Cibo e spiritualità
Riflessioni sulla Parola
Il Libro del profeta Daniele presenta una pagina particolarmente interessante, in cui il giovane giudeo - assieme a tre suoi compagni, durante l'esilio babilonese - rifiuta di nutrirsi dei cibi prescritti dal re Nabucodonosor e, nonostante ciò, appare (dopo dieci giorni di dieta a base di verdure), più bello e sano degli altri giovani, ma, soprattutto, colmo di una sapienza che viene non dallo studio umano, ma direttamente dall'alto.
Il tema che questo racconto biblico offre al lettore è di grande attualità: c'è connessione tra cibo e vita, tra cibo e bellezza, tra cibo e sapienza?
Il tema che questo racconto biblico offre al lettore è di grande attualità: c'è connessione tra cibo e vita, tra cibo e bellezza, tra cibo e sapienza?
Premessa storica
«Nel 587 a. E. V., con la caduta di Gerusalemme, finiva anche il Regno di Giuda. Come gli ebrei del Regno di Israele, anche gli ebrei del Regno di Giuda dovevano ora prendere la via penosa e dura dell’esilio. I primi erano stati deportati in Assiria. I giudei furono deportati in Babilonia. Daniele era un giudeo di stirpe nobile deportato (Dn 1:3-6) e chiamato dal re babilonese Nabucodonosor a corte. Daniele e tre suoi compagni ebrei furono scelti per ricevere la speciale istruzione babilonese sulla scrittura e sulla lingua caldea: venivano preparati a svolgere incarichi governativi. Furono dati loro dei nomi babilonesi: Daniele divenne Baltassar (dal nome del dio di Nabucodonosor, Dn 1:7;4:8). La Legge di Dio aveva anche precise prescrizioni alimentari (Lv 11:4,13:17:12), per cui i quattro ebrei non vollero trasgredirla e rifiutarono i prelibati cibi babilonesi; preferirono così attenersi a una dieta vegetariana (Dn 1:8-16). Alla fine il re stesso notò che non c’era “nessuno che fosse pari a Daniele” e ai suoi tre compagni in fatto di sapienza, e pertanto “furono ammessi al servizio del re”. – Dn 1:19». [1]
CIBO E VITA
Il cibo diventa "energia" per ogni attività umana, sia intellettuale che materiale.
Senza cibo, il corpo umano sarebbe come una macchina senza benzina.
Ma è solo il cibo "materiale" che rende possibile la vita? È il cibo elaborato o costoso che rende l'uomo bello, sano... e santo?
Il cibo nella Scrittura
La stesso racconto biblico della creazione (Gn 1, 28-29) sottolinea il legame tra vita e cibo. Dopo aver creato l'uomo e la donna, il Creatore rivolge loro l'invito a essere fecondi, a soggiogare la terra e a dominare sui «sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra», aggiungendo: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo».
Il cibo assume poi una valenza spirituale nel prosieguo della Scrittura: la manna dal cielo (prefigurazione dell'Eucaristia, vero cibo celeste) diventa nutrimento provvidenziale per gli ebrei usciti dall'Egitto; i sacrifici cultuali si compiono sugli animali; determinati cibi sono considerati immondi; nei libri profetici ricorrono spesso le immagini e la simbologia della vigna, dell'uva e del fico.
Nel Vangelo, in modo particolare, l'argomento viene sviluppato ulteriormente, fino a divenire oggetto di "scandalo" tra gli ascoltatori di Cristo. Gesù ricorre alla "pedagogia" del cibo per parlare delle realtà spirituali (come nella parabola del fico sterile, nel discorso sul pane vivo disceso dal cielo e in quello sulla vite e i tralci) e rimanda spesso all'idea del banchetto come raffigurazione "pratica" - e alla portata di tutti - del Regno dei cieli; al banchetto di nozze a Cana di Galilea compie il suo primo miracolo (Gv 2,1-11); Egli fa inoltre, della mensa, il luogo dell'evangelizzazione e il tempo propizio alla conversione, tanto da essere accusato di mangiare «assieme ai pubblicani e ai peccatori» (Mt 9,11) e da sentirsi chiedere: «perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?» (Mt 9,14).
Il culmine di questa relazione cibo-spiritualità si realizza proprio in Cristo stesso, sacerdote, vittima e altare. Egli "sostituisce" i sacrifici imperfetti del Vecchio Testamento con il nuovo, perfetto e completo sacrificio che si compie nella sua stessa persona, offrendosi come cibo e bevanda di vita eterna, prima nell'Ultima Cena (anticipazione del sacrificio cruento della Croce), poi, proprio nella sua crocifissione. L'Eucaristia diviene il "Banchetto" per eccellenza, anticipazione escatologica di quello futuro, cioè della comunione piena e perfetta con Dio.
PANE E VINO, REALTÀ MATERIALI E SPIRITUALI
Cristo ha scelto di rimanere presente (e vivo) tra gli uomini, nelle specie del pane e del vino. Alimento basilare l'uno, bevanda della gioia, l'altro. Cibo necessario, il primo, bevanda accessoria, il secondo. Elementi però quasi senza tempo, nutrimento "da sempre" degli esseri umani; elementi complementari, l'uno e l'altro, perché la bevanda senza il cibo non sazia, e il cibo, senza la bevanda, rischia di soffocare.
Entrambi rappresentano la semplicità e la complessità della terra e del lavoro dell'uomo: la fragilità delle spighe di grano, la delicatezza della vite e dell'uva. La piccolezza del chicco di grano e dell'acino; l'attesa paziente e sapiente dei giusti tempi perché il pane lieviti e si cuocia a dovere e il vino raggiunga il giusto grado di fermentazione.
In questa semplicità l'uomo ritrova il contatto con l'essenziale: il cibo non è il fine, ma il mezzo. Nella società dei consumi - che ha fatto del cibo un argomento abusato, sprecato, sottovalutato nella sua reale portata, per farne oggetto di marketing, e, per contro, per lasciare intere fasce di popolazione immerse nella fame - l'essenzialità del pane e del vino ricordano all'uomo che ci si nutre per vivere, ma non si vive per nutrirsi. La semplicità del pane e del vino rammentano che ci si alimenta anche con cibi poco elaborati, poco costosi, senza stravolgere la natura, senza immettere sul mercato alimenti contraffatti e dannosi alla salute umana, in una sorta di "solidarietà" con il creato e con quanti combattono quotidianamente con la denutrizione o la malnutrizione.
In questo senso, pane e vino diventano il simbolo di un nutrimento completo, totale: essi oltrepassano la barriera materiale fino a diventare il "Totalmente Altro", pur rimanendo esternamente ciò che sono. Non cibo semplicemente per la vita, allora, ma cibo e bevanda per la vita eterna. Cibo che, nell'esistenza di alcuni santi e mistici, è divenuto quasi una "parabola nella parabola". La beata Alexandrina da Costa, san Nicola di Flue - e altri ancora - si nutrirono per anni di sola Eucaristia, simboleggiando che a rendere bella e piena di senso la vita, anzi, a rendere "possibile" la vita, nel senso più spirituale, profondo e reale del termine, non è ciò che si mangia, ma Colui di cui ci si nutre. Colui che si lascia assimilare, per assimilare l'uomo, per renderlo sempre più "simile" a Sè. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6, 35).
Il cibo vero
La scelta di Daniele di rifiutare i cibi prescritti dal re Nabucodonosor, per seguire invece la legge di Dio, è stato il trampolino di lancio per queste riflessioni sul rapporto tra cibo e vita. Il racconto estrapolato dal libro profetico si conclude con un'affermazione rilevante: nonostante l'alimentazione diversa (meno "ricca") da quella di tutti gli altri giovani, quel ragazzo giudeo e i suoi compagni verranno giudicati, dopo dieci giorni di prova, ben più belli e floridi di tutti gli altri. E non solo. Essi sono stati colmati di un sapere e di una sapienza che non sono frutto di studio o apprendimento umano, ma provengono direttamente dall'Alto, e determineranno la compiacenza dello stesso re.
Se, dunque, è un dato di fatto che la vita materiale vada alimentata attraverso il cibo, è altrettanto vero che la vita spirituale va, in parallelo, nutrita attraverso gli alimenti spirituali: l'Eucaristia, la preghiera, l'ascesi. La morigeratezza di Daniele e dei suoi compagni è il simbolo di un sano distacco dalle cose materiali e della capacità di porre la materia e lo spirito nel giusto ordine di priorità. Prima Dio e le sue leggi, poi le cose terrene. Prima il fine e poi i mezzi.
I santi hanno sempre insegnato (anche nei loro scritti spirituali e mistici) che l'uomo troppo goloso si lascia trascinare nel peccato. La gola diventa l'apripista di molti vizi, perché conduce l'uomo a "riempire" gli spazi da dedicare a un altro tipo di nutrimento, quello per la vita interiore, impedendo la conversione degli alimenti spirituali in energia spirituale. I santi hanno sempre dimostrato quanto la bellezza non venga da ciò che si mangia, ma da Colui di cui ci si nutrie. San Francesco di Paola e Padre Pio, due grandi santi del "digiuno" sono sempre stati descritti dai testimoni (e le foto del santo cappuccino lo testimoniano ancora oggi) come belli e floridi d'aspetto, per nulla macilenti. La loro bellezza era la bellezza di Cristo. Il loro nutrimento era Cristo Eucaristico. La loro energia era l'energia dello Spirito.
All'uomo di oggi, come a quello di ieri, si presenta dunque la necessità di una scelta: essere come il ricco epulone, che nella vita godette di ogni piacere della tavola (simbolo della chiusura nell'edonismo e nell'egoismo), lasciando nel bisogno il fratello fuori dalla propria porta, oppure come Gesù, che è venuto per lanciare a tutti l'invito al banchetto della vita eterna, anticipandolo fin d'ora, nella possibilità di nutrirsi di Lui, nell'Eucaristia, cibo della condivisione totale di tutto ciò che Dio è, era e sarà.
NOTE
[1] La storia di Israele - L'esilio babilonese dei giudei, Biblistica, uno studio accurato della Sacra Scrittura.
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