venerdì 17 luglio 2015

BUONO COME IL PANE


Un viaggio attraverso l'etimologia del "pane"
- Riflessioni sulla Parola -




"In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato». Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato»".



(Mt 12,1-8)

Il tema del Pane ci catapulta in un mistero, quello del Cuore di Carne di Gesù, che si è dato a noi come alimento di vita.
Il mistero del Cuore ci spinge poi al tema - altrettanto misterioso - della Misericordia di Dio, quella Misericordia che alberga nel Cuore di Dio, un Cuore vivo, palpitante, animato dal fuoco dello Spirito Santo.

IL PANE
Il pane viene richiamato espressamente - e meno espressamente - dal Vangelo di Matteo, quest'oggi propostoci dalla Liturgia della Parola.
Etimologicamente, il termine "pane" deriva dal latino "panem", affine al messapico "panos", che vuol dire "pane", ma anche "grano".
Come non pensare alla prima scena che l'Evangelista ci presenta, ossia quella dei discepoli che, passando tra le spighe e avendo fame, ne colgono e se ne nutrono?
Non a caso, la radice "pa" rimanda, per molti etimologisti, al sanscrito "nutrire".
Troviamo la completezza del significato in una parola sola: il grano che è il prodotto della terra da cui si produce il pane, quel pane che, sulla Mensa Eucaristica, si trasformerà in Pane di Vita.
Possiamo identificarci nei discepoli: anche noi, passando tra le spighe di grano, ovvero tra i frutti della terra e del nostro lavoro (come dice un noto canto d'offertorio), siamo chiamati a renderci conto di avere fame non di cose materiali, ma di Dio.

IL VINO
La radice "pa", cui siamo risaliti dalla parola "pane", rimanda anche al sanscrito "bere", dunque "bevanda".
Possiamo riagganciarci al mistero del Cuore, quel Cuore da cui sulla Croce fu versato per noi tutto il sangue salvifico, sparso per la remissione dei nostri peccati.
La Prima Lettura di oggi (Es 11, 10-12; 14) parla infatti dell'agnello con il cui sangue sarebbero state segnate le case del popolo ebreo, per preservarlo dal flagello che avrebbe colpito gli egiziani. Anche noi siamo stati "segnati" con il Sangue dell'Agnello Immolato, quello di Cristo Signore, prezzo del nostro riscatto, della nostra salvezza.




IL BUON PASTORE DAL CUORE BUONO
"Pa" è anche la radice di "pascere". E' il tema che sta ricorrendo spesso nella Parola di questi giorni: quello del Buon Pastore. Il Buon Pastore che dà la vita per le pecore, il Buon Pastore dal cuore umile, mite, misericordioso. Il Buon Pastore che "pasce" le sue pecorelle donando Sè Stesso: donandosi come Pane e come Vino.

BUONO COME IL PANE
E' l'espressione un po' "popolare" con cui definiamo qualcuno particolarmente "tenero" di cuore, buono di sentimenti, delicato nel dire e nel fare. Uno al quale possiamo dire di tutto, perché tanto buono è e buono rimane; quasi uno al quale possiamo "fare" di tutto, perché la bontà del suo cuore non viene intaccata. 
"Inconsapevolmente" (e forse neanche troppo...) l'uomo ha coniato un'espressione di grande valore, anzi, un'espressione che "valorizza il valore" del pane, lo eleva alla dignità di alimento buono per antonomasia, per eccellenza. L'espressione non dice semplicemente "tenero" o "sfamante", ma "buono" come il pane. Se ne viene sottolineata la bontà, a discapito di altre qualità, ci sarà pur un motivo... 

SOLO DIO E' BUONO
Non sono parole umane. Sono parole della Parola. Parole del Figlio di Dio, di Colui che è
una cosa sola col Padre, che lo conosce prima e meglio di chiunque altro al quale Egli lo voglia rivelare. Al notabile che lo interroga per sapere come ottenere la vita eterna, Gesù risponde: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo" (Lc 18,19).
L'etimologia della parola "buono" è interessantissima; ci rimanda a "beo": rendo felice; per altri studiosi si ricollega a "ricco" e "splendore"; per altri ancora a "virtuoso" e "purificare".
Fermiamoci a pensare: Dio è... buono come il pane. Dio è il solo che ci rende felici, è l'unico "ricco di misericordia" (Ef 2,4), è il Puro che ci purifica.
Dio ha un cuore così tenero, così fremente di compassione (cfr. Benedetto XVI, Primi Vespri nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, 19 giugno 2009), da essersi fatto "Cuore eucaristico di pane" perché chiunque si nutra di Lui, abbia la vita eterna (cfr. Gv 6,54). Dio è veramente "un pezzo di Pane", come usiamo dire delle persone mansuete e indulgenti. Non a caso Gesù si è definito "mite e umile di cuore" (Mt 11,29).


LA MISERICORDIA DI DIO
"Misereo" e "cordis": "miseria" e "cuore". Sono le due parole che formano il vocabolo "misericordia". La miseria dell'uomo tocca il cuore di Dio.
C'è miseria maggiore di quella di un essere umano affamato e assetato, che cerca di soddisfare il proprio bisogno in alimenti effimeri, che periscono? 

E' allora dalla "misericordia" divina, da quel "Cuore di Dio che vede" le nostre miserie, che scaturisce il progetto della salvezza: il Pane ed il Sangue di vita sono la risposta misericordiosa di Dio alla miseria dell'essere umano.
Con le parole di Benedetto XVI possiamo affermare che "il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù — è « un cuore che vede ». Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente" (Deus Caritas est, n.31).



IL NOSTRO AIUTO E' NEL NOME DEL SIGNORE
E' l'antifona del Salmo Responsoriale di martedì scorso.
Solo nel nome di Dio vi è salvezza, e il nome del Signore è "Gesù": "Dio salva".
Chiudiamo così il cerchio, quel cerchio iniziato con la fame dell'uomo, con la risposta "preventiva" di Dio che è venuto in suo soccorso, inviando il Figlio Unigenito che ci ha sfamati e dissetati... che ci sfama e ci disseta ancora.
Con le parole di un inno che la Liturgia delle Ore ci propone, possiamo allora prorompere in questa preghiera:
"Creati per la gloria del tuo nome, redenti dal tuo sangue sulla croce, segnati dal sigillo del tuo Spirito, noi t'invochiamo: salvaci, o Signore"!


IL NOME DI DIO
- testi di J. Ratzinger-Benedetto XVI e don Divo Barsotti -



«Dio ha un nome e chiama per nome. Egli è persona e cerca la persona. 
Ha un volto e cerca il nostro volto. Ha un cuore e cerca il nostro cuore. Nome significa possibilità di essere interpellati, significa comunione. Per questo motivo Cristo è il vero Mosè, il compimento ultimo della rivelazione del nome. Egli non porta un nome nuovo, ma fa di più: lui stesso è il volto di Dio, è il nome di Dio, la possibilità di invocare Dio come un Tu, come persona, come cuore. L’uomo che si apre all’amore, in questa presenza che continuamente lo circonda può scorgere il mistero cui aspira tutto il suo essere. Qui egli potrà cogliere il superamento della propria solitudine, che nessuna creatura umana riuscirà mai a eliminare e che costituisce comunque una vera e propria contraddizione per l’essere che tende al Tu, a essere con l’altro. In questa presenza misteriosa egli può trovare il fondamento di quella fiducia che gli consente di vivere. E’ questo il luogo in cui trovare risposta al problema di Dio. Essa dipende dal modo in cui l’uomo considera originariamente la propria vita: se vuole rimanere non-visto, se preferisce restare da solo – “Sarete come Dio!” – oppure se egli, nonostante le sue inadeguatezza, anzi proprio perché essere inadeguato, è invece riconoscente a Colui che riempie e sostiene tutte le sue solitudini. Le ragioni che sostengono l’una o l’altra scelta sono le peiù diverse. Dipende dalle esperienze di fondo che si fanno con il Tu: se in esso si scorge l’amore o, invece, una minaccia. E dipende anche dalla figura in cui Dio incontra l’uomo: se nelle vesti di un terribile sorvegliante che medita il momento della condanna, o come l’amore creatore che ci aspetta. Il Nome di Gesù, infatti, contiene la voce “YHWE” nella sua forma ebraica e vi aggiunge dell’altro: “Dio salva”. Io sono colui che sono, ora, a partire da Gesù, significa: Io sono colui che vi salva. Il suo essere è redenzione».
(J. Ratzinger – Benedetto XVI, 
Il Dio di Gesù Cristo, ed. Queriniana, 2011, pp.12-13; 19-20)

 «Le parole “Io sono” sono la definizione di Dio. E’ Dio davvero che si rivela e si comunica tutto alla povertà di una anima peccatrice che si è aperta ad accoglierlo. Che bellezza! Pensate un poco: per possedere Dio basta conoscersi peccatori! E’ una cosa semplice, no? Non cerchiamo di mascherare le nostre imperfezioni davanti al Signore. E’ proprio nell’essere quello che siamo, se ci conosciamo veramente nella sua luce, che anche conosceremo Lui come l’amore che pienamente si dà» .       
(Divo Barsotti, Gesù e la Samaritana, Esegesi spirituale sul capitolo IV del Vangelo di Giovanni, Società Editrice Fiorentina, 2006, p. 41)

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