VISITARE I CARCERATI
L'esperienza della misericordia nella vita di don Bosco è quella di una grazia ricevuta e donata, sperimentata su di sé, e dispensata agli altri. È come trovarsi dinanzi a un bene che scorre "in circolo": si riceve nel dare e si dona nel ricevere.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.
- Lo chiamerò, rispose D. Bosco, ma voi lasciatemi andare per i fatti miei.
- Sì, sì, vada pure, ma lo chiami tosto, gridarono nuovamente.
- Grigio, disse allora D. Bosco, vien qua ed esso obbediente si fa presso di lui, lasciando liberi quei malfattori, che se la diedero a gambe a più non posso. Nonostante questa inaspettata difesa, D. Bosco non se la sentì di proseguire il cammino sino a casa. Egli entrò nel vicino Istituto del Cottolengo. Ivi, riavutosi alquanto dallo spavento, e caritatevolmente ristorato con una opportuna bibita, riprese la via dell'Oratorio accompagnato da una buona scorta. Il cane lo seguì fino ai piedi della scala per la quale si saliva in camera [2]».
[1] MB II, 61-63.
Non è qualcosa di semplicemente spirituale, ma anche materiale, così da poter vedere quanto realmente, il santo torinese, abbia vissuto la misericordia nella sua totalità che coinvolge l'essere umano in tutte le sue dimensioni. D'altronde, è questo il modo in cui Dio usa misericordia verso le sue creature: provvedendo al necessario per la loro esistenza corporale, ma anche - e soprattutto - per quella spirituale.
PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO
O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre
e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare
Gesù Sacramentato,
Maria Ausiliatrice
e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso.
Amen.
|
D. Cafasso, guida spirituale di don Bosco, condusse il santo nelle carceri torinesi, dove svolgeva parte del suo ministero e del suo apostolato. L’esperienza segnò profondamente il giovane sacerdote, che decise di spendersi per i tanti giovani a rischio, nella Torino dell’epoca, affinché non incappassero anche loro nella stessa infelicità di quei ragazzi rinchiusi in cella. Così riportano le Memorie Biografiche:
«Il sacerdote Cafasso vi entra, così D. Bosco. Non lo sgomentano le sentinelle e le guardie; passa le ferree porte e i cancelli; non si commuove al rumore dei catenacci; non lo arresta l'oscurità, l'insalubrità, il fetore del luogo. In una di quelle stanzacce si ride e sghignazza, in un'altra si canta, e sono urla più di animali feroci che di umane creature. Qua si maledice, là si rissa, si parla osceno, si vomitano orribili bestemmie contro Dio, contro la B. Vergine e contro i Santi. Il coraggioso sacerdote a simile spettacolo prova in cuor suo amaro cordoglio, ma non si perde di animo. Appena egli incomincia a parlare a quel nuovo genere di uditori viene tosto ad accorgersi che costoro sono divenuti infelici, anzi abbrutiti, perché la loro sventura derivò piuttosto da mancanza d'istruzione religiosa che da propria malizia. Parla loro di religione, ed è ascoltato; si offre di ritornare, ed è atteso con piacere. Continua i suoi catechismi, invita ad aiutarlo altri sacerdoti, in fine riesce a guadagnarsi il cuore di quella gente perduta. Si incominciano le prediche, si introducono le confessioni. Però se questi frutti consolanti fin da principio cagionano grande gioia a D. Bosco, un'emozione vivissima egli prova, di spavento e di pietà ad un tempo. L'incontrare nelle carceri turbe di giovanetti e di fanciulli sull'età di dodici ai diciotto anni, tutti sani, robusti e d'ingegno svegliato; vederli là inoperosi e rosicchiati dagli insetti, stentando di pane spirituale e temporale, espiare in quei luoghi di pena con una trista reclusione, e più ancora coi rimorsi le colpe di una precoce depravazione, fa inorridire il giovane prete. Cercando la causa di tanta depravazione in quei miseri giovani, gli parve di trovarla non solo nell'essere stati lasciati, dai parenti in un deplorevole abbandono nello stesso loro primo ingresso nella vita, ma molto più nel loro allontanamento dalle pratiche religiose nei giorni festivi. Convinto di ciò D. Bosco andava dicendo: Chi sa, se questi giovanetti avessero avuto forse un amico, che si fosse presa amorevole cura di loro, li avesse assistiti ed istruiti nella religione nei giorni di festa, chi sa se non si sarebbero tenuti lontani dal mal fare e dalla rovina, e se non avrebbero evitato di venire e di ritornare in questi luoghi di pena? Certo che almeno il numero di questi piccoli prigionieri sarebbe grandemente diminuito. Non sarebbe ella cosa della più grande importanza per la religione e per la civile società il tentarne la prova per l'avvenire a vantaggio di centinaia e migliaia di altri fanciulli? E pregava il Signore che gli volesse aprire la via per dedicarsi a quest'opera di salvamento per la gioventù» [1].
Don Bosco non fu mai carcerato , né venne assoggettato a misure restrittive come quelle coinvolsero - per permissione divina - Padre Pio o altri santi.
Non si sbaglia però nel dire che, per un periodo di tempo, egli visse in stato d'allerta, minacciato dai suoi "avversari" (spesso per questioni religiose) e, in un certo senso, sebbene non carcerato... bisognoso di "scorta". Di fatto, era come se alla sua libertà venisse imposto un limite. Non era propriamente agli "arresti domiciliari" in senso lato, ma rischiava grosso, andando in giro fuori Torino senza protezione. Fu allora che il santo fece un incontro inaspettato, ma provvidenziale, ricevendo una "visita" inattesa.
Una sera, mentre rientrava da solo a Valdocco (a quei tempi occorreva percorrere un tratto piuttosto lungo di campagna, pieno di cespugli e di acacie, terreno propizio per dare riparo a qualche malintenzionato), non senza un filo di paura, don Bosco vide "sbucare" accanto a sé un grosso cane grigio. Superato l'iniziale spavento, il santo si accorse che le sue intenzioni erano benevole, e così si lasciò accompagnare da lui fino all'oratorio, cosa che si ripeté più volte. Quel cane divenne così, nell'idea di tutti all'Oratorio, "il cane di don Bosco".
E fu proprio il Grigio a salvargli la vita per ben tre volte.
L'ultima ebbe luogo sul finire del novembre 1854.
Ecco come narrano il fatto le Memorie Biografiche [2]:
«Una sera, molto oscura e nebbiosa, egli veniva a casa dal centro della città, dal Convitto, e per non camminare troppo lontano dall'abitato scendeva per la via che dal Santuario della Consolata mette all'Istituto del Cottolengo. Ad un certo punto della strada D. Bosco si accorge che due uomini lo precedevano a poca distanza, ed acceleravano o rallentavano il passo a misura che lo accelerava o rallentava egli pure; anzi quando ei tentava di portarsi dalla parte opposta per evitarli, destramente facevano altrettanto per trovarglisi dinanzi. Non rimaneva più alcun dubbio che fossero due male intenzionati; quindi cercò di rifare la via per mettersi in salvo in qualche casa vicina; ma non fu più in tempo; poiché quei due, voltatisi improvvisamente indietro e conservando cupo silenzio, gli furono addosso e gli gettarono un mantello sulla faccia. Il povero D. Bosco si sforza per non lasciarsi avviluppare; abbassandosi con rapidità, libera per un istante il capo e si dibatte. Ma gli oppressori mirano ad avvolgerlo vieppiù stretto e a lui non resta che di chiamare aiuto; e non può, perché uno di quegli assassini gli tura con un fazzoletto la bocca. Ma che? in quel cimento terribile di inevitabil morte, mentre invocava il Signore, compare il grigio, il quale si diede ad abbaiare così forte e con tal voce, che il suo pareva non il latrar di un cane e neppur di un lupo, ma l'urlare di un orso arrabbiato, sicché atterriva e assordava ad un tempo. Né pago di ciò, si slancia colle zampe contro uno di quei ribaldi, e lo costringe ad abbandonare il mantello sul capo di D. Bosco, per difendere sé stesso; poi sì getta sopra dell'altro, e in men che non si dice, lo addenta e lo atterra. Il primo, vista la mala parata, cerca di fuggire, ma il grigio non lo permette, perché saltandogli alle spalle, getta lui pure nel fango. Ciò fatto, si ferma colà immobile continuando ad urlare, e guardando quei due galantuomini, quasi dicesse loro: Guai se vi movete. A questo improvviso mutamento di scena:
- D. Bosco, per carità! Ahi! Lo sgridi che non ci morda! Pietà, misericordia, chiami questo cane, - si posero a gridare quei due furfanti.- Lo chiamerò, rispose D. Bosco, ma voi lasciatemi andare per i fatti miei.
- Sì, sì, vada pure, ma lo chiami tosto, gridarono nuovamente.
- Grigio, disse allora D. Bosco, vien qua ed esso obbediente si fa presso di lui, lasciando liberi quei malfattori, che se la diedero a gambe a più non posso. Nonostante questa inaspettata difesa, D. Bosco non se la sentì di proseguire il cammino sino a casa. Egli entrò nel vicino Istituto del Cottolengo. Ivi, riavutosi alquanto dallo spavento, e caritatevolmente ristorato con una opportuna bibita, riprese la via dell'Oratorio accompagnato da una buona scorta. Il cane lo seguì fino ai piedi della scala per la quale si saliva in camera [2]».
NOTE
[1] MB II, 61-63.
[2] Qualche forma verbale o altri termini più arcaici sono stato trascritti in lingua corrente, per non appesantire la lettura.
[2] MB IV, 716-718.
Nessun commento:
Posta un commento