sabato 10 agosto 2013

"E IL SEMINATORE USCI' A SEMINARE".... Riflessioni sulla Parola di oggi


Il Vangelo di oggi (Gv 12,24-26) ci presenta una scena legata all'attività dei campi, secondo il linguaggio tipico di Gesù che -esprimendosi in parabole- non disdegnava di ricorrere a schemi ben conosciuti anche dai meno dotti del tempo.

In realtà siamo davanti ad un codice linguistico che permea un po' tutta la Bibbia, nella quale non è difficile imbattersi in scene di agricoltori, vigne, falci e altri elementi della vita rurale che -nei loro meccanismi regolati da leggi della natura- si fanno "analogie" della vita spirituale.

Meditando su questo breve episodio giovanneo, questa mattina, si sono spalancate nella mia mente -e nel mio cuore- tante finestre: pagine di Parola che raccontano di seminatori, covoni, campi d'uva, e raccoglitori.
Pagine che vorrei condividere con voi.


La prima finestra che si è aperta è la parabola del seminatore riportata in Mc 4,1-20, in Mt 13,3b-9 e in Lc 8, 4-15.

Cristo, Seminatore di Parola e di Vita, semina i chicchi...ma,dove cadranno?
La parabola ci parla di terreni differenti (per nessuno di essi  - ad una lettura attenta- sembra chiudersi completamente la porta della speranza) tuttavia, è solo "sulla terra buona" che il seme produce frutto, seppure in percentuale differente.
Il seme -che è la Parola- facendo morire l'uomo a sé stesso, per conformarLo a Cristo- porta il frutto di una vita nuova nello e dello spirito.
Sequela, significa, se volessimo dirlo in termini altrettanto agricoli, quasi una "trasformazione, un'ibridazione" del chicco seminato: fare di esso non semplicemente quello che potrebbe essere per sua inclinazione naturale, ma quello che il Seminatore sa che potrà diventare per aspirazione e ascesi SPIRITUALE.
Tirare fuori il meglio del semino e "mortificare" il peggio...
Modificare il chicco impiantando in esso le buone qualità di un Chicco di natura superiore...


A questo punto, quasi come in una sequenza, la riflessione mi ha portato alla scena di un'altra parabola (che non a caso, in Matteo, compare in successione a quella del seminatore!): la parabola della zizzania (Mt 13,24-30)

Il seme cade nella terra, anche in quella buona, dove il Seminatore ha faticato per avere del buon grano.
Arriva un seminatore cattivo e sparge, fra le spighe, anche delle erbacce: la zizzania.
Questo imprevisto nella scena della semina, apre -attraverso questa seconda finestra di Parola- uno spiraglio negativo sulla storia del campo coltivato.
Offre lo spunto per pensare che non ci sia solo la morte "a sè stessi", quella che lega il chicco al desiderio di farsi come il Chicco di Grano per eccellenza.
C'è anche la "morte" legata alla presenza della zizzania nel campo.
Una morte quasi da "soffocamento" in certi casi, da "sopportazione" in altri, da "convivenza" nella maggior parte delle situazioni.

Gramigna, detta anche zizzania
La zizzania preme per soffocare il grano, pare assorbire tutto il terreno e il nutrimento per sé.
A volte sembra riuscirci: ed ecco allora tanti martiri nella carne e nello spirito.
Più frequentemente tende a prendere molto spazio nel campo ed è il caso di vivere sopportando con pazienza le continue ingerenze dell'erbaccia...
Più frequentemente ancora, occorre imparare a convivere con il male che non tange direttamente e da vicino il grano, ma che in ogni caso si ritrova nell'immenso campo di grano che è la storia umana.
Vivere da buon chicco di grano, cadere e morire nel terreno è anche questo: accettare e sopportare pazientemente quel male che -nel mondo- non è mai opera di Dio, ma che Egli permette, per saggiare i buoni come l'oro nel crogiuolo (Sap 3,6), nella certezza che, alla fine dei tempi, il grano sarà separato dall'erba cattiva.

I frutti di una "resistenza" al male, saranno di certo ben più rigogliosi (più meritori!) di quelli di una pianta cresciuta in mezzo ad un campo sgombro da erbacce.
Il grano che sopporta avrà la vita, la zizzania sarà l'ultima ad essere estirpata e perirà.
Non a caso, l'etimologia della parola zizzania ci riporta a "nuoccio" e "vado in malora, perisco".
Ecco, la gramignia cerca di far del male ai buoni, di nuocere agli altri, ma come dice il suo stesso nome, finisce con il determinare da sola la propria fine!
Grano, invece, etimologicamente rimanda a "macerarsi" (quindi al morire), ma anche al "crescere, disseminarsi" cioè a produrre VITA!

Il terzo passaggio evangelico che a questo punto ha catturato la mia attenzione è il versetto di Gv 4,37: 

"Uno semina e uno miete"



A prima vista, questa terza finestra sulla Parola sembra spalancarsi senza apparente nesso con il Vangelo di oggi e con le altre due finestrelle...ma se provassimo a fare una lettura continuata dei capitoli 4 di Mc e 13 di Mt troveremmo altre parabole come quelle del Grano di senapa e del Lievito (Mc 4,26-32 e Mt 13,31-33).

E' come se -ad un certo punto- qualcosa cambiasse nel normale ordine delle cose: il Seminatore ha seminato; accanto al grano è cresciuta anche la zizzania, ma il seme caduto e morto in terra è divenuto SEMINATORE A SUA VOLTA!  
E' nuovamente proprio il linguaggio agricolo -della natura- che ci viene incontro: le piante producono altre piante e i frutti altri frutti, spesso senza l'intervento umano, attraverso la "disseminazione" ad esempio ad opera del vento, dell'acqua, o degli stessi frutti che, cadendo in terra, marciscono e lasciano che il seme interno venga riassorbito e germogli.

Da questa morte del chicco deriva lo spettacolo di una nuova semina.
Sembra allora potersi dire, con San Giovanni: anche noi seminiamo, ma non sappiamo dove cadrà questo seme, su quanti e quali terreni arriverà (sul terreno buono, sassoso, sulla strada, fra i rovi), né saremo sempre noi a raccogliere i frutti di quella semina.

Ma il nostro "morire" per vivere e dare vita ad altri avrà la sua ricompensa:

 "E chi miete 
riceve salario e raccoglie frutto 
per la vita eterna, 
perché ne goda insieme chi semina e chi miete".

(Gv  4,36)

La morte del seme -con la sua sofferenza iniziale- e la vittoria finale nel godimento eterno,  rimandano al Salmo 126,6 :
  
                                               
                                                          "Nell'andare, se ne va e piange,
                                                         portando la semente da gettare,
                                                        ma nel tornare, viene con giubilo,
                                                               portando i suoi covoni"

Il nostro piccolo seme diventa un grande albero sotto i cui rami tanti trovano ristoro (cfr Mt 13, 31-32) sia che dormiamo, sia che vegliamo dopo esserci "spesi" per gli altri (cfr Mc 4,26-28); quel seme diventa un impasto che lievita e si gonfia sempre di più (Mt 13,33).

Paradossalmente, quasi Gesù, il Primo e Unico Seminatore, ci chiede soltanto di non farci domande, di di non interessarci sul dove cadrà il nostro seme, di non chiederci se e quanto raccoglieremo, perché, come dice l'Ecclesiaste:

 
"Chi bada al vento non semina mai
e chi osserva le nuvole non miete".

(Qo 11,4) 



Allora, così come la finestra si era spalancata sulla Parola, allo stesso modo si conclude, passando da Cristo a me stessa, a ciascuno di noi: 


"Ecco, il seminatore uscì a seminare"  

(Mt 13,b)
Van Gogh, Seminatore col sole al tramonto.
Il titolo dell'opera fa pensare ad un inno che si recita a Vespro: "Tu al sorger della luce ci chiamasti al lavoro nella mistica vigna. Or che il sole tramonta, largisci agli operai la mercede promessa"











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