anche dire di più: la Misericordia non è soltanto un conoscere oggettivamente - e con spirito critico - la debolezza tipica dell'uomo che, per sua natura stessa, è incline al peccato, ma anche comprendere che ciascuno ha i propri tempi e che ciò che per un credente avviene nell'arco di pochi mesi, per altri può richiedere anni, a volte finanche una vita intera.

Il tempo dell'altro nel cambiare richiede tempo anche all'annunciatore nell'evangelizzare e, a volte, anche la necessità di lasciare che siano altri a raccogliere: "uno semina e uno miete" (Gv 4,37)
Si potrebbe dire: le tempistiche della conversione altrui vanno quasi "accompagnate" con la pazienza di una mamma che non forza il suo bambino a camminare prima del momento adatto (che è diverso per ciascun infante!), ma lo accompagna mano nella mano finché non giunga il momento di lasciarlo andare da solo.

Il fratello che sbaglia, pur nella doverosa verità della correzione che gli deve essere mossa, va "custodito" allo stesso modo: se lo si lasciasse nel tentativo di farlo camminare autononamente, rischierebbe di cadere subito, con effetti ancora più disastrosi di quelli che già ha in sé; se lo si portasse semplicemente in braccio, quasi fosse ancora un neonato, gli si arrecherebbe il danno di non farlo stare neanche "un po'" sulle sue gambe.

Da qui la necessità di quella "dolcezza" di cui parla il Papa, che è quasi come la "via di mezzo" tra l'abbandonare l'altro ed il soffocarlo.

Nell'omelia pronunciata il 3 gennaio 2014 - in occasione della Festa del S.Nome di Gesù - il Santo Padre Francesco ha affermato:
"Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. 
No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore".

Gesù si rivolge con questa dolcezza alla donna adultera; accompagna i dodici con questa stessa "pazienza", si pone accanto a ciascuno di noi allo stesso modo: semina, quotidianamente, poi attende che quanto lasciato in noi produca frutto.
Ma non si sostituisce mai alle nostre scelte libere, né ci abbandona a noi stessi, né si rivolge a noi solo in termini imperiosi.
La "correzione" che a volte Dio ci porge in vario modo (anche attraverso eventi dolorosi), rimane sempre affiancata dalla Sua dolcezza di Padre e di Madre.
Questo è il segreto del vero annunciatore della Parola.

Trasverberazione di S.Teresa, con S.G.della Croce
Santa Teresa d'Avila, che con le sue molte doti spirituali riusciva a conquistare i cuori delle sue monache (e non solo!), così scrive nel Libro della Vita, al capitolo 13, parlando di un difetto dei principianti:

"C'è una tentazione molto comune, e consiste nel desiderare, non appena si cominciano a gustare la pace e i vantaggi dell'orazione, che tutti siano molto spirituali.
Desiderarlo non è male, ma cercare di ottenerlo potrebbe non essere cosa buona, se non si procede con molta discrezione e con abilità, in modo che non sembri un voler fare da maestri".

San Giovanni della Croce - l'altro dottore carmelitano contemporaneo della Santa - nella "Notte Oscura", sulla stessa linea, al capitolo 5 sentenzia:
"Vi sono persone spirituali che cadono in una forma d'ira spirituale.
Sono quelle che si armano d'uno zelo spropositato contro i vizi altrui, censurandoli.
A volte si sentono portati a rimproverarl bruscamente, e lo fanno anche, come se fossero maestri di virtù.
Ora, questo modo di fare è contrario alla mansuetudine spirituale". 
Parlando di come questo "difetto" possa manifestarsi anche in senso autoreferenziale (ira spirituale per i propri difetti), il mistico spagnolo suggerisce esattamente un duplice rimedio: pazienza e umiltà nell'attendere "il momento in cui Dio vorrà eusadirli".

Si potrebbe dire che l'essere "miti ed umili di cuore" (cfr. Mt 11,29)  come Cristo, sia la regola d'oro nell'annunciare il Vangelo.
Rimane dunque sempre attuale l'esortazione di S. Francesco di Sales: “Attira più mosche un goccia di miele che un barile di aceto”.

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