mercoledì 22 luglio 2015

«PERCHE' BRAMO DIO»?

Il desiderio di Dio è condanna o salvezza?
- Fede e Poesia -





DANNAZIONE

Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?

(Giuseppe Ungaretti)



Ungaretti scrive questi versi nel 1916. Trascorreranno più di dieci anni prima del suo approdo definitivo alla fede cattolica (che avverrà nel 1928).
"Dannazione" è una poesia "sintomatica" di una creatura in ricerca, di un essere umano in lotta con le sue stesse contraddittorietà.
Potremmo definirla anche una poesia "in tono antinomico" con la Liturgia della Parola di oggi, memoria di S. Maria Maddalena. Le letture bibliche ci parlano, infatti, dell'anima alla ricerca di Dio, assetata del Signore, e la poesia si conclude con la domanda inquieta dell'uomo che cerca Dio, senza ancora averlo trovato e, proprio per questo, avviluppato come un Lacoonte tra le proprie apparenti "incoerenze".
Ritroviamo infatti, da un lato la "fede" nella materialità delle cose - caduche per loro stessa essenza - ("chiuso" - "cose mortali" - "finirà" sono i vocaboli che esprimono il senso del transitorio, del finito); dall'altro, ci imbattiamo nel desiderio inconscio, ma tenace, di ciò che è per sua natura immateriale e non adatto ad essere ricapitolato nei canoni della sola scienza o della sola ragione, ossia l'anelito a Dio ("Perché bramo Dio?").

"PERCHE' BRAMO DIO?": UN QUESITO DI PRIMARIA IMPORTANZA

Potremmo leggere la poesia partendo dal fondo.
Non ne risulterebbe affatto modificato il senso. La domanda di chiusura è in realtà la domanda di partenza, l'interrogativo che spinge, da secoli, milioni di creature a stravolgere le proprie convinzioni, a dare una svolta alla propria esistenza, a passare dall'ateismo convinto, o da altre religioni, alla fede nel Dio cattolico.
Il punto interrogativo è come una trivella che scava nell'animo umano e mira a scardinare le sicurezze razionali della persona. Perché si avverte il bisogno dell' "Altro da me"?

IL CIELO STELLATO FINIRA'
Il cielo stellato ci conduce ad un passo dei Salmi:
"Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, 
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, 
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?"
(Sal 8, 4-5).
Il cielo è l'elemento della natura che maggiormente avvicina l'uomo al senso dell'infinito. Dà la percezione dell'incalcolabilmente lontano, dell'impensabilmente vasto, ma anche del misterioso, dell'invisibile. Il cielo è il luogo in cui si muove qualcosa che sfugge al completo controllo dell'uomo ed in cui egli sembra "affondare"; il cielo è come un variegato paesaggio di pianeti e di stelle, animati da legge fisiche che influenzano anche la stessa vita umana.
Se - dunque - il cielo che è simbolo di tutto questo - è destinato alla consumazione temporale, al pari di ogni altra cosa creata, esiste qualcosa di realmente infinito, splendente e misterioso, affascinante e distante, che possa saziare la sete di bellezza e di eternità che alberga nel cuore umano?

DANNAZIONE O SALVEZZA?
La domanda "Perché bramo Dio?" scaturisce dal dna umano. Il cuore umano è fatto per il Signore, ed è inquieto finché non lo trova. Così diceva Sant'Agostino.
Nella risposta al quesito si presenta all'uomo l'alternativa fra dannazione e salvezza.
Le "cose mortali", tra cui egli si sente "chiuso", possono diventare porta d'accesso ad una bellezza infinita, a tempo indeterminato: quella divina, di cui sono manifestazione e riflesso. Solo in quest'ottica l'uomo può superare il senso di contraddittorietà tra la sua sete di eternità e la caducità delle cose. Solo così può balzare oltre il senso di ribellione davanti all'incomprensibile, al non-scientifico e approdare alla fede. Solo gustando Dio attraverso le cose create, ma proprio concependole come "finite", la creatura può imparare a cercare Dio là dove Egli realmente è: nell'anima umana, nell'io più profondo dell'uomo. Con Sant'Agostino, l'anima che trova Dio può dire: Ti cercavo fuori di me, ma eri dentro di me.
Quando l'uomo approda alla visione delle cose non come "fine", ma quale "ponte" verso Dio, l'anima può uscire dallo stato di "dannazione" in cui essa si stessa si condanna nella sua mancata risposta al desiderio con Dio la chiama e giungere alla Bellezza che salva. 


"Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. 
 Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. 
 Lì ti cercavo. 
Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. 
 Eri con me, e non ero con te. 
 Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. 
 Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; 
 balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; 
 diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, 
gustai e ho fame e sete; 
 mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace".

 (Agostino, Confessioni,10, 27, 38)



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