martedì 9 settembre 2014

STORIA DI CATERINA FARNESE, principessa e carmelitana - 5A parte -

Carmelo di Parma 

Carissimi amici del blog, prosegue la pubblicazione del testo sulla vita di Caterina Farnese - principessa e carmelitana scalza.



Lo scritto - curato dalle monache carmelitane scalze del monastero di Parma - è in corso di pubblicazione sulla rivista "Il Carmelo oggi".

 Qui trovate la quarta parte.


Buona lettura!







Caterina Farnese, principessa e carmelitana


- quinta parte - 


Caterina Farnese, al tempo in cui indossava già l'abito carmelitano









Caterina Farnese – la cadetta di Parma, come la chiamava il Re Sole – è considerata, malgrado il suo carattere tempestoso e imprevedibile, una delle principesse più affascinanti d’Europa. Le proposte di matrimonio, blasonate e illustri, cominciano ad arrivare presto, ma a tutte Caterina risponde con un deciso «no», motivandolo con i pretesti più bizzarri. Come mai? Quale segreto nasconde la bella principessa?




In lotta con la voce di Dio




A volte nascondere un segreto è quasi impossibile: lo si porta stampato sulla fronte. A volte invece è facile, specialmente quando si tratta di cosa assolutamente insospettabile! E’ il caso di Caterina: chi mai, anche fra i più perspicaci dei cortigiani, avrebbe immaginato che da anni portava nel cuore l’intimo richiamo alla vita religiosa?

Infatti, guardando le cose dall'esterno, bisognerebbe dire che Caterina, mentre viveva nel secolo, aveva dato prove non già di vocazione, ma di sommo aborrimento verso monache e chiostri: rifuggiva anche solo dal parlare di vita religiosa; la struttura stessa del chiostro le dava ripugnanza e l'idea di esservi rinchiusa le cagionava eccessi di aborrimento
Entrare in convento significava darsi viva il sepolcro e la morte, e per la principessa orgogliosa che non si era mai piegata alla volontà altrui tale ipotesi era insopportabile.
Ma le ripugnanze clamorose a volte sono sospette, perché altro non esprimono che la ribellione della natura contro i suggerimenti della coscienza. 
E’ il caso di Caterina. 
Dio parla al suo cuore; e la sua coscienza retta e leale non può negare il contenuto di questo silenzioso ma reale messaggio: è chiamata alla vita religiosa. 
E l’insistenza perdurante di questa voce interiore dice con chiarezza che non può essere catalogata come trovata passeggera… sì, con questa voce bisogna prima o poi confrontarsi e fare i conti.




Chiostro, che terrore!

La natura della principessa non ne aveva mai voluto sapere di briglie, ed ora recalcitrava con tutte le sue forze; l’immagine del chiostro era sempre presente alla sua mente e a nulla valeva cercare distrazioni: quando si ha un'idea fissa - coltivata o no che sia - si sa che qualunque cosa ha il potere di richiamarla; lo stesso accadeva a Caterina: nei discorsi, nelle compagnie, nei divertimenti, tutti gli agganci erano buoni per evocarle l'aborrito convento.

Prima di addormentarsi leggeva libri di cavalleria, con il preciso proposito di divagare il pensiero, pensando su questi destrieri isfuggire: ma ogni cavaliere o cavallo la portava alle porte del monastero.

Si guardava bene dal confidarsi con i cappellani di corte, sicura che avrebbero riconosciuto in lei i segni di una chiamata divina; talvolta, sfinita dalla lotta interiore, chiedeva a Dio la forza almeno di rivelare il suo stato d'animo: Signore, se mi volete non mi tormentate tanto, finitela una volta, datemi la grazia ch'io lo dica; ma un attimo dopo ritirava la richiesta, nei timore di essere esaudita.
 

Segnali di resa

E' la stessa Caterina che, una volta religiosa, stende per il padre Massimo un vivace resoconto di questo lungo periodo di contrasto interno.
Quanto più Dio mi correva dietro, lo fuggivo con non voler nemmeno alzar la mente a Lui. [...] Desideravo in somma che più tosto Dio non mi amasse tanto, perché mi lasciasse vivere a mio modo, e mi turbavo, se alcuno mi diceva di voler pregare per me, per tema non mi crescesse il desiderio di religione, e andavo fino contro me stessa, con sottrarmi tutta a Dio e nemmeno fare il segno della Croce, perché niente di buono mi venisse in mente, e subito comunicata dar luogo a mille distrazioni, per dimenticarmi di quello che tenevo dentro di me.

E' un'introspezione acuta e fatta con una sincerità spietata e disarmante. Tra l'altro appare in modo chiaro come fosse ormai incrinata dal di dentro l’immagine ufficiale della principessa altera: al suo posto affiorava una donna dal cuore grande, che temeva tanto l'amore di Dio solo perché intuiva quanto totale e generosa sarebbe dovuta essere la propria risposta.
La lotta durò più di sette anni; il richiamo di Dio era così pressante - e così indesiderata era la sua richiesta - che Caterina, più sfinita del solito, arrivò a pregare così: Signore caro, non vi voglio, lasciatemi stare; ma l’implacabile voce interiore le rispondeva: Se tu non vuoi me, io voglio te.
I divertimenti che la corte le offriva non la distraevano come avrebbe voluto; nel bel mezzo di una galoppata o di una riunione elegante, la solita voce, nella quale coincidevano la voce di Dio e quella della coscienza, le insinuava: Che ne hai? Che ne cavi da tutte queste vanità? E ricompariva, simile ad un incubo, il profilo del chiostro.
Caro Signore - ripeteva allora - lasciatemi un poco stare, che io non vi cerco, vi prego, lasciatemi stare caro Signore.
Ma Dio non s'arrese, e Caterina cominciò ad accontentarsi del compromesso: Signore, se mi volete monaca Scalza mi contento, in altro convento poi no, assolutamente.
Per la principessa alla quale bastava che gli altri non l’avessero vinta, questo inizio di cedimento era in realtà una irrimediabile capitolazione.
I segnali di resa cominciarono a moltiplicarsi, anche se per molto tempo rimasero un segreto fra Caterina e Dio: niente, all’esterno, autorizzava a sospettare una vocazione.


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