domenica 19 marzo 2017

TRIDUO A SAN GIUSEPPE 2017/ 3


SAN GIUSEPPE UOMO, SPOSO, PADRE
Il progetto familiare di Dio nella storia di Giuseppe 


In questo triduo a san Giuseppe vi invito a riflettere sul tema della famiglia, prendendo spunto da due testi: l'«Amoris Laetitia di papa Francesco» e «Il signore dei sogni» di don Mauro Leonardi. Ricordo a tutti che quest'anno la solennità liturgica in onore di san Giuseppe si celebrerà lunedì 20 marzo, in quanto il 19 coincide con la terza domenica di quaresima.


Ave o Giuseppe uomo giusto, 
Sposo verginale di Maria e padre davidico
del Messia; tu sei benedetto fra gli uomini,
 e benedetto è il Figlio di Dio che a te fu affidato: Gesù.
San Giuseppe, patrono della Chiesa universale,
custodisci le nostre famiglie nella pace e nella grazia divina, 
e soccorrici nell'ora della nostra morte.
Amen



«La madre che lo porta nel suo grembo ha bisogno di chiedere luce a Dio per poter conoscere in profondità il proprio figlio e per attenderlo quale è veramente. 
Alcuni genitori sentono che il loro figlio non arriva nel momento migliore. 
Hanno bisogno di chiedere al Signore che li guarisca e li fortifichi per accettare pienamente quel figlio, per poterlo attendere con il cuore. 
È importante che quel bambino si senta atteso. Egli non è un complemento 
o una soluzione per un'aspirazione personale. 
È un essere umano, con un valore immenso e non può venire usato per il proprio beneficio. Dunque, non è importante se questa nuova vita ti servirà o no, 
se possiede caratteristiche che ti piacciono o no, se risponde o no ai tuoi progetti 
e ai tuoi sogni. Perché "i figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile. 
Un figlio lo sia ama perché è figlio". L'amore dei genitori è strumento dell'amore 
di Dio Padre che attende con tenerezza la nascita di ogni bambino, 
lo accetta senza condizioni e lo accoglie gratuitamente».

(Amoris Laetitia, n. 170)



Il bambino che è Figlio di Dio, ma che è anche figlio di Maria, e che è chiamato a essere anche figlio di Giuseppe, sembra fare irruzione nella storia di quest'ultimo in maniera totalmente inattesa. Quando questo accade, Maria rischia la lapidazione o il ripudio segreto, l'assenza di Giuseppe, il crescere da sola quella creatura in arrivo. Giuseppe rischia di vedere andare in frantumi tutti i suoi sogni sull'amore di coppia, sul calore di una famiglia, su una vita tranquilla attorno al focolare domestico.
Eppure, lo abbiamo già compreso nei giorni precedenti del triduo, l'amore consente a entrambi di superare una visione distorta del figlio inatteso, e di vederlo come un bambino donato. La loro esperienza diventa dunque contemporanea, e di grande importanza, anche per la società contemporanea, in cui tanto si parla dei figli come un diritto da soddisfare a ogni costo, oppure un qualcosa di cui disfarsi quando esso è sgradito, come nel caso di malformazioni, frutto di violenze, gravidanze  che intralciano i progetti lavorativi, le ambizioni per una carriera di successo.
Invece Gesù, per Maria e Giuseppe, è un dono: lo è per Maria, alla quale non toglie il suo ruolo di sposa, seppure in una dimensione verginale e, anzi, la arricchisce della funzione materna; lo è per Giuseppe, al quale non sottrae il suo ruolo di sposo, di capofamiglia, e, anzi, addirittura lo ricolma della dignità di custode e padre del Redentore, nonché patrono della Chiesa, come anche il Magistero della Chiesa ha sottolineato. Il figlio sarà figlio di entrambi, e così a entrambi viene chiesto di accoglierlo, nonostante il modo straordinario e inaspettato con cui entra nelle loro vite. E questa accoglienza passa per la gratuità: il dono è tale in se stesso, non perché promette qualcosa in cambio, anzi, anche se comporta fin dall'inizio dei sacrifici.
La madre è certamente la prima a sentire in lei la nuova vita che prende corpo, così come Maria è la prima ad avere l'annuncio di quel nimbo straordinario in arrivo, ma poi, come in qualsiasi famiglia, viene chiesto il coinvolgimento di Giuseppe. Non un coinvolgimento "materiale", ma affettivo, psicologico, interiore, che poi si tradurrà anche in gesti concreti e "legali": accettare quel figlio, farsene carico, diventarne educatore e guida.
«Quando l'Angelo parlerà con Giuseppe in sogno gli dirà: "Tu lo chiamerai Gesù" (Mt 1,21), invece quando aveva parlato con Maria nell'Annunciazione, aveva detto proprio a lei, alla madre, e solo a lei, di dare il nome al Figlio: "Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù" (Lc 1,31). 
Si passa cioè dalla madre al padre. Quando si affida il compito di dare il nome alla madre Giuseppe era già sposo di Maria, ma ancora non era il "padre" – anche se solo "legale" – di Gesù. Infatti, imporre il nome al figlio era qualcosa che doveva fare il padre.
Poi nel sogno a Giuseppe, il compito era passato a quest'ultimo, come avveniva per ogni uomo che fosse il padre legale. Era successo "qualcosa".

Giuseppe non ha davanti a sé "solo" la sua sposa, ha davanti a sé sua moglie che è incinta: ha dinanzi a sé Maria e il bimbo. 
Giuseppe ancora non sa Chi è quel Figlio che vive nel seno della sua sposa, eppure già la Trinità sta operando. 
Secondo la Legge, Giuseppe avrebbe dovuto rinchiudere la sposa nello schema e nella logica dell'adulterio.
Giuseppe è giusto perché ha corso il rischio di stare davanti a Jahvè con quel "mistero" che era sua moglie incinta. 

Giuseppe decide di andare contro la Legge. Quest'azione è opera della Grazia e quindi ha origine dal Verbo Incarnato e giunge al destinatario attraverso Maria». Dov'era Maria mentre Giuseppe pensava a cosa fare? «I Vangeli non lo dicono, però Giovanni scrive che Maria stava sotto la croce di Gesù. Penso» [1] – scrive sempre don Mauro Leonardi – «che Maria avesse già sperimentato altre volte lo stabat della Croce. E forse l'inizio dell'apprendistato era stato proprio quel trovarsi a guardare il tormento di Giuseppe di fronte al Mistero: quando non poteva dir nulla al proprio sposo, perché quel coinvolgersi di Giuseppe con lei doveva essere libero; quando quel pensare o pregare dello sposo era una faccenda che si svolgeva tra lui e Dio. Allora lei poteva solo stare e aspettare, proprio come un sabato santo.
Vivere è sempre una questione di libertà e se c'è di mezzo Dio nei sogni, la libertà è la prima cosa che si vede, ancor prima dell'angelo. Lo vediamo al momento del sogno per rientrare dall'Egitto. Il pericolo è passato, dice l'angelo. È passato Erode ma c'è il figlio, dice Giuseppe. E un padre di famiglia non rischia. Così Giuseppe sale su un asino, e decide itinerario e casa (cf Mt 2, 19-23). La fede lo muove, la responsabilità personale lo guida» [2]. 
Giuseppe ha accolto il dono che Gesù è, lo ha fatto gratuitamente, senza chiedere nulla in cambio. E senza chiedere nulla in cambio spenderà il resto della propria vita per custodire Maria, per custodire il loro bambino, il Figlio di Dio nato nella loro famiglia, nato uomo tra gli uomini.

[1] Mauro Leonardi, Il signore dei sogni, Ares, 2015, pp. 91-93; 105

[2] Ibidem, 106.

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