ATTIRATI DA DIO
In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». (Gv 6, 44-51)
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Innamorarsi è sempre un essere vicendevolmente attirati. A volte per un colpo di fulmine, altre volte per un innamoramento lento. In certi casi ci si innamora contemporaneamente, in altri è uno dei due a farlo per primo. Ma l'amarsi richiede, alla fine, una relazione, un incontro, uno scambio, un'attrazione reciproca che determina vicinanza e unità.
Nella storia d'amore tra Dio e il cristiano è sempre il Signore a muovere il primo passo, a fare la prima mossa. È Dio che attira l'altro, perché è Lui che ama per primo, cercando di suscitare la risposta dell'uomo.
L'Antico Testamento risuona della lode al Signore per il suo amore «che è per sempre» (cfr. 1Cr 16,34; Sal 100,5; Ger 33,11), perché Dio non può mai abbandonare l'uomo (cfr. Is 49, 15) che ha amato «di amore eterno», continuando a essergli fedele (cfr. Ger 31,3).
In Gesù l'amore divino si manifesta in un Dio di carne, umano come noi, tangibile, veramente "concreto" per i nostri occhi abituati a riconoscere (molto spesso) solo ciò che si può vedere realmente. E anche Cristo torna sul discorso dell'attirare: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Se possiamo volgere lo sguardo a colui che è stato trafitto (Gv 19,37) e glorificato alla destra del Padre è proprio perché Dio per primo ci ha amati (cfr 1Gv 4,19): la nostra capacità di amare (la nostra risposta) deriva proprio da questo saperci e sentirci amati da Lui, sorretti da qualcosa che non abbiamo meritato, ma che ci viene offerto gratuitamente, affinché ne possiamo attingere a piene mani.«In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10 ).
Riconoscere l'amore di Dio nella propria vita è un primo passo nell'innamoramento dell'uomo nei confronti del Signore. Ma riconoscerlo non basta: chi si innamora deve fare spazio all'altro, permettendogli di intraprendere un cammino a due:
«Per poter essere perfetti, come a Lui piace, abbiamo bisogno di vivere umilmente alla sua presenza, avvolti nella sua gloria; abbiamo bisogno di camminare in unione con Lui riconoscendo il suo amore costante nella nostra vita. Occorre abbandonare la paura di questa presenza che ci può fare solo bene. È il Padre che ci ha dato la vita e ci ama tanto. Una volta che lo accettiamo e smettiamo di pensare la nostra esistenza senza di Lui, scompare l’angoscia della solitudine (cfr Sal 139,7). E se non poniamo più distanze tra noi e Dio e viviamo alla sua presenza, potremo permettergli di esaminare i nostri cuori per vedere se vanno per la retta via (cfr Sal 139,23-24). Così conosceremo la volontà amabile e perfetta del Signore (cfr Rm 12,1-2) e lasceremo che Lui ci plasmi come un vasaio (cfr Is 29,16). Abbiamo detto tante volte che Dio abita in noi, ma è meglio dire che noi abitiamo in Lui, che Egli ci permette di vivere nella sua luce e nel suo amore. Egli è il nostro tempio: "Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita" (Sal 27,4). "È meglio un giorno nei tuoi atri che mille nella mia casa» (Sal 84,11). In Lui veniamo santificati"» (Francesco, Gaudete et exultate, 51).
Diventando uno con Colui che amiamo e che ci ama non rischiamo di perdere noi stessi, ma, al contrario, di potenziarci, di portare al massimo sviluppo ogni talento ricevuto, ogni buona qualità, ogni virtù.
«Solo a partire dal dono di Dio, liberamente accolto e umilmente ricevuto, possiamo cooperare con i nostri sforzi per lasciarci trasformare sempre di più. La prima cosa è appartenere a Dio. Si tratta di offrirci a Lui che ci anticipa, di offrirgli le nostre capacità, il nostro impegno, la nostra lotta contro il male e la nostra creatività, affinché il suo dono gratuito cresca e si sviluppi in noi: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). Del resto, la Chiesa ha sempre insegnato che solo la carità rende possibile la crescita nella vita di grazia, perché "se non avessi la carità, non sarei nulla" (1 Cor 13,2)» (Ibidem, 56).
Dio non chiede niente di più di ciò che noi siamo: vinte le resistenze che ci impediscono di donarci, di essere totalmente per l'Altro (proprio come in ogni vero rapporto d'amore deve accadere) saremo allora totalmente di Colui che è Amore. E a nostra volta diventeremo amore per Lui e per gli altri in ogni cosa che faremo, nelle singole e irripetibili circostanze della nostra vita, nelle esperienze quotidiane, nelle apparenti minuzie che affollano le nostre giornate.
Fare Eucaristia, fare Comunione con il Pane Eucaristico che ci chiama, che ci vuole attirare tutti a Sé, non può non portarci al farci eucaristia per gli altri.
E saremo allora anche noi lo strumento, semplice, povero, ma potente, attraverso cui Dio attirerà ancora a Sè quanti potranno sperimentare il suo amore attraverso di noi.
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