"Gli rispose uno della folla: Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.
Egli allora in risposta, disse loro: portatelo da me.
Gesù interrogò il padre: Da quanto tempo gli accade questo?
Ed egli rispose: dall'infanzia, anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo.
Ma se tu puoi quacosa, abbi pietà di noi e aiutaci.
Gesù gli disse: SE TU PUOI! TUTTO E POSSIBILE PER CHI CREDE.
Il padre del fanciulle disse ad alta voce:
CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA' "
(Mc 9 17; 21-25)
Il miracolo dell'epilettico indemoniato, guarito da Gesù, è uno dei passi del Vangelo che meglio ci aiuta a comprendere la dinamica "umana" (e non solo) delle virtù teologali, ossia FEDE, SPERANZA, CARITA'.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: "Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in colui che Egli ha mandato.
La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa.
E' impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo.
Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano.
Non è contrario né alla libertà né all'intelligenza dell'uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate.
Nella fede, l'intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina: credere è un atto nell'intelletto che sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina."
Nel brano evangelico raccontato da Marco, la fede compare, inizialmente, nel gesto dell'uomo che, di propria iniziativa, decide di portare da Gesù il figlio posseduto dal demonio, perché ritiene che Lui possa aiutarlo, liberandolo dalla presenza demoniaca.
In questo gesto, il padre risponde all'opera della grazia, che agisce in lui, utilizzando anche la "volontà" e questo elemento apparirà ancora meglio dalle parole di Gesù e dal successivo modo di agire (a parole e a fatti) dell'uomo.
Dice sempre il CCC: "il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale.
Noi crediamo per l'autorità di Dio stesso che le rivela, nondimeno, perché l'ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua Rivelazione".
Segni certi: fra di essi rientrano anche i miracoli!
Ritoniamo alle parole del padre dell'indemonianto: CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA'.
Dal primo "passo", che è quello della fede ("Credo"), ci si porta su quello della speranza, che viene "mascherata" a prima vista in maniera contradditotoria, dall'incredulità manifestata dall'uomo.
Ma cerchiamo di capire meglio questa incredulità: essa non è un' espressione di dubbio nella potenza di Dio, che metterebbe in discussione la fede manifestata nella parola CREDO (e diventerebbe in quel caso, un peccato), è invece interpretabile come un segno della naturale fragilità umana, dell'impotenza dell'a creatura, che non può, con la scienza, o con le tecniche di cui dispone, ottenere tutto quello che vorrebbe.
Se l'uomo prende coscienza di questo, la sua "incredulità" non è un dubbio contro la fede o contro la speranza ma un'ammissione della propria impotenza umana, sebbene espressa con terminologia non del tutto corretta.
Non solo, ma la parola "incredulità", in questo contesto, la si potrebbe interpretare come un'ammissione della nostra sempre "poca" fede, poca in confronto all'immenso amore di Dio!
Non solo, ma la parola "incredulità", in questo contesto, la si potrebbe interpretare come un'ammissione della nostra sempre "poca" fede, poca in confronto all'immenso amore di Dio!
Solo Dio, in certi casi, può operare, eppure, l'uomo, se ha fede, ha anche quella speranza che gli fa dire: so che io non posso niente in questa circostanza, so che non posso risolvere da solo il problema, so che umanamente è impossibile che si realizzi quanto io desidero, ma CREDO CHE TU POSSA FARE TUTTO QUESTO!
Insomma, siamo alla "speranza contro ogni speranza" che caratterizzò Abrano, siamo alla stessa speranza "che non delude perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori" di cui scrive San Paolo.
Nel brano evangelico, il passaggio dalla fede alla speranza, è sottolineato anche dalla risposta che Gesù stesso offre all'uomo: "Se tu puoi! Tutto è posibile per chi crede"!
Potremmo dire che questa affermazione sia la naturale e meravigliosa conseguenza del libero arbitrio, per cui anche Dio, che è Onnipotente, decide di intervenire, sempre e comunque secondo il Suo disegno di Provvidenza e di salvezza, nella misura in cui l'uomo stesso Lo invochi e creda in Lui.
C'è quasi come un passaggio di staffetta da Dio stesso all'uomo: Dio ci dona la grazia che ci aiuta ad accogliere la fede, che, come leggiamo nel "Vademecum di Teologia morale" di Padre Gerardo Cappellutti o.p. "è una virtù soprannaturale che ci dispone, con l'aiuto della grazia, ad ammettere fermamente per vero tutto ciò che Dio ha rivelato, per l'autoridità di Dio rivelante", ma poi, dalla fede dobbiamo passare alla speranza, che in un certo senso, rende "autentica" la nostra professione di fede, la attualizza!
Se io dicessi di credere che Dio sia il celeste medico non solo dell'anima, ma anche del corpo, e poi non Lo invocassi per ottenere la mia guarigione da qualche male, o quello di una persona che mi sta a cuore, e mi disinteressassi completamente di questo tipo di preghiera, come manifesterei la mia speranza?
La mia professione di fede sarebbe solo un atto....a parole, ma non darei testimonianza effettiva della mia FIDUCIA nell'Onnipotente!
E' sempre nel Vademecum di Teologia Morale che leggiamo: "la speranza è la virtù infusa teologale che fa desiderare il pieno possesso di Dio, Sommo Bene, e confidare di ottenere dalla sua potenza ineusaribile e liberale i soccorsi necessari per conseguire secondo le sue promesse".
Fra questi mezzi, vi potrebbe anche essere una grazia di guarigione fisica, se rientrasse nell'ottica della salvezza eterna predisposta per alcuni di noi: essa potrebbe servire come segno della potenza divina a noi, o ad altri; potrebbe essere un segno della Miseroicordia e dell'amore di Dio, potrebbe diventare uno strumento affinché, riottenendo salute, la persona si ponesse generosamente e con maggior vigore, al servizio del Signore.
Il Vangelo è pieno di questi "esempi" e luoghi come Lourdes, ce lo dimostrano ancora ai nostri giorni!
In questo passaggio per "tappe" dalla fede alla speranza, la ragione non viene meno, ma, com come spiega anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, proprio ammettendo il limite della ragione umana, in determinati casi, è possibile lasciare aperta la porta della fede e quella della speranza, riconoscendo l'esistenza di una Ragione Superiore, che può intervenire dove all'uomo non rimanga alcuna via di uscita.
Questo non è svilimento dell'essere umano, ma umiltà, di fronte alla grandezza di Dio, e capacità di contempoerare fede e ragione, come le ali che servono agli uccelli per volare, secondo un insegnamento di Papa Giovanni Paolo II.
(Nella sua lettera enciclica "Fides et Ratio" leggiamo: "La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità")
La conseguenza di questa fede, è, come dice il CCC: "Fidarsi di Dio in ogni circostanza, anche nell'avversità".
Fede e speranza, tuttavia, non sono pienamente "complete" in noi, finché rimaniamo avvolti nel buio della...paura o del timore, cioè fin quando non professiamo apertamente ciò in cui crediamo e speriamo.
Lo stesso Vangelo ci rammenta le parole di Gesù: "non c'è niente di nascosto che non debba essere rivelato".
Se noi crediamo e speriamo, ma non diamo "voce" pubblica a questi nostre virtù, siamo come una candela spenta oppure nascosta, mentre Gesù desidera che noi diventiamo una luce accesa e ben visibile, che illumini anche altre persone.
Ecco perché, nel passo evangelico che stiamo meditando, il padre dell'indemoniato risponde "a voce alta": egli mette in evidenza come il suo credere non sia solo un "pro forma" a parola, ma coinvolga la sua intera persona e la sua esistenza, tanto da dirlo apertamente, davanti a tutti coloro che lo ascoltano.
E sappiamo che fra di essi, a quei tempi, ci potevano essere (anzi, ci saranno stati di sicuro anche in quel momento) i detrattori di Gesù, i farisei e quanti, più tardi, lo avrebbero chiesto a Pilato, in cambio di Barabba!
Anche noi, in molte occasioni, abbiamo paura o timore nell'esternare la nostra fede e la nostra speranza perché pensiamo e ci curiamo troppo delle eventuali derisioni che ci potrebbero arrivare anche da persone a noi vicine.
In altre circostanze, abbiamo paura non tanto di dire che siamo cattolici, ma di dimostrare a parole e coi fatti, la "speranza contro ogni speranza", perché impauriti dall'atteggiamento di chi cerca di coniugare la fade con la "falsa ragione", ossia, di chi crede, ma non ritiene che Dio possa veramente inervenire oltre la scienza umana.
Non è invece questo quello che ci chiede Gesù: Lui vuole da noi un atto di autentica fede e di autentica speranza, perché solo da essi può scaturire la VERA CARITA'!
La carità, ci dice il Vademecum: "è la virtù teologale per eccellenza, che inclina la volontà umana non solo ad amare Dio sopra ogni altro bene e il prossimo per lui; ma inoltre ad amarlo come egli ama se stesso, partecipando al suo stesso Amore incarnato".
Da questo amore, nasce "l'amore di amicizia che fa godere della sua stessa beatitudine e si svolge in tre gradi: nel primo l'amore si rassegna alla volontà di Dio; nel secondo si conforma alla medesima; nel terzo si uniforma, in quanto l'unione si fa sempre più intima fino a raggiungere la fusione perfetta, che è appunto la santità".
Come applicare questo terzo passaggio al brano evangelico narrato da San Marco?
Se ci soffermiamo a riflettere, è facile intuire immediatamente che l'agire del padre, che conduce il proprio figlio da Gesù, scaturisce proprio dall'amore, dalla "carità": il padre ama il figlio e lo vuole vedere guarito, per questo ricorre a Gesù!
Sappiamo bene quanto, nella Bibbia intera e a maggior ragione nei Vangeli, la figura del rapporto Padre -Figlio sia simbolo dell'amore misericordioso e a maggior ragione possiamo intenderlo qui come raffigurazione concreta della carità che deve scaturire in noi dalla fede e dalla speranza.
Infatti, "il credente deve amare il prossimo per due ragioni fondamentali; perché il prossimo ha in comune con lui la natura umana, con quanto di grande e degno essa comporta; secondo perché il prossimo è elevato all'ordine della grazia, ossia a quello stesso della naura e della vita di Dio.
La gerarchia della carità ha quindi l'ordine seguente:
- amore dell'anima propria,
- amore dell'anima e del corpo altrui,
- amore del proprio corpo".
E' dunque carità
- non solo pregare per noi stessi,
- ma è anche dovere di carità pregare per gli altri, condurre a Dio i loro bisogni, proprio come fa il padre che porta a Gesù il figlio indemoniato;
- è dovere di carità, frutto di fede e speranza, anche l'apostolato della parola, che spinga gli altri a sperare contro ogni speranza,,fiduciosi nell'Amore Misericordioso ed onnipotente di Dio.
D'altronde, nelle "sette opere di misericordia", non vi è anche quella di consolare gli afflitti? E non potremmo intendere anche come un offrire una parola di conforto, di speranza contro ogni possibilità puramente umana????
La carità è preghiera, è parola, è azione.
Tutto dipende dalle circostanze, ma ciascuna di queste categorie di opere caritetevoli, rientra nel pensiero di San Giacomo, che dice che la fede non possa esistere senza carità, senza opere (di parola, pensiero, azione o preghiera che siano!) perché altrimenti, essa sarebbe come morta!
"Mostrami la tua fede senza le opere, ed io, con le opere, ti mostrerò la mia fede". (Gc 2 18)
Che il Signore ci aiuti a dire a voce alta: "CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA' " per essere testimonianza vivente del fatto che la fede e la speranza, producono frutti di carità in noi e ci rendono sale della terra.
Una guida davvero coinvolgente per capire il vero significato della nostra fede, racchiusa nel Credo apostolico! Grazie! Un abbraccio
RispondiEliminaGrazie a te cara, buona giornata!
RispondiEliminaContiene degli spunti interessanti. Ma non lo e' di certo quando si passa dalla parola di Dio ai vari vademedicum che vorrebbero spiegarci questo e quello.
RispondiEliminaPerche' non restare solo nella parola di Dio evitando di indottrinarla molto?
secondo me sarebbe stato molto piu' efficace.
Gentile lettore, il Vademecum è un aiuto validissimo per approfondire vari punti trattati dal Catechismo della Chiesa Cattolica, "compendio" della Dottrina. Lo fa ovviamente dal suo proprio punto di vista, cioè sotto l'aspetto della teologia morale, come si evince dal titolo stesso dell'opera che ho citato nel mio testo. Poiché la Dottrina della Chiesa non appesantisce la Parola, ma aiuta l'uomo a viverla meglio, e analizza ed espone i contenuti della nostra fede, sempre alla luce della Parola, non trovo nulla in contrario nell'usare quegli strumenti - anche teologici - che si ricolleghino agli argomenti trattati dalla Bibbia e alla Dottrina stessa. Tanto più che il volumetto da me citato è di agile consultazione e chiarissimo nell'esposizione degli argomenti, fornendo anche esempi concreti per le varie situazioni di vita in cui chiunque di noi può incorrere.
EliminaOvviamente, il gusto personale riguardo a quanto scrivo è indiscutibile, per cui la ringrazio per aver letto e commentato.