"Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe,
che ti ha plasmato, o Israele:
«Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni»".
che ti ha plasmato, o Israele:
«Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni»".
(Is 43,1)
Il Vangelo di oggi (Gv 14,21-26) non fa esplicita menzione del verbo "appartenere", ma letto in progressione con quello di ieri (Gv 15,1-8), in cui abbiamo ascoltato di essere i tralci della Vite Vera che è Gesù, ben possiamo rileggerlo proprio in questa chiave: quella dell'appartenenza a Dio, che già Isaia, nell'Antico Testamento, ci aveva offerto.
Gesù ieri ci ha invitati a rimanere in Lui per portare frutto. E rimanere in Lui è essere "tralci vivi" della Vite che è la Vita.
Se siamo Suoi tralci noi gli apparteniamo e... al contempo...Lui vuole appartenere a noi.
E' un mistero dal valore per noi incalcolabile: l'Infinito, l'Assoluto, l'Eterno si vuole donare a noi, vuole che noi gli apparteniamo, ma, proprio perché questa appartenenza non si basa che sull'Amore, essa è reciproca. Se Dio ci ama e "si dona" a noi, questo implica che Dio ha desiderio di appartenerci!
L'etimologia di appartenere è significativa: rimanda a "giungere", "stendersi", "pervenire", "riferirsi", "concernere" e si risolvere nello sdoppiamento "per - tenere", "pertinente".
Nell'appartenenza d'Amore Dio "giunge" fino a noi, si "stende" verso di noi nella Sua Tenerezza (come non pensare alla tenerezza del Verbo Bambino o a quella di Gesù adulto che passa sanando e beneficando?). Ci chiama, affinché possiamo "pervenire", ritornare a Lui, comprendendo di essere qualcosa che "si riferisce" a Lui, che lo riguarda: il Signore ci rende la parte secondaria (i tralci) di una parte principale (la Vite). Noi siamo "pertinenti" a Lui.
Allo stesso modo oggi leggiamo un altro pressante e stupendo invito di Cristo, rivolto a coloro che lo ameranno e che, amando Lui, ameranno anche il Padre: "Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" "Io mi manifesterò a lui" .
Qui ritroviamo quel termine "presso" che già in un'altra riflessione avevo avuto modo di analizzare, e che in Giovanni esprime una relazione unica, intensissima, di vicinanza indicibile, come quella che ha il Padre con il Verbo, la Madre con il Figlio.
Il Padre e il Figlio vogliono realizzare con l'umanità questa stessa relazione, questa stessa intimità di amore soprannaturale.
Ed è sempre per mezzo dello Spirito Santo che ciò accade, perché solo il Paraclito può renderci capaci di scoprire Gesù che si "manifesta" a noi, facendoci comprendere le Sue Parole, guidandoci nella scoperta della Verità, permettendoci di gustare questa presenza d'Amore Trinitaria che vuole inabitarci.
Come non pensare alla beata Elisabetta della Trinità, che scrisse parole mirabili su quella che potremmo definire l'appartenenza reciproca tra Dio e la sua creatura?
Ecco le parole che scrisse nel 1902 ad una sua corrispondente epistolare:
"Viviamo con Dio come con un amico, rendiamo viva la nostra fede allo scopo di comunicare con Dio attraverso tutto ciò che fa i Santi.
Noi portiamo in noi il nostro cielo poiché colui che sazia i glorificati nella luce della visione, si dà a noi nella fede e nel mistero. E' la stessa cosa! Mi sembra di aver trovato il mio cielo sulla terra perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima.
Il giorno in cui ho capito questo, tutto s'è illuminato in me e vorrei sussurrare questo segreto a coloro che amo, perché anch'essi, attraverso ogni cosa, aderiscano semore a Dio e si realizzi quella preghiera del Cristo: «Padre, che siano consumati in uno»".
(Elisabetta della Trinità, Scritti, Edizioni OCD, 1996, p. 204)
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