martedì 13 agosto 2013

I BAMBINI AL SICURO E QUELLI SMARRITI -riflessioni sul Vangelo di oggi


Il Vangelo di oggi (Mt 18,1-5; 12-14) si presenta apparentemente come spezzato in due parti: 
  • nella prima Gesù parla dei "convertiti" che si fanno "come bambini" e accogliendo in tal modo il Regno dei Cieli, ricevono veramente l'eredità promessa.
  • nella seconda  il Maestro sembra virare -cambiare discorso- mettendosi a parlare della pecora smarrita, ma sempre attraverso la metafora del fanciullo.

Evidentemente, il nesso c'è, anche se ad una prima lettura sfugge.

Basilica di M.Ausiliatrice , Torino

Può venire in aiuto una parabola, quella del figlio prodigo (Lc 15,11-32) parla di un... bambino che si smarrisce, quello che il padre, ad un certo punto della storia, sembra "perdere".
Ed è una storia che ci viene narrata dopo altre due parabole (Lv 15,4-10), quella della pecora perduta e della dramma perduta. Ad indicarci che il concetto è lo stesso, anche se la "pecora" che si perde può essere identificata ricorrendo a varie metafore.

Può tornare utile alla riflessione anche il tema affrontato  da Ezechiele (al capitolo 34) particolarmente ai versetti 15-16. 
Il Signore riconduce all'ovile la pecora perduta, ma che fare anche distinzione fra "pecora grassa e pecora magra".

Facilita la meditazione sul Vangelo odierno anche Gv 10,16: Gesù ha altre pecore, di altri ovili...e anche queste vanno ricondotte all'ovile vero, all'unico BUON PASTORE.

Facendo un po' una sintesi riflessiva su questi spaccati biblici è facile notare come solo una volta si parli di "lontani", di pecore di altri ovili. 
In tutti gli altri casi le pecore, i "bambini" sono -almeno esteriormente- in casa propria, nel recinto del Pastore, ma decidono (più o meno consapevolmente) di allontanarsene.

La responsabilità maggiore, insomma, non grava tanto su quelli che stanno "fuori", quanto piuttosto su quelli che sono "dentro" e che  -teoricamente- dovrebbero godere delle sicurezze maggiori.

Il punto allora è: il cattolico si sa fare "bambino", affidarsi a Dio, lasciarsi prendere per mano da Colui che ama con cuore di padre e di madre, per non scappare verso spiagge solo apparentemente più attraenti?

Il Figlio prodigo dimostra che non sempre l'uomo -fatto veramente "padrone" quasi egli stesso nella casa del Padre- riesce a godere santamente di questa fiogliolanza divina.
Per inseguire le chimere dell'autonomia e della gestione in proprio delle ricchezze che gli spettano, il figlio minore si stacca dalla mano del Padre.
Non si rende conto che rimanere con lui non era un'amputazione della sua crescita, ma sinonimo di una garanzia: quella di farsi accompagnare, guidare dalla mano sapiente, esperta, saggia del Padre.
Dall'altra crede di avere mezzi materiali e umani sufficienti per reggersi in piedi da solo.

Il figlio minore ha male interpretato il concetto di "adulto".

La stessa cosa ha fatto il popolo di cui parla Ezechiele, ma qui la Parola del Signore è forte, quasi dura finanche nei confronti dei Pastori: con la loro disattenzione ai veri bisogni delle pecore, ne hanno causato lo smarrimento.

Il rimprovero è pesante: da un lato Gesù, oggi, ci dice che se vogliamo seguirLo dobbiamo essere docili come fanciulli, fare di noi stessi non "adulti senza Padre", ma "bambini che per un padre, pur crescendo, rimangono sempre figli da accompagnare" e quindi porre la nostra mano nella Mano di Dio.
Dio non è un Papà che vuole imprigionarci in un'età di ignoranza: ci manda come pecore in mezzo ai lupi, invia i Suoi ad ammaestrare tutte le genti, fino ai confini della terra, ci esorta ad essere sale della terra.
Però, con una "clausola" per la buona riuscita: NON DISTACCARCI DAL PALO DELLA VITE...perché niente si può fare senza Dio (cfr Gv 15,5).

D'altro canto, il Signore, vuole spingere i Suoi Ministri ad essere realmente paterni nei confronti dei "Suoi bimbi", delle Sue pecorelle.

Insomma, il primo invito all' UNITA' è rivolto a quelli che già abitano nella casa del Padre, affinché non si lasciano sviare da false chimere, ma rimangano saldamente ancorati alla SORGENTE ETERNA DELLA VITA.

Qui si può inserire quell' "Ut unum sint" richiamato in Giovanni 10,16, in cui torna il tema della "pecora" da condurre all'ovile.
Questo passaggio permette una rilettura molto più ampia della Parola di oggi e fa allargare i nostri orizzonti in termini di responsabilità, di testimonianza, di impegno, non solo verso i nostri fratelli cattolici, ma anche verso i cristiani di altre confessioni.

 Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica "UT UNUM SINT" parla di preghiera e dialogo come mezzi di unità fra i cristiani.

Aggiunge anche un altro fattore, la cooperazione ecumentica al n.40: 
"Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani"


C'è poi un ulteriore elemento, che viene richiesto a noi, singolarmente e collettivamente: dimostrare -con la nostra vita di "bambini sempre fra le braccia del Padre", la nostra "fedeltà:
 
"Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena, che sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. 
Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa.  (n 82)

E al n. 102 ci viene detto come ottenere quello che ci preme:

"Come ottenerlo? In primo luogo con la preghiera. 
La preghiera dovrebbe sempre farsi carico di quell'inquietudine che è anelito verso l'unità, e perciò una delle forme necessarie dell'amore che nutriamo per Cristo e per il Padre ricco di misericordia.
 La preghiera deve avere la priorità in questo cammino che intraprendiamo con gli altri cristiani verso il nuovo millennio. Come ottenerlo? Con l'azione di grazie, perché non ci presentiamo a mani vuote a questo appuntamento: "Anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza [...] e intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26), per disporci a chiedere a Dio quello di cui abbiamo bisogno. 

Come ottenerlo? 
Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico.

E se volessimo chiederci se tutto ciò è possibile, la risposta sarebbe sempre: sì. La stessa risposta udita da Maria di Nazaret, perché nulla è impossibile a Dio.

Mi tornano alla mente le parole con le quali san Cipriano commenta il Padre Nostro, la preghiera di tutti i cristiani: "Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. 
Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"
Che il Signore ci aiuti ad essere sempre "piccoli" fra le Sue braccia e ci dia la forza necessaria per collaborare -con Lui, in Lui, per Lui- all'unità fra tutti  cristiani.

Nessun commento:

Posta un commento