venerdì 19 febbraio 2016

Cibo e Parola

«IL DIGIUNO CHE VOGLIO» (Is 58,6)
Meno parole, più Parola
(in collaborazione con Enza, foodblogger su Foodtales)


Chiamatiallasperanza e Foodtales continuano a proporvi delle brevi riflessioni settimanali sul digiuno, articolate attorno al tema «Il digiuno che voglio», parole pronunciate da Dio nell'Antico Testamento. Attraverso di esse Egli vuole frantumare l'ipocrisia dell'essere umano, impegnato nell'osservanza di riti, ma spesso lontano - con il cuore - da Lui e dal prossimo. È la stessa ipocrisia contro cui si scaglierà Gesù nel Vangelo, quando inviterà a digiunare, pregare e fare l'elemosina senza suonare la tromba, ma nel segreto del proprio cuore, perché solo dal Padre, che conosce interiormente l'uomo, verrà la ricompensa.




"Digiuna dal dire parole che feriscono:
riempiti di quelle che risanano", recita una preghiera




DIGIUNARE DALLE PAROLE CATTIVE

«Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi
e colpendo con pugni iniqui.
Non digiunate più come fate oggi,
così da fare udire in alto il vostro chiasso» (Is 58,4).
Con questa ammonizione il Signore svela l'ipocrisia di chi si astiene dal cibo solo materialmente, ma non riesce a vivere la dimensione penitenziale come tempo di conversione, cambiamento e purificazione.
Proprio in quanto il privarsi degli alimenti non è il fine, ma un mezzo, non ha senso digiunare corporalmente se sul piano spirituale si fa invece indigestione di sostanze altamente nocive come la calunnia, la mormorazione, il litigio. Di tutte quelle "parole", cioè, capaci di uccidere la verità, la dignità altrui e finanche l'anima di chi le pronuncia.


L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone del suo Dio il quale è verità e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto di impegnarsi nella rettitudine morale: sono profonde infedeltà a Dio e, in tal senso, scalzano le basi dell'Alleanza (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2464);


Ogni colpa commessa contro la giustizia e la verità impone il dovere di riparazione, anche se il colpevole è stato perdonato. Quando è impossibile riparare un torto pubblicamente, bisogna farlo in privato; a colui che ha subito un danno, qualora non possa essere risarcito direttamente, va data soddisfazione moralmente, in nome della carità. (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2487).

Ne uccide più la lingua che la spada (Sir 28,18)

L'Antico Testamento in modo particolare nei Libri Sapienziali - invita l'uomo  a misurare le parole, perché «ne uccide più la lingua che la spada» (Sir 28,18). Nel Nuovo Testamento è soprattutto san Giacomo che mette in guardia dal cattivo uso della lingua. Le sue lettere contengono vari inviti a tenerla a freno, perché pur essendo «un membro piccolo può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!» (Gc 3,5). Questo fuoco rischia di essere «il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna» (Gc 3,6). La lingua « è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Gc 3,8).
Purificare la lingua vuol dire purificare il cuore. C'è infatti connessione strettissima tra parola e sentimento.

La parola proviene dal cuore

«Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che rendono impuro l'uomo» (Mt 15,18-20). Gesù non usa mezzi termini. La parola è l'espressione del nucleo più profondo dell'essere, della sua bontà o della sua cattiveria, della sua ricerca di ascesi e di purificazione o del suo abbandono alle forze del male (cfr. Lc 6,45).
«Gesù era pratico» - ha affermato papa Francesco - «parlava sempre con gli esempi per farsi capire. Inizia dal quinto comandamento del decalogo: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; … Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio" (Mt 5,21-22). Con questo, Gesù ci ricorda che anche le parole possono uccidere! Quando si dice di una persona che ha la lingua di serpente, cosa si vuol dire? Che le sue parole uccidono! Pertanto, non solo non bisogna attentare alla vita del prossimo, ma neppure riversare su di lui il veleno dell’ira e colpirlo con la calunnia. Neppure sparlare su di lui. Arriviamo alle chiacchiere: le chiacchiere, pure, possono uccidere, perché uccidono la fama delle persone! È tanto brutto chiacchierare! All’inizio può sembrare una cosa piacevole, anche divertente, come succhiare una caramella. Ma alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi. Vi dico la verità, sono convinto che se ognuno di noi facesse il proposito di evitare le chiacchiere, alla fine diventerebbe santo!» (Francesco, Angelus, 16 febbraio 2014)

Il digiuno "dentro" il cuore

Digiunare dalle parole false, cattive e pungenti che vorrebbero prorompere dalla labbra diventa uno strumento per imparare ad asternersi dai cattivi sentimenti "dentro" il cuore. Un cuore ripulito dal male si rende capace di gustare la gioia altrui senza sporcarla con la maldicenza o l'invidia, ma si fa anche in grado di provare compassione per quelli che soffrono o sbagliano, senza per questo rinunciare alla correzione fraterna e alla condanna del male.
San Pietro ha scritto: «chi vuole amare la vita e vedere giorni felici trattenga la lingua dal male e le labbra da parole d'inganno» (1Pt 3,10). Questo concetto è riassunto anche in una regoletta detta «delle dieci P», una formula che tanti, da bambini, si sono spesso sentiti ripetere:
«prima pensa poi parla perché parola poco pensata porta pena»!
Pensare non è semplicemente un atto razionale. Si può pensare solo con la testa oppure si può pensare anche con il cuore. E questo vuol dire agire come Gesù: con  parole di verità e di misericordia.

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