venerdì 9 aprile 2010

Luci spirituali e aridità, nella dottrina di San Giovanni della Croce e Santa Teresa d'Avila -TERZA PARTE-


Qui potete leggere la seconda parte

La pienezza del non necessario, non lascerebbe in noi spazio per le cose essenziali. 
Non solo, ma ci renderebbe, da una parte, molto “materiali”, inclini quindi più alle cose di questa terra, che a quelle del Cielo. Questo comporterebbe per noi il non rimetterci sempre e comunque alla volontà di Dio, ma ci spingerebbe ad un affetto disordinato verso tutto il reale, facendoci sprecare inutilmente per esso tempo ed energie, ad abbatterci nel caso della loro perdita, a coltivare lo smodato desiderio di beni materiali, di relazioni affettive in cui non sia Dio Colui che vediamo nell'altro.
In poche parole: non diventeremmo mai persone spirituali, che sappiano anche “fruire” delle realtà materiali vedendo in esse non un fine, bensì un mezzo, e che sappiano amare riconoscendo nell'altro un segno della bontà del Padre, un compagno nel viaggio della crescita spirituale, senza quindi incentivare affetti “disordinati” verso le creature.
La mancanza di luci spirituali e di consolazioni sensibili, ci aiuta poi a progredire nell'umiltà.
Se infatti fossimo sempre allietati da gioie spirituali, rischieremmo di peccare di “vanagloria”: potremmo considerarci superiori ad altri che non godono di questi favori divini e cadere quindi, dalla padella (le passioni disordinate prima della nostra conversione) alla brace ben peggiore (la ricaduta dopo aver visto la bellezza di una vita orientata a Dio).
Solo nell'umiltà possiamo imparare a considerarci piccoli, sempre bisognosi di imparare e di essere tenuti per mano dal Padre, non superiori agli altri, non “gelosi” dei favori e dell'amore di Dio. La vera carità, infatti, non è gelosa, come non manca di ricordarci San Paolo!
Non dimentichiamo, inoltre, che l'umiltà è una delle “armi” migliori per mettere in fuga il demonio! Dice infatti, San Giovanni della Croce: una cautela che “devi prendere direttamente contro il demonio è quella di praticare, sinceramente e costantemente, l'umiltà nelle parole e nelle azioni, rallegrandoti del bene degli altri come se fosse tuo e desiderando che vengano preferiti a te in tutto. Devi farlo di vero cuore. […] Questo cerca di fare soprattutto con coloro che non ti sono simpatici. Sii sempre più contento di essere ammaestrato da tutti che di voler insegnare al più piccolo di tutti”. “Altrimenti” l'uomo non perderà “l'amor proprio né acquisterà l'amor di Dio”.
Sono parole che non hanno bisogno di molte spiegazioni, se diventiamo veramente umili (e l'aridità ci vuole condurre anche a questo), non saremo più orgogliosi e avidi quando il Signore ci consolerà con qualche luce, né saremo dispiaciuti di quelle che Egli vorrà invece concedere ad altri. Solo Dio sa cosa è meglio per noi e, in ogni caso, i tesori che il Signore rivela a qualcuno, visti in questa ottica, non sono perle da sotterrare nel proprio campo, ma da condividere. In quest'ottica, nulla di ciò che viene concesso ad altri, è meno “mio” di quanto lo sia ciò che direttamente venga rivelato a me. I santi ci dimostrano proprio questo: hanno lasciato, come patrimonio senza tempo, libri spirituali, insegnamenti, consigli. Tutto ciò che hanno ricevuto dal Signore, lo hanno condiviso con i loro contemporanei e continuano a farlo ancora oggi, con noi! 
San Giovanni della Croce, ai due benefici elencati come conseguenza della perseveranza nelle aridità, ne aggiunge anche un terzo: l'accrescimento delle virtù. “Non guardi mai al piacere o al dispiacere che deriva dal compiere o non compiere una data azione, ma al fatto che deve compierla per Dio. Per operare con forza e con costanza e arrivare presto all'eccellenza delle virtù, cerchi di preferire le cose difficili a quelle facili”.
Infatti, quelli che San Giovanni chiama “appetiti” (le passioni umane, gli attaccamenti disordinati alle cose o persone, alimentati appunto dal “sensibile”), se non sedati, provocano un danno enorme all'anima: la rendono “tiepida e debole a tal punto che non ha più la forza di seguire la virtù e di perseverare in essa. Gli appetiti non mortificati arrivano a tanto; uccidono la vita di Dio nell'anima, perché questa non li ha uccisi per primi”. L'aridità spirituale, insegnando all'uomo ad amare indipendentemente da ciò che esso gusta coi sensi, consente anche di mortificarci in tutti gli affetti e i desideri disordinati (e volontari!), orientandoci solo a Dio. 
Il mistico carmelitano ci invita quindi a cogliere il lato “positivo” di questa mancanza di gusto nelle cose spirituali, dicendo che, attraverso di esso e con la perseveranza nell'amore verso Nostro Signore, cominciando a svuotarci “di tutto ciò che può dipendere dalla” propria “abilità” (vale a dire: se Dio comincia a darci una mano, facendoci capire che dobbiamo progredire anche senza il sapore “sensibile” di ciò che facciamo, allora accogliamo questo aiuto e facciamo altrettanto da noi, cercando di distaccarci dagli affetti disordinati!) perverremo ad un grande risultato. 
Anche quando l'anima ricevesse “molti doni soprannaturali” ne rimarrà “sempre distaccata e come ignara nei loro confronti, al pari di un cieco, aggrappandosi alla fede oscura, prendendola per guida e luce, senza appoggiarsi a cose che comprende, gusta, sente e immagina. Tutto questo, infatti, è tenebra che la fa sbagliare, mentre la fede è al di sopra di questo comprendere, gustare, sentire e immaginare. Se l'anima, dunque, non si fa cieca riguardo a tali cose, rimanendo completamente al buio, non arriverà mai a ciò che è superiore, cioè a quello che insegna la fede. 
Chi non è cieco del tutto, non si lascia condurre volentieri dalla sua guida, ma, per quel poco che vede, ritiene sia meglio seguire la strada che intravede appena, perché non ne scorge altre migliori; in tal modo potrebbe far sbagliare anche la sua guida che vede meglio di lui, perché, in fondo, comanda più lui che il suo accompagnatore. Così' pure accade all'anima. Se si avvale di qualche sua conoscenza, di qualche suo gusto o sentimento di Dio, per quanto ottime mediazioni, sono sempre poca cosa e impari all'Essere Divino; si sbaglia facilmente nel seguire tale cammino o si arresta, perché non vuole affidarsi, completamente cieca, alla fede che è la sua vera guida. […] In altri termini, chi vuole arrivare all'unione con Dio non deve appoggiarsi sulla propria conoscenza umana, né attaccarsi ai gusti, ai sensi, all'immaginazione, ma credere che Dio esiste. […] Dio non può essere conosciuto, in questa vita, così com'è. Anzi, in questa vita il massimo che si possa percepire e gustare di Dio, è infinitamente distante dalla sua realtà e dal suo puro possesso”. [...]La fede è l'unico mezzo attraverso cui Dio si manifesta all'anima nella luce divina che supera ogni intelligenza. E così, quanto più l'anima ha fede, tanto più è unita a Dio”.
E' ovvio che avremo più fede qualora agiremo e pregheremo pur senza averne ricompensa sensibile.

Fine della terza parte

2 commenti:

  1. E poi sostieni di non essere carmelitana? Conosci più tu gli insegnamenti di San Juan de la Cruz che molti carmelitani doc!!!Ne hai disegnato la spiritualità in modo eccellente! E' la Fede che ilumina, e che fa intravedere parte della grandiosa e misteriosa identità divina. E' la fede che unisce l'anima a Dio!! Verità sacrosanta!

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  2. :) Ti ringrazio cara, le tue parole sono motivo di gioia! Se un giorno riuscirò a diventare anche carmelitana secolare "Ufficiale", sarà per me motivo di ulteriore gioia ;)

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