giovedì 5 marzo 2015

ANNO DELLA VITA CONSACRATA: Maturare la vocazione


Quando si parla di vocazione alla vita consacrata ricorre spesso l'espressione "maturare la vocazione".
E' facile ascoltare testimonianze di chi, andando a ritroso nel tempo, ricorda di aver "maturato la propria vocazione" in determinati anni e/o luoghi e accanto a determinate persone.

Questo verbo, "maturare" è sintomatico e dalle mille sfaccettature.


L'etimologia del sostantivo "maturo" indica qualcosa che è "vecchio", cioè che è arrivato al suo compimento. Come la persona giunge ad un'età in cui lo sviluppo è completo, così la vocazione, maturando, arriva in quella dimensione in cui diventa una scelta fattibile, desiderata, anche oltre il semplice "sentire".
La vocazione matura perché chi viene chiamato si sente finalmente pronto a rispondere, a volte con un "sentire" personale che corrisponde al "volere" di Dio, altre volte vincendo la propria natura che si ribella ad una prospettiva diversa da quella immaginata fino a quel momento.
Sono tante le storie di vocazioni combatutte, in cui il desiderio non è combaciato inizialmente con il sentire, anzi, proprio queste sono le vocazioni in cui veramente Dio fa scoprire che la vocazione non è semplicemente e non sempre un qualcosa di "voluto prima" dall'uomo, ma di "chiesto prima" dal Signore.

Ma "maturo" ha la stessa radice etimologia di "mattutino".
La vocazione ha in sè qualcosa della freschezza del mattino, dell'alba in cui la natura si riveste di luce, la rugiada disseta la terra, il cielo acquista un azzurro nuovo dopo il nero della notte.
La vocazione è qualcosa di adulto e di giovane allo stesso tempo.
In questo sta il suo essere un amore esclusivo per il Signore da alimentare sempre: adulto nella definitività e nella volontà di una scelta compiuta, giovane nella spontaneità, nella delicatezza di un sentimento da rinnovare e rinverdizzare ogni giorno.

Scomponendo ancora la radice dell'aggettivo "maturo" arriviamo ad un altro significato di essa: "misurare", da cui è derivata un'altra radice, "mata": tempo.
La vocazione è una risposta d'amore all'Amore. Una risposta attraverso la quale misurare l'amore nel tempo, la sua costanza, la sua capacità di intensificarsi, di non ingrigirsi.

Passando da un piano etimologico a quello prettamente linguistico, il verbo "maturare" rimanda all'idea del mondo contadino. Alla terra su cui maturano i frutti nati dai semi piantati da qualcun altro.
Si torna all'idea iniziale: la vocazione è risposta. E' il frutto di una semina che altri hanno effettuato.
"Vocare"-"chiamare". Nessuno si chiama da solo. Si è sempre chiamati da altri, da tutti quelli che spesso sono scelti da Dio per essere intermediari, megafoni o sussurratori, di quella chiamata.

Scriveva J.Ratzinger:
 
«La chiamata di Gesù è allo stesso tempo un chiamare insieme, un convocare, una chiamata a, come dice il testo greco, prendersi per mano, a sostenersi insieme, ad aiutarsi l'un-l'altro.
Ogni chiamata ha in sé anche qualche elemento umano: l'aspetto della fraternità, il sentirsi rivolgere la parola da un altro.
Se riflettiamo sul nostro cammino, ognuno di noi sa bene che la folgorazione di Dio non si è abbattuta direttamente su di lui, ma che in qualche parte ci deve essere stato un invito di qualche fedele, un venir portato insieme da parte di qualcuno.
Certo una vocazione può sostenerci unicamente se noi non crediamo solo di seconda mano, perché questi o quegli ce l'ha detto, ma se noi - condotti dai fratelli - troviamo personalmente il Signore (cfr. Gv 4,42).
Vanno necessariamente di pari passo l'invitare, il condurre, il portare, da una parte, come il proprio "venire e vedere" dall'altra.
Dovremmo avere nuovamente molto più coraggio di invitarci a vicenda e non tenere in poco conto l'andare insieme seguendo l'esempio degli altri.
Il "con" appartiene all'umanità della fede.
Ne costituisce un elemento essenziale. 
In esso bisogna maturare il proprio incontro personale con Gesù».

(J. Ratzinger "Il cammino pasquale", pp.151-152, 2000, Ancora) 

 

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