Miracolo del figlio della Vedova di Naim, Mario Minniti - Messina, Museo Regionale |
Lc 11,7-17: storia di una vedova, madre di un figlio unico.
Il Vangelo di oggi mi piacerebbe re-intitolarlo così, concentrando l'attenzione sulla figura femminile che incontra Gesù alle porte della città.
Nel luogo dove stanno per seppelire anche quel figlio unico di quella donna già provata dalla vita, in quel posto in cui - simbolicamente - tutto il suo mondo di donna avrebbe dovuto essere sigillato, rinchiuso...messo sotto silenzio. Col figlio morto si quadrava il cerchio degli affetti perduti. Tutto in una tomba. Tutto sotto terra.
Tutto finito.
Ma è qui che nella storia di questa donna avviene una svolta.
La stessa linguistica ce lo insegna: esiste un termine per identificare il figlio che perde un genitore, un coniuge che perde lo sposo....ma non vi è lessico capace di tradurre in un solo vocabolo la condizione (psicologica, sociale, giuridica) di un genitore che perda un figlio.
L'incapacità della lingua, della grammatica e della semantica di tracciare/spiegare una situazione tanto complessa sembra evidenziare proprio l'evidenza che la morte vorrebbe sconfiggere.
Si rimane genitori per sempre.
Nulla togliendo a chi perda marito o moglie, ma tutto sembra condurre a pensare che l'affetto di e per un figlio sia un'esperienza completamente "a parte".
Distante da tutte le altre, superiore a tutte le altre. Tale da non "mutare" nella sostanza nemmeno con la morte. Esperienza indicibile, incatalogabile, a tempo indeterminato. Di più: senza scadenza.
Indubbiamente perché "viscerale", perché il figlio lo si genera con una parte di sé, e lo si porta (per una madre) dentro di sé.
Non è dunque un caso se Gesù opera miracoli di risurrezione proprio in circostanze simili.
E questo non è l'unico...come dimenticare la figlia di Giario? In Lc 8,40,56, un capitolo più avanti rispetto al Vangelo di oggi.
Ancora una figlia morta, ancora una figlia "unica".
D'altronde, Gesù - in quanto Verbo e quindi Dio - conosce in primo luogo il "sacrificio" del Padre che decide di offrire il Figlio Unigenito per la salvezza del mondo.
L'esperienza trinitaria dell'Amore Lo rende capace di "umanizzare" il dolore di un genitore per la perdita "umana" di un figlio.
Anche Dio Padre - umanamente parlando - nella Crocifissione perderà l'Umanità del Figlio.
La ritroverà nella Risurrezione, quando "per mezzo del Verbo e per opera dello Spirito Santo" richiamerà il Figlio alla Vita.
Se leggiamo tutto nell'ottica del prologo Giovanneo e della teologia paolina, sappiamo che tutto si compie così, nella dimensione trinitaria.
Il Padre attua per mezzo del Figlio e per opera dello Spirito.
Volendo essere ancora più "cristologici", si potrebbe anche dire: nel Figlio incarnato l'umanità divina di Gesù "vive" sulla propria pelle l'esperienza della paternità.
"Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9).
Gesù è la "personificazione" visibile del Padre e del Suo "sentire" in quanto tale.
Gesù è per noi il Volto del Padre e ci ama anche come Padre, soffre anche come Padre, porta in Sè l'aspetto "umano" di questo sentire paterno verso tutta l'umanità.
Anche Isaia lo dice, quando parlando del Messia afferma:
"il suo nome sarà: Padre per sempre" (Is 9,5)
"il suo nome sarà: Padre per sempre" (Is 9,5)
Nella Passione questo aspetto della "paternità" resa palpabile in Cristo e nel Suo Cuore, tocca il culmine: il dolore per le anime che in tutti i tempi si perderanno sarà già anticipato nella sudorazione di sangue al Getsemani (in uno dei tanti significati che si può dare a quel fenomento) e sulla Croce troveremo quasi in forma "tangibile" il contrasto tra i figli che si perdono e quelli che si salvano e tra la sofferenza di Dio per i primi e la gioia per i secondi.
I due ladroni crocifissi accanto al Cristo ne sono esemplificazione più che concreta.
Gesù ha però anche un'altra figura di riferimento per comprendere il dolore di un genitore che rimane senza un figlio.
Stavolta il punto di paragone non è divino, è umanissimo. Sebbene al più alto livello di umanità, quello che realmente rasenta il divino: Maria Immacolata. La creatura più pura di tutte e quella che più di tutte ha sofferto.
Anch'ella vedova, ma - soprattutto - anch'ella Madre, Madre di un figlio unico.
Maria di Nazareth, la Madre del Figlio più unico al mondo...unico con la U maiuscola.
La Madre sul cui dolore Gesù può misurare (se così si può dire) il dolore umano di ogni altro genitore.
La scena del Cristo che dice alla donna "Non piangere"! (Lc 7,13) richiama la scena del Calvario: "Donna, ecco tuo figlio" (Gv 19,26).
Madre...non piangere. Tuo figlio sarà sempre tuo figlio.
Anche quando non ci sarà....il tuo amore di madre potrai riversarlo in tutto ciò che farai, perché sarai Madre per sempre. Giovanni sarà tuo figlio. L'umanità sarà "figlio". Il tuo essere Madre sarà qualcosa in te come un dna...visibile nel tuo stesso modo di essere, parlare, agire...
E' stupenda la scena di Gesù che tocca la bara e "restituisce" il figlio alla vedova di Naim.
E' toccante la parola che prima gli rivolge: "Dico a te, alzati"! (Lc 7,14)
A questo punto possiamo immaginare che qualcosa di simile - e non è un paradosso - avverrà anche nella tomba nuova, dove Gesù giacerà avvolto nel sudario, e la pietra rotolata davanti all'ingresso del sepolcro occulterà agli occhi umani la meraviglia del momento della Sua Risurrezione.
"E Dio disse".... ed anche allora quella Parola del Padre per mezzo del quale tutto fu fatto parlerà ancora...
Non è eresia, dire che anche la Risurrezione di Cristo avviene "per mezzo" del Verbo: "io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere
di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho
ricevuto dal Padre mio".(Gv 10,17-18)
Allora la scena di Naim può proiettarci verso il Sabato Santo e, nel farci "comprendere" (o almeno provarci!) qualcosa della "compassione" di Gesù per il dolore della madre e della Madre, spingerci a dire al Signore: anche noi vogliamo amarti con amore "materno", quell'amore che nemmeno la morte terrena può spezzare, tanto che le parole non trovano un termine per descriverne l'ìnterruzione. Perché si è genitori per sempre, perché la maternità e la paternità vanno oltre i legami terreni, è il DNA della stessa relazione trinitaria che Dio ha voluto impiantare nell'uomo. Dio è talmente "padre" da aver dato il Figlio per noi, per salvare quanti Lo hanno accolto!
Chiediamo a Gesù che ci faccia "Madri" come Egli stesso dice, quando afferma che chiunque fa la volontà del Padre diviene tale (Mt 12,50); chiediamoGlielo ricordando le parole di Isaia, che già anticipano questo mistero e con la ferma speranza che ciò che noi ora possiamo vedere solo con gli occhi della fede, sarà per noi certezza quando potremo finalmente essere per sempre uniti a Cristo Signore! :
"Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio"! (Is 9,5)
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